Capitolo 9

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Sophia's pov

Quando mi sveglio, quella mattina, non sono sola nella mia stanza.
C'è un ragazzo, quello dell'altra volta. La prima cosa che mi chiedo è se anche gli altri lo possano vedere, anche se ho l'impressione che si, lui sia reale.
Rimango a fissarlo e lui non fa nulla, finché con un braccio, non gli intimo di andarsene.
Lui resta fermo, come impietrito e poi mi si avvicina lentamente. Ho paura di lui, e non è la prima volta.
Osservandolo da vicino noto però dei tratti familiari, come se avessi già visto quel volto in passato.
Qualche secondo ancora e poi si rivolge a me:
"Sophia, ascolta, io ti posso aiutare."
"Nessuno mi può aiutare. Esci dalla mia stanza, adesso." Lo incenerisco con lo sguardo.
"No, tu non capisci, permettimi di starti vicino, di aiutarti!" Mi guarda implorante.
"Mi dispiace, ma io non conosco te e tu non conosci me, quindi non vedo il motivo di tutta questa voglia di starmi accanto. E inoltre, io le persone le odio, ho già chi mi può aiutare."
"Non ti sei mai chiesta la ragione del perché sei qui? Non ricordi com'eri prima? Non ricordi com'era stare bene?
Perché rovinarti? Stai con me, con qualcuno di reale, e ci aiuteremo a vicenda. Gli amici che tu consideri tali, non solo non ti migliorano, anzi ti rendono pazza agli occhi degli altri!"
Non ce la faccio più ad ascoltarlo. Mi gira forte la testa, così chiudo gli occhi e mi accascio sul letto.
"Sophia, ti prego." Lo sento pregarmi.
Mentre mi addormento, lo sento dire il mio nome. Non so come faccia a conoscerlo e non capisco il perché di tutta questa voglia di aiutarmi, non avendomi mai visto prima d'ora. Sento qualcosa che mi sfugge, ma non ho voglia di scoprire cosa. Tutto ad un tratto vorrei solo riprendere la mia vita quotidiana, quella vuota, senza nessun cambiamento, ma a cui mi ero abituata.
Lo sento un'ultima volta prima di cadere nel sonno.
"Ti prego, ricordati di me."
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Non so quante ore siano passate, ma prima di aprire gli occhi sento impercettibilmente porte sbattere e persone che urlano. Sollevo lentamente le palpebre e il ragazzo non c'è più. Meglio così, mi dico.
Ad un tratto entra un'infermiera nella mia cella, accompagnata da lui.
"Ti ha fatto o detto qualcosa?" Mi chiede con aria impaurita.
Io faccio cenno di no con la testa.
"Non l'ho mai visto prima d'ora." Loro non contano sulla mia capacità di mentire.
Il ragazzo sorride. Io mentalmente mi ripeto di averlo fatto solo ed esclusivamente per cortesia, dato il fatto che lui voglia così tanto aiutarmi.
L'infermiera esce, ma dopo qualche minuto rientra.
"Qui fuori c'è una ragazza che dice di averlo visto entrare nella tua cella. È severamente vietata un'infrazione del genere. E merita una punizione."
Con questo richiude la porta ma non torna più. Per la prima volta ho paura per qualcun altro. Nella stanza ora sono sola, a parte per quelle sagome sorridenti che ormai fanno parte della mia vita. Continuando a sorridere, mi indicano la porta della cella. Decido di assecondarli.
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Scusate per la lunghezza penosa dei capitoli! I prossimi li farò più lunghi.
Scusate anche eventuali errori, spero che la storia vi piaccia!
Un bacio💕
Sara

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