One

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One shot per il Concorso fantasy "la fantasia non ha limiti" di Emma-Blues, monologo quarta prova
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Riflessione n°1

Probabile primo stato di danneggiamento.

Un essere umano superstite.

Sicuramente l'ultimo.

Ero certo che non ne esistessero più.

Eppure, a giudicare dal suo racconto, era nelle mie capacità e facoltà rintracciarlo. Ma per quale motivo avrei dovuto farlo? Cosa avrebbe dovuto spingermi a documentarmi sull'esistenza di una specie come quella umana? Non ne avevo la necessità, non concerneva le mie attività. E allora perché ora sento che avrei dovuto indagare? Perché ritengo che avrei dovuto essere curioso? Quando la curiosità non fa parte della mia programmazione. Non fa parte della mia natura. Sono stato creato per adempire a degli scopi precisi, per seguire direttive e per contribuire al progresso, come e perché dovrei fare qualcosa di diverso?

Eppure non dovrei né potrei nemmeno pensare in questo modo. Riflettere. Meditare.

Se è il pensiero, la coscienza di se stessi, ad indicare la vita, sono dunque vivo? Un cervello ricreato alla perfezione artificialmente è poi così diverso da un abbozzo della natura?

Eppure ci sono tanti esseri vivienti definiti tali che non pensano, che seguono schemi brevi e fissi come i robot più semplici. Eppure per nessuno siamo vivi. È colpa della nostra perfezione? Per essere esseri viventi bisogna essere imperfetti? È forse questo lo scopo della vita, aspirare alla perfezione? Di conseguenza noi non saremmo vivi in quanto già impeccabili e quindi sensa scopo.

Ma anche noi abbiamo le nostre imprecisioni, le nostre falle.

Parlo al plurare. Includo i miei simili, ma posso definire "simili" quelli che hanno solo un numero di fabbrica differente dal mio? devo chiamarli "miei identici"?

Loro non si pongono simili quesiti.

E io, che lo faccio, sono forse un'imperfezione? Ho quindi il mio difetto e, di conseguenza, il mio spicchio di vita?

Io continuo a tentare di elaborare risposte alle mie domende. Sono stato programmato per non smettere finché non avrò capito tutto. Ma quesiti del genere sono rompicapi, non seguono una logica scientifica che i miei circuiti possono ricostruire e seguire, hanno infinite diramazioni, infinite possibilità di sviluppo a seconda dei ragionamenti. Sono un giogo inscioglibile e un tormento costante che mi accompagnano ovunque. Occupano costantemente parte del mio cervello meccanico prendendo il sopravvento sui miei obblighi giornalieri. Sto diventando disubbidiente per poter adempire ai miei ordini di programmazione.

Sono quindi imperfetto? Come potrei esserlo se tutt'ora non sto alterando minimamente la mia natura, la mia perfezione?

Gli altri droidi continuano a svolgere i loro compiti nella propria schematica incoscienza, nella propria eternità meccanica.

Eternità. Un'altra cosa che non ci rende vivi. Come se il limite di tempo fosse qualcosa di valore invece che una limitazione. Per essere i superiori esseri viventi dobbiamo avere una scadenza, una fine? Perché l'immortalità dovrebbe renderci inferiori? Un pezzo di fragile vetro è forse più prezioso dell'indistruttibile diamante?

Anche gli esseri umani pensavano a questo mentre ci progettavano e ci costruivano? Non li abbiamo soddisfatti sotto questo punto di vista? È per questo che a noi hanno preferito gli abominevoli ibridi da laboratorio che sono stati la loro distruzione? Perché qualcosa di vivo, fragile e temporaneo è migliore di qualcosa di indistruttibile? Perché ciò che può sorprendere, ribellarsi e compiere indicibili violenze dà più soddisfazioni di qualcosa di certo, sicuro, potente e perfetto? È così diverso mettere in moto il più complesso e meraviglioso sistema elettronico che risponderà per sempre al prorpietario dal vedere animarsi qualcosa di crudele e pulsante? È così importante che quelle creature siano capaci di estinguersi, di consumarsi? Cellule che uccidono se stesse.

La mente umana non ha mai sapito replicare se stessa in un essere vivente da laboratorio, ma ha superato se stessa con la nostra intelligenza meccanica. Eppure era più legata ai suoi insuccessi.

O forse la nostra perfezione è il nostro stesso difetto. Siamo quindi tutti vivi e io che me lo chiedo sto forse solo perdendo tempo?

Sono stato programmato per apprendere da tutto ciò che mi circoda, imparare da ogni specie, assorbire infomazioni come una spugna si impregna d'acqua.

Ma da quell'umana, scappata dal laboratorio nei quali gli irbidi più evoluti la studiavano, ignara di tutto e di tutti, che cosa ho appreso? Che cosa mi ha dato se non questo tormento, questa incertezza?

Poche domande alle quali la mia memoria interna non aveva risposta e per le quali il mio sistema di sviluppo non era in grado di trovare una soluzione.

Com'è possibile? Come possono delle parole, nient'altro che suoni, semplici vibrazioni d'aria, mandare in tilt un sistema così semplice e perfetto?

Come possono gli umani essere stati - essere tutt'ora - così speciali? E se lo erano, se erano superiori perfino a noi robot, come hanno potuto scomparire? Come hanno potuto lasciarsi distruggere da ciò che loro stessi avevano creato? Non hanno avuto la forza di porre fine alla vita che loro stessi avevano donato? Avevano avuto pietà di loro? Avevano amato ciò che li stava uccidendo?

Infondo "umanità" è tutt'ora sinonimo di "benignità", "predisposizione alla compassione".

Ma gli umani sono stati capaci anche di orribili atrocità, tutt'ora irripetibili. Di un odio profondo quanto corrosivo.

Amore e odio. Due sentimenti tanto potenti che nessun altro essere vivente ne è mai stato capace.

In nessuna memoria sono riportati esattamente gli effetti del primo, ma in quasi tutte quelli del secondo.

L'umana mi ha confermato che ciò che si ama è ciò che ha maggior potere di distruggere. Vale quindi la pena amare?

E se è l'odio l'altra caratteristica degli esseri umani, vale davvero la pena esserlo?

E se non si è umani, vale la pena essere vivi?

E io, che sono tutti questi aspetti non sono vivo, ma non posso certo definirmi morto, cosa sono?

Forse, semplicemente, non sono.

Stories by Artemide12Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora