· Egon ·

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Mai avrebbe immaginato che la sete potesse essere così.
Come un animale piccolo e rovente con decine di lunghe zampe appuntite e seghettate che raschiano, graffiano e feriscono e che ad ogni respiro viene rispinto giù e poi riprende la sua salita sulla carne piagata.

Lingua e gola sono così secche che potrebbero spezzarsi, le gengive ridotte ad un foglio accartocciato intorno ai denti. Sulle labbra si aprono spaccature profonde. Le palpebre sono come incollate, non si sollevano se non a fatica e per pochissimi istanti. L'aria polverosa punge gli occhi asciutti.

La parete invece è umida e impregnata di acqua sporca come una spugna.

Vi tiene la spalla e parte della schiena nuda appoggiate, incapace di muoversi.

Tenta di aprire gli occhi e in risposta fitte di dolore gli attraversano tutta la fronte. Si aspetta almeno un gemito di protesta ma dalle sue labbra leggermente dischiuse non esce un suono. L'aria si limita a raschiargli ancora di più la gola sgonfiando i polmoni.

Sotto le palpebre, i suoi occhi sono puntanti nel vuoto, ciechi. Lentamente, il buio totale si riempe di macchie scure di diverse gradazioni.

Sollevare la testa è impossibile. Anche se riuscisse ad ignorare il dolore dei crampi ai muscoli, non ne avrebbe la forza.

Può solo muovere gli occhi. Individua il proprio braccio, proteso verso l'uscita e poi abbandonato a metà strada. Il palmo della mano è rivolto all'insù, le nocche sulla pietra e le dita sollevate, come le zampe di un ragno rovesciato.

La pelle non è che un velo secco intorno allo scheletro. Ciò che resta dei muscoli arrotonda appena le sagome spigolose delle singole ossa. Sul polso le vene tracciano sottilissime linee blu di una ragnatela sporgente.

I disegni neri gli si arrampicano su tutto il braccio scavandogli ulteriormente la pelle. È come se i marchi risucchiassero quel poco di energia che gli rimane. Anche se in realtà è in contrario. Sangue che sembra inchiostro e parole che assomigliano a mandala sono tutto ciò che lo tiene dolorosamente ancorato a questo mondo.

Quasi non ricorda nulla della sua vita prima che glieli facessero.

Gli occhi si rovesciano e automaticamente li richiude. Avrà la forza di riaprirli? O questa è stata l'ultima volta?

Pensare è così faticoso...

Ma per quanto possa scivolare via, la consolazione della morte non arriverà mai.

Ad intervalli sempre più lunghi riesce ancora ad inspirare leggermente. I polmoni non sono che fragili palloncini che potrebbero scoppiare se premuti troppo contro le costole.

Il marchio sulla nuca ormai pulsa al posto del suo cuore.

Se potesse guardarsi da fuori riderebbe di se stesso. Eccolo qui, il ragazzo immortale, il marchiato.
Ma in realtà è solo un ragazzo immortale e un marchiato. Uno dei tanti. Non ha mai avuto nulla di speciale. È stato uno dei pochi a sopravvivere solo perché Dorian l'ha voluto.

Di unico, lui ha avuto solo la colpa. La condanna per omicidio.

Omicidio.
Omicidio.

Il mondo si è capovolto. Avrebbero dovuto premiarli per il solo fatto di esistere, di essere sopravvissuti nonostante tutto. Avrebbero dovuto lodarlo per aver impugnato la spada e trafitto quella donna. Una dannatissima  marchiatrice. Se prima non fosse andata a letto con un erede al trono, probabilmente gli avrebbero dato una ricompensa alla consegna del cadavere.

I marchi sul suo corpo bruciano sempre di più.

Lo stomaco e le viscere gli si è ridotto ad un nodo di fame sempre più stretto.

Possibile che nessuno si renda conto del grande favore che ha fatto al mondo?
L'ha uccisa, cancellata.
Non ne è rimasto più neanche uno di quei bastardi! La specie più temuta eliminata dalla faccia della Terra, incapace di rinascere se non grazie ad un'altra guerra mondiale.

E per i suoi meriti sta letteralmente marcendo in una cella chissà quanti metri sotto terra. Condannato a morte a vita.

Il se stesso che torreggia su di lui sta ancora ridendo a crepapelle.

Guardati, gli sta dicendo, un immortale ridotto ad un eterno moribondo.

Morta. La marchiatrice è morta.
L'invidiata non-sorella, la sconosciuta preferita.

Non potranno esistere altri marchiati. Né altri immortali.

È una gara a chi di loro rimarrà da solo, alla fine. Chi diventerà l'unico, quello speciale.

Conor è già morto. Dorian probabilmente ha trovato il modo di evitare la condanna.
E Saga di certo è ancora dove l'ha lasciata, perfettamente immobile in un angolo dell'armadio.

Il ricordo della ragazzina gli esplode nella mente offuscata.
Immortalata in una fase intermedia, non ancora una donna ma non più una bambina. Non un'adolescente. Piccola e leggera, sottile come un giunco, pronta a crescere ma destinata a non riuscirci mai. La ricorda mentre la sollevava senza alcuno sforzo o mentre nel sonno la imprigionava tra le proprie braccia con ossessiva possessività. La sua pelle lattea era tempestata di lentiggini ovunque, sulle guance, sul collo, sulla schiena, nell'incavo dei gomiti. Il nasino aveva ancora una forma neutra, le sopracciglia erano ancora rade, le labbra ancora fini.

Ma gli occhi.
Dèi, quegli occhi.

Marroni come le lentiggini e i capelli. Ma a volte anche dorati. A volte anche rossastri.

Quegli occhi.
Erano grandi. Troppo grandi. Con un cerchio nero che definiva il contorno delle iridi.
Erano occhi che vedevano. Occhi che squartavano.

Magnetici.

Adorava caricarsela in spalla o costringerla a stare sulle sue ginocchia anche quando c'era posto. Adorava abbracciarla da dietro e inspirare il suo profumo di miele e sangue.
Le aveva baciato il collo a volte, quando era riuscito a dimenticare quanto fosse ancora una ragazzina, ma mai si sarebbe avvicinato alle sue labbra. Mai si sarebbe arrischiato ad incontrare ancora i suoi occhi. Solo di notte, nel dormitorio, poteva studiarle il viso, quando era sicuro che non si sarebbe svegliata.

Cosa stava facendo in quel momento, chiusa nell'armadio?

Era ancora cosciente? O accucciata da qualche parte, prosciugata, come lui nella sua cella?

O Dorian l'aveva trovata?

Dannato Dorian.

Avrebbe dovuto essere più forte. Avrebbe dovuto stringere con più sicurezza la spada e tagliarle la gola prima che arrivassero, come barbari che non si rassegnano ai romani. Avrebbe dovuto amarla di più.

Invece non ce l'ha fatta. Ha pensato solo a quanto fosse sua e l'ha nascosta, come un vecchio diario che racchiude troppo per essere mostrato ma anche troppo poco, ancora, per essere distrutto.

Aveva fuso la chiave dell'armadio.
Aveva impedito alla propria mente di pensare a lei per evitare che qualcun altro sapesse.

Eppure ora eccolo lì. A pensare a lei con le sue ultime forze prima di scivolare nell'oblio.

La sua lentigginosa, magnetica, Saga.

Sarebbero riusciti a rimanere solo loro due? Gli unici due immortali al mondo. Ridotti a due eterni moribondi.

Ma c'era ancora Dorian.
Dannato lui.

C'era ancora Dorian.

Stories by Artemide12Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora