Conosci il tuo nemico

28 3 0
                                    

L'odore di vecchio che si sentiva in quei lunghi corridoi era nauseante. Ogni volta che Cornelius si trovava lì per rendere conto dei fatti avvenuti nella Provincia Teutonica odorava quell'orrido sapore di polvere, tradimenti, complotti. Lui sapeva che la Chiesa non era più la stessa, i tempi di povertà, amore...un lontano ricordo; un impero nato per governare, che si reggeva sull'egoismo di pochi, che aveva come colonne portanti l'ignoranza del popolo, la miseria, la guerra continua...una vera dittatura. Guardando fuori dalla finestra riusciva chiaramente a scorgere la Città Eterna in tutto il suo disgustoso splendore, la decadenza che inebriava le strade e la perversione nella mente degli uomini gli raggelavano il sangue. Come si poteva essere così ciechi? Così votati ai piaceri primari senza considerare nemmeno lo stato in cui tutto il mondo versava? Se questo era il risultato di secoli di dominazione della fede, il passo finale verso l'evoluzione dell'uomo, ebbene si stava meglio quando ad essere venerati erano gli idoli della scienza e della ricerca. Girandosi in un vortice creato dalle pieghe del suo abito talare, un pro forma di umiltà verso il Conclave Ristretto, osservava invece l'arte classica, volti, busti, colonne, millenni di storia e tutti quanti a cercare di abbellire un posto che faceva ribrezzo. Il corridoio lungo che conduceva alla Sistina risuonava del suo respiro, era solo, magli sembrava che fossero i secoli di storia a respirare insieme a lui: poteva chiaramente sentire i tradimenti, le menzogne, gli inganni, ogni male racchiuso in quel luogo. Sentì un rumore sordo rintoccare tre volte, era la tripla mandata del chiavistello che sia priva. Una voce dalla penombra lo invitò sommessamente ad entrare,che non era bene far attendere il Conclave. Lui, incerto, intralciato dai suoi pensieri, mosse i primi passi verso l'ingresso alla cappella ed una volta entrato non poté fare a meno di osservare il soffitto:la creazione di Adamo, l'uomo e Dio alla distanza di un dito tra loro, si toccano ma non si toccano. Perdendosi dapprima in questa visione desiderata venne poi destato da un richiamo secco, come quello che si fa ad un cane distratto dai suoni dei boschi.

«Cornelius!» tuonava la voce di uno dei Grandi Cardinali, quello seduto a destra, proprio lui, Septimus Marcus Agrippa. Nonostante la statura ridotta, le mani tozze e il viso d'angelo che mostrava, egli era uno dei più feroci fra i tre. La veste bianca risplendeva di maligna luce colpita dai raggi passanti attraverso le vetrate e il cappello romano coronava quei capelli neri che stavano iniziando ad ingrigirsi. Un risolino malizioso e crudele seguì il suo richiamo, era Ilitia: quella donna che poteva parere sensuale ed attraente nei suoi abiti succinti, una gonnella cortissima un copri spalle d'ermellino che ne celava il seno, con i capelli mossi e biondi, velenosa come un serpente del deserto. Era la preferita di Agrippa, si potrebbe dire che se ne fosse innamorato, mentre di lei si poteva affermare che amasse più il potere che l'amato stesso. Se ne stava appollaiata sulle gambe del Cardinale, con le braccia avvinghiate al suo collo e lo sguardo volto verso Cornelius mentre lo squadrava dalla testa ai piedi con malvagio presentimento.

Agrippa, dopo aver richiamato all'attenzione Cornelius, pareva aspettare minaccioso la reverenza di quest'ultimo; tuttavia al sacerdote in nero non fu dato il tempo di svolgere tale prassi che subito l'uomo che si trovava sulla sinistra, un signore non troppo vecchio, sulla trentina d'anni circa, in mozzetta cardinalizia rossa a copertura dell'immancabile bianco, con una croce d'oro che pendeva dal collo come un maligno talismano, i capelli radi e gli occhi castani, riprese le parole di Agrippa dicendo con voce solenne:«Sua Santità è impaziente di sapere». Gaius Macrinius Genucio!

«Certo Eccellenza – rispose Cornelius atterrito- volevo solo porre a Voi del Conclave Ristretto i miei omaggi». Seguì poi un inchino forzato e goffo, carico del disgusto che quell'uomo provava per gli altri presenti.

«Ci è giunta notizia di "prodigi", eventi strani, come li hanno definiti... - fece schioccare un paio di volte le dita cercando il termine - ah sì! Magici. Diabolici hanno anche detto, ma mi soffermerei più sul magico. Vedi Cornelius, la questione è semplice: la Chiesa deve, e sottolineo deve, essere l'unica a possedere tali conoscenze; conoscenze...che noi non abbiamo!» E sbatté il pugno sul tavolo furibondo, il volto era divenuto paonazzo di rabbia e la voce diveniva più intensa o più lieve, come un moto ondoso. Riprese:«Dovevi solo ottenere informazioni...cosa c'è di difficile nel torturare una ragazza? Cazzo, doveva urlare di dolore fino a non avere più fiato in gola. Ci serviva quella!»
Cornelius allora, con lo sguardo basso alle pieghe del suo abito talare, cercò di giustificarsi dicendo:«Signore, non ha voluto confessare. Sono mortificato, abbiamo provato di tutto, stavamo inscenando un'esecuzione, ma poi...» lo interruppe quindi sbattendo la mano sul tavolo. Poi si alzò in piedi e si piegò in avanti appoggiando le braccia e squadrando il prete dalla testa ai piedi, mormorò con una morbosa tensione fra la rabbia e il controllo:« Era quasi nostra, avevamo in mano le chiavi dei cancelli celesti. E tu, fottuto inquisitore, le hai lasciate cadere nella merda. Non so cosa mi trattenga ora dallo sbatterti in uno stanzino a copiare testi su testi fino alla nausea, tanto che la piuma ti si attacchi alle ossa e a tal punto che tu desideri mangiare la pergamena su cui scrivi pur di...»venne interrotto dalle parole di Agrippa che, non potendone più di tutta quella patetica scenetta in cui il padre sgridava il figlioletto, disse:« Adesso basta, calmati Macrinius. Piuttosto m'interessa sapere, o meglio a Sua Santità interessa sapere, con che cosa abbiamo a che fare. Descrivimi la scena senza omettere nulla, mi fido più di un incapace sincero che di tanti ciarlatani che chiedono soldi per informazioni approssimative». Cornelius riuscì a sollevare lo sguardo, ma sapeva che sarebbe dovuto essere accorto nel parlare. Si trattava sempre di Agrippa, l'uomo che aveva condannato a morte centinaia di persone per aver soltanto parlato degli abitanti dell'altra costa. Trovato il coraggio deglutì un po' di saliva e,asciugatasi la fronte che sudava per il timore, cominciò a raccontare:«Non so come sia potuto succedere, Signore. Eravamo lì con la ragazza incatenata, due guardie mi assistevano nella messa inscena. Era tutto perfetto, l'olio di vetriolo era mescolato abbastanza da corrodere solo superficialmente, per il resto avremmo coperto la ragazza per risparmiare lo spettacolo al popolino. Poi una guardia ha cominciato a comportarsi in modo strano. Prima di versare si è fermata, poi di colpo ha lanciato l'olio addosso al compagno che si è ustionato tutto il torace, perché evidentemente l'olio è riuscito ad entrare sotto la corazza. Sembrava stregato quello lì. Mi sono avvicinato per ucciderla, perché stava diventando pericolosa e...»

El ShaddaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora