Capitolo 3

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Sophia's pov

Apro gli occhi con in testa ancora il ricordo del sogno fatto stanotte.
Una donna sorridente che mi guida lungo uno stretto sentiero dentro la foresta. Alla fine sbuchiamo in un campo, il solito campo di fiori e lei continua a sorridermi e a dirmi che andrà tutto bene. Poi mi sveglio. Appoggio i piedi sul pavimento freddo della stanza e mi alzo trascinando per terra il camice bianco che indosso.
Nella mensa ci servono la colazione, tutti insieme, tutti omologati. Delle persone mi fissano, in fondo alla sala, con stampato sul volto un sorriso cupo. È da un po' di giorni che mi seguono. Quando sto da sola me li ritrovo sempre dietro. A volte provano a farmi del male ma io non glielo permetto. Anche se ieri mattina ho trovato un segno rosso sul braccio.
Mangio lentamente guardando le persone che mi circondano. Non mi comunicano niente. Guardo altrove. Intanto loro mi fissano.

Mi ricordo di qualche giorno fa, in cui mi hanno portato in una stanza buia, con dei dottori all'interno che parlavano sottovoce. Ho visto uno dei miei accompagnatori mostrargli un cartellino. Non ho capito tutto quello che vi era scritto, ma ricordo di aver letto "Sophia Green, schizofrenia-anaffetività". Quello era il mio nome, ma le altre parole mi sembravano così prive di significato. Dopo di che mi hanno fatto qualche domanda e poi mi hanno portato via. Solitamente parlo poco, anche questa volta è andata così, infatti quando sono uscita ho visto sui loro volti un espressione di delusione.

Nel pomeriggio sto dentro la mia stanza. Sento continui rumori inquietanti e cerco di non guardare quelle sagome sorridenti.
Ogni tanto arriva un'infermiera che mi chiede come sto e se ho bisogno di qualcosa. Io faccio cenno di no con la testa, senza parlare di quei mostri presenti ovunque. Penso sarebbe inutile, dirgli la mia verità, così tanto diversa dalla loro.

La sera ci fanno uscire, come al solito. Loro mi aspettano li, per consolarmi. Quando sto con i miei amici, i personaggi cattivi non vengono.
Non ho paura, con loro.

In questo momento sono accovacciata sull'erba, e guardo i miei piccoli amici. Mi chiedono come va, ma io non rispondo. Gli parlo invece della mia giornata, anche di quel cartellino.
Ad un tratto sento dei passi che si avvicinano dietro di me. Sento un leggero ticchettio sulla spalla e mi volto impaurita. Sopra di me un ragazzo alto, i capelli del colore del grano, gli occhi scuri e un espressione interrogativa sul volto.
"Con chi stai parlando?" Mi chiede incuriosito.
Io sto in silenzio.
"Sei una di poche parole?"
Annuisco lentamente.
"Va bene, allora comincio io, ti va? Sono Mark, e soffro di una malattia chiamata nevrosi ossessiva.."
Il ragazzo parla ma io non lo ascolto più. Troppe parole mi danno fastidio, preferisco il silenzio.
Ad un certo punto mi alzo senza dire una parola e torno nella mia stanza.
Quando mi volto lui mi sta guardando, leggo la tristezza sul suo volto.
Continuo indifferente a camminare, e poi a correre, finché non sento sotto di me le piastrelle gelide della mia stanza.
Sento il cuore battere forte, mi rendo conto di avere paura, molta paura di quel ragazzo.
Nessuno al di fuori dei dottori mi aveva mai rivolto la parola. Mi chiedo cosa voglia lui da me. Non trovo una risposta a questa domanda. Meglio non trovarla mai, penso prima di addormentarmi.

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