Incipit

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Questa parte partecipa al concorso di scrittura Be the master of your own story di Emma-Blues, ballerinafralestelle e baanshe.

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L'aria nella stanza era pesante. Aderiva alla pelle ed era polverosa in gola. Respirandola, sembrava di non riuscire a prenderne mai abbastanza - o comunque di doverne inspirare una quantità esagerata per poterne ricavare il minimo indispensabile. Assomigliava ad un avvelenamento lento, come essere costretti a bere acqua di mare per non morire di sete, consapevoli che il sale brucerà il sangue dall'interno, poco a poco.

La stanza era buia nonostante fosse mezzogiorno. Pallide strisce di luce filtravano dalle fessure della persiana e si stampavano sul pavimento, a pochi centimetri dal letto.

Quella penombra era un velo asfissiante che aderiva ad ogni superficie, come un lenzuolo caldo e bagnato premuto su mobili e pareti.

Logan era steso al contrario sul letto grigio, i piedi nudi infilati tra i due cuscini, le mani abbandonate sul ventre e il collo sul bordo del materasso, con la testa reclinata all'indietro e gli occhi socchiusi puntati sul soffitto.

L'assenza di luce aveva scolorito tutto, trasformando la camera in un dipinto vecchio e polveroso.

Anche il viso di Logan, solitamente dolce e rotondo, ne aveva subito gli effetti. Gli zigomi disegnavano ombre leggere sulle guance, facendole sembrare incavate, e intorno agli occhi erano comparsi gli aloni scuri delle occhiaie. Le labbra leggermente dischiuse erano secche al punto che le screpolature sembravano crepe nella carne. Il rosa della pelle era scivolato via lasciando solo un pallore spettrale.

Il petto non sembrava nemmeno sollevarsi per resporare e gli arti erano fermi da così tanto tempo che avrebbero potuto essere di gesso e rischiare di frantumarsi al minimo movimento. I capelli invece, erano cera ramata solidificatasi un attimo prima di colare a terra.

Da quanto era immobile?

Non ne aveva idea.

Aveva perso la cognizione del tempo... un'eternità prima.

La sua mente era lì, nella sua stanza, nel presente.

E allo stesso tempo è altrove, in un altro posto, nel passato.

È steso su un letto, in una stanza bianca e azzurra, vuota e inondata di luce accecante.

Le lenzuola madide di sudore lo avvolgono stretto, imbrigliandolo e bloccandolo sempre di più mentre si dimena in maniera incontrollata, incapace di ricongiungere la mente e il corpo.

Poteva sentire il lamento delle molle del letto che aveva accompagnato ogni suo movimento e la presa delle lenzuola che gli avevano sfregato la pelle bollente.

Scalcia, urla e si dimena, ma non serve a niente.

Si rovescia pesantemente giù dal letto d'ospedale. I suoi occhi si spalancano, ma non vedono nulla.

Nulla di reale.

Poteva percepire il contatto con il pavimento gelido come si vi fosse stato steso in quel momento.

Sentiva i suoni distorti che lo avevano circondato, le voci che gli giungevano attutite come se avesse avuto la testa sotto l'acqua.

La morsa è sempre più stretta.

La presa sulla realtà sempre meno salda.

Braccia e gambe si muovono senza controllo, infuocate dal formicolio tipico dell'intorpidimento. Lo stomaco si contrae di colpo, più volte, come se si trovasse su un enorme aereo che ondeggia tra vuoti d'aria.

Sta scivolando via, sempre di più.

Ma verso dove? Verso dove, Leith?

Non capiva.

Quante volte aveva rivissuto quello stesso ricordo e si era posto quella domanda?

All'improvviso, un sussulto.
Una contrazione.
Un'implosione.

Per un momento, vede.
E la realtà è così lucida...
Così tagliente..
Così estrenea.

È passato troppo tempo.

Un volto preoccupato a poca distanza dal suo. Una presenza familiare, giusta.

Il mio volto.

Si vedeva com'era davvero, non nella finzione simmetrica tipica degli specchi.

Fissava il suo stesso viso, ma dall'esterno.
Ed era estremamente sbagliato.

Come se in qualche modo gli avessero rivoltato gli occhi. Come se avessero rivoltato tutto il suo corpo e lui si fosse trovato all'eterno senza però smettere di essere se stesso.

Scatta in avanti, alla disperata ricerca di un appiglio concreto, di un'ancora per trascinarsi di nuovo in superficie e per riemergere nella realtà.

Afferra un braccio.
Stringe forte.

Il contatto è piacevole e rassicurante.

Il mio braccio.

Era assurdo.

Logan poteva sentire - contemporaneamente - la pelle fresca dell'avambraccio sotto le dita e le dita bollenti sulla pelle dello stesso avambraccio.

La stretta e l'atto di stringere.

Era come se in qualche modo i ricordo di Leith si fossero trasferiti in lui e potesse riviverli a piacimento, quasi fossero stati suoi.

Il sollievo è una scarica revitalizzante.

Per un istante infinito tutto tace.
Per un istante riassapora la calma e la tranquillità.
Per un istante - prima di scivolare via un'ultima volta.

Riconosce il volto. Sembra quasi il suo, a dire il vero.

«Sei tu fratello.»

«Sono io.»

Poi un risucchio,
semplice e vitale come un respiro.

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753 parole

E dire che credevo che il massimo di 2000 parole mi stesse stretto.

Continuo a sorprendere me stessa.

Chissà se ci avete capito qualcosa, nel complesso.

Artemide

P.S.
Il cambiamento di tempo verbale è voluto (giusto per essere chiari) e ovviamente ho scelto il flashback

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