Il miracolo

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La notte era calata su Roma già da qualche ora, Furius contemplava nervoso la città dalla finestra della sala. Non smetteva di grattarsi il capo, ogni tanto si voltava a guardare l'altare con sopra quel libro aperto e le due candele ai lati che proiettavano la loro luce sul marmo bianco del pavimento. Lo spazio concessogli era vicino agli appartamenti papali, poco distante dagli alloggi dei cardinali, ma Agrippa e Genucio erano in ritardo già di qualche minuto e il vecchio cardinale cominciava ad innervosirsi. Sentì bussare alla porta, si voltò per squadrare chi stesse per entrare e subito si palesarono i due ritardatari. Tutti e tre indossavano un lungo abito porpora privo di segni, come descritto nel libro: andava a coprirli interamente, dalle spalle alle ginocchia, sotto traspariva il bianco della tunica classica. «Avete tutto?» chiese irritato Furius. «Naturalmente» disse sorridendo Agrippa, mentre Genucio fece comparire la sua mano da sotto l'abito inusuale. Impugnava un piccolo sacco, da cui lentamente traeva svariati oggetti appoggiandoli sul tavolo vicino all'altare: un carbone da bruciare, incenso di olibano, quello usato nelle processioni, un ramo di quercia bruciato. Agrippa invece mise sul tavolo un oggetto circolare commentando:«Con i migliori auguri del gioielliere di Porta Pia». Furius lo prese per osservarlo con cura, la luce soffusa ne faceva luccicare l'argento di cui era fatto, le incisioni erano leggibili e chiare. «Siete sicuri che funzionerà?» chiese Genucio interrompendo l'attimo di silenzio, ma nessuno rispose. Furius tolse dall'altare il libro tenendolo aperto su una delle pagine iniziali, Agrippa invece afferrò il pezzo di quercia e lo seguì verso il centro della stanza. Genucio invece se ne stava vicino all'altare, nel caso fosse servito qualcosa. Agrippa cominciò a tracciare sul pavimento la figura che Furius gli mostrava come riferimento utilizzando la parte carbonizzata del ramo. Genucio notò dapprima apparire sul suolo un grande cerchio con al suo interno due triangoli opposti che s'intersecavano, poi attorno vennero tracciate quattro stelle a cinque punte, una per ogni estremità di un quadrato immaginario che avrebbe compreso il cerchio se fosse stato tracciato. Per ultimo fu disegnato un triangolo comprendente un cerchio. Dopo qualche tempo dall'inizio dell'operazione, i due tornarono verso l'altare e Furius ammonì:«Ora inizia il vero lavoro, è necessario non parlare se non per recitare le frasi di rito, che vanno a loro volta mormorate».

«Non mi avete risposto prima, funzionerà?» chiese preoccupato Genucio. Furius annuì mentre Agrippa lo guardava deciso, poi il vecchio cardinale rispose:«Probabilmente è con le istruzioni di questo libro che Aquila batté i nostri avversari tempo fa, non ci resta che tentare. In ogni caso, se non dovesse funzionare, non avremo perso niente né ci avremo guadagnato». Genucio si grattò il mento in maniera confusa, ma si decise a seguire le istruzioni. Furius lo prese per un braccio e lo fece posizionare al centro del grande cerchio, precisamente all'interno della stella a sei punte. Accostatosi poi al suo orecchio, gli mormorò:«Quando ti faccio un cenno, mormora continuamente "agares", capito?» e Genucio annuì confusamente, ma le istruzioni erano semplici e dovette solo ricordarsi quella parola strana, mai sentita prima d'ora. Furius si fece dare poi il carbone da Agrippa e cominciò a tracciare dei simboli esternamente al cerchio, seguendone il corso, come un serpente che si avvinghia attorno alla preda. Quando finì, Agrippa si avvicinò verso il triangolo, ponendo il disco argentato in mezzo a cerchio più piccolo. Allora Furius diede il segnale a Genucio, che cominciò a pronunciare sottovoce ripetutamente la parola dettagli prima. Agrippa invece camminava in senso orario, seguendo le spire del serpente, mormorando altri suoni probabilmente suggeriti da Furius. Quest'ultimo invece accese il carbone e bruciò l'incenso sul piccolo disco d'argento mentre i due proseguivano con le pratiche indicate. La stanza sembrava pervasa di un'aura arcana, loro non erano a conoscenza di cosa stesse accadendo, ma la sensazione di occulto, di segreto, era molto forte, chiaramente percepibile. Sembravano davvero aver fiducia in quel rituale e con questo entusiasmo continuarono per molto tempo, fino a quando l'incenso non si bruciò del tutto. Furius indicò agli altri di fermarsi, mentre osservava il triangolo tracciato al suolo. Dopo essersi fermati, Agrippa chiese:«Allora? Ha funzionato?» Ci fu un lungo silenzio, nessuno rispose. Furius alzandosi lentamente in piedi sospirò e si massaggiò il capo, poi rispose con voce delusa:«Pare di no». Genucio chiuse il libro sull'altare, Agrippa si avvicinò alle candele per spegnerle, Furius invece aprì la porta. Il grande corridoio si riempì dell'odore dell'olibano, mentre i tre uscivano in silenzio, delusi e amareggiati. Si avviarono verso i loro appartamenti, senza dire nulla, nessun commento, Furius più di tutti sembrava avvilito. Genucio si fermò in mezzo alla strada, Agrippa gli chiese:«Perché ti fermi?» Genucio non rispose, ma annusò l'aria insistentemente. Poi domandò a sua volta:«Sentite anche voi questo odore?»

«Che odore?»

«Odore di bruciato...zolfo come» concluse Genucio. Gli altri due lo imitarono: Agrippa non si sentì nulla, Furius invece sentì un leggero odore di combustione. Tornarono indietro rapidamente, ma, rientrati nella stanza del rito, non trovarono nulla. Improvvisamente un urlo di dolore ruppe la tranquillità di quella notte, Agrippa disse allarmato:«Viene dagli appartamenti papali!» e si precipitarono in quella direzione, confluendo insieme alle guardie alla porta d'ingresso della stanza dove dormiva il malato papa Pietro II. L'odore di bruciato era intenso, probabilmente al di là della porta era divampato un incendio. Qualcuno gridò di andare a prendere dei secchi d'acqua, due guardie cercarono di sfondare la porta, senza successo. «Sua Santità! Sua Santità! Risponda!» gridò un altro, mentre si cercava di aprire la pesante porta con lo stemma papale dorato.

Del fumo cominciò a fuoriuscire da sotto la porta, i tentativi di sfondarla si intensificarono, ma quando cercarono di sfondarla un'altra volta prendendo la rincorsa, questa si aprì da sola. I cardinali si intrufolarono rapidamente tossendo per il fumo, ma, una volta varcato il primo sbarramento di quella coltre grigia, videro che non vi era nessuna fiamma nella stanza, una figura stava invece di spalle ai piedi del letto. L'abito corale bianco luccicava rispetto al fumo all'entrata, la stola porpora era ben adagiata a coprire le spalle dell'uomo che se ne stava in piedi. Quest'ultimo si girò e, vedendolo, Furius cadde in ginocchio. «Sua Santità – mormorò il cardinale – siete ringiovanito?» Negli occhi marroni di quello che pareva essere il papa si dipinse uno sguardo di trionfo, un sorriso comparve sulle sue labbra mentre la mano massaggiava la testa rasata. Le mani non erano rugose, ma trasmettevano forza e vigore, la postura invece suggeriva una grande attitudine al comando. Le guardie entrarono e rimasero incredule, qualcuno gridò che fosse opera del demonio, ma l'uomo sorrise e rispose con tono sicuro all'incredulo:«Questa notte ho visto un angelo, figli miei. Si è presentato in una nube di fuoco e mi ha detto "Sii forte, un lupo si avvicina al tuo gregge" e mi ha cosparso di acqua. Io, preso dal timore di Dio, ho gridato per la paura che il mio popolo non avesse più la sua guida, ma il Signore è immensamente buono...mi ha invece donato nuovi anni, restituendomi la forza di un tempo per mezzo del suo messaggero». Nessuno fiatò per qualche secondo, una delle guardie gridò "al miracolo", l'incredulo si gettò ai suoi piedi chiedendo perdono per aver dubitato. L'uomo lo fece alzare e gli tracciò in fronte una croce come segno di misericordia, poi si avviò verso l'uscita. Agrippa e Genucio non dissero nulla, osservarono invece la scena sbigottiti. Furius, rialzatosi, fu avvicinato dall'uomo che gli mise una mano sulla spalla e gli mormorò all'orecchio:«Chi di voi mi ha chiamato stanotte?» Furius impietrì mentre lo guardava negli occhi, a stento riuscì a mormorare:«Chi siete Voi in realtà?» L'uomo sorrise, le guardie si congedarono per diffondere la notizia dell'avvenuto miracolo, e quando furono soli disse:«Per loro sono papa Pietro II» Agrippa, scossosi dal torpore, gli chiese coraggiosamente:«Ma Lei non è chi noi crediamo sia, vero?»

L'uomo non rispose, si spostò dalla soglia andando verso la finestra dell'appartamento papale che dava su Roma. Osservò le luci della città riaccendersi al propagarsi della lieta novella con un sorriso di soddisfazione, poi si rivolse ai tre:«Chiamatemi con il mio vero nome, già lo conoscete».

«A..Agares?» chiese a fatica Furius. L'unica risposta che seguì fu un accenno di risata, mentre la Città Eterna si illuminò di luci, invocazioni e preghiere.


Angolo autore

Ciao a tutti! Finalmente l'undicesimo capitolo di El Shaddai è uscito. L'immagine è una rappresentazione dei segni tracciati per il rituale affinché sia possibile immaginarselo meglio. Un nuovo pezzo appare in questa scacchiera, le conseguenze non saranno positive...

Buona giornata dunque! Votate, commentate e condividete ^^ 

DN_Mevamiah

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