Capitolo 11

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Sophia's pov

Non so chi possa avermi convinto a fare una cosa del genere.
Una ragazza, al quale non importa di nessuno, che si ritrova a introdursi nei sotterranei in piena notte per liberare un totale sconosciuto.

"Io non credo sia un totale sconosciuto.."

"Oh, ma stai zitta, vocina di merda."

Anche se so che ha ragione, (non ci posso credere, mi sto dando ragione da sola) dentro di me io sento di averlo già visto, di averlo già conosciuto, anche se non so ne dove, né quando.

Un'infermiera mi distoglie dai miei pensieri entrando nella stanza e lasciando un bigliettino sul comodino accanto al letto.
Esso dice:

"A tutti i pazienti dell'istituto, siamo tenuti a informare, che oggi si andrà a visitare l'orfanotrofio di San Marco, per prelevare alcuni ragazzi affetti da disturbi.Qualsiasi infrazione verrà severamente punita."

Rimango sorpresa dal biglietto. Non siamo mai usciti dalla casa di cura, anche se non mi sono mai chiesta il perché. La prima cosa che mi domando è se verrà anche lui. Mi zittisco immediatamente.

Ci fanno mettere in tre file, da loro stabilite.
Scorgo Mark, che mi fissa dalla seconda fila. Appena nota che anche io lo guardo, sorride ed io distolgo immediatamente lo sguardo.

Ci dividono successivamente in due pullman. Il posto accanto me è occupato da un ragazzo con i capelli neri e gli occhi verdi, che cerca ripetutamente di rubarmi la borsetta portata con me. Chiamo varie volte le infermiere che però assicurano che il posto accanto a me è vuoto.

Quando arriviamo davanti all'istituto noto dei bambini affacciati alle finestre ai piani superiori. I loro sguardi sono accesi dalla speranza, che si spegne appena scoprono il nostro reale intento.
Non ci fanno fare niente, un semplice pasto davanti al muro dell'orfanotrofio e un piccolo giro per intimorirci. Dopo di che portano via i bambini, uno ad uno, davanti ai nostri occhi. I loro volti sono accesi dalla paura, sono ancora piccoli, penso io, per rovinarsi. Piangono, gridano, strepitano, ma nulla da fare, sono condannati.
Uno di loro mi guarda prima di venire rinchiuso in una macchina. Lo vedo toccare più volte la portiera prima di entrare, e poi non lo vedo più. Anche Mark toccava gli oggetti più volte, ieri, penso io.

Il giro nell'orfanotrofio è lungo e noioso. Le stanze tutte uguali, oserei dire ancora più tristi della casa di cura, ma non vorrei esagerare.
Ad un certo punto noto una cella, piccola, indifferente rispetto a tante altre, ma che fa scattare qualcosa. La sento quasi..familiare. Mi allontano a piccoli passi, dal gruppo, senza farmi notare.

"Come se qualcuno potesse notarti." Dice la solita vocina dentro di me.

La stanza non è vuota, dentro noto qualcuno, una donna probabilmente. Ha i capelli biondi che le scendono in piccole onde sulle spalle, e gli occhi grigi. È di bassa statura, un po' sovrappeso, ma in modo piacevole. È bellissima.
La donna sorride, e mi incita a venire di fianco a lei. In mano ha un cesto, e gentilmente me lo porge. Poi scompare.

Improvvisamente sento dei passi dietro di me. Mi giro impaurita ma è solo lui. Sono ancora imbarazzata per averlo aiutato, ieri.

"Che vuoi?" Chiedo scontrosa nascondendo il cesto dietro la schiena.

"Che cos'hai li dietro?" Chiede invece lui.

"Non sono affari tuoi." Mormoro con rabbia.

"Fammi vedere su." Si sposta dietro di me per guardare, e fa una faccia sorpresa.

"Che c'è, non ti piace?" Chiedo.

"Cosa intendi? Qui non c'è niente."

"Cosa dici! Sei anche tu come loro!" Sbotto delusa. Le lacrime minacciano di uscire, ma io le fermo in tempo.

Inaspettatamente lui mi abbraccia ed io sorpresa non muovo un muscolo per fermarlo, anche se non ricambio.
Quando si stacca ha un lieve rossore sulle guance, ed io non posso fare a meno di sorridere. Quando mi accorgo di quello che sto realmente facendo, smetto subito e corro via, verso il gruppo, senza dargli il tempo di raggiungermi.
Lo ritrovo comunque dietro di me durante la corsa.

"Dov'è il pullman?" Gli domando una volta fuori.

"Non ne ho idea." Subito vedo la pura farsi spazio nel suo volto, prima sorridente.

"Io invece si. Sono andati via." Dico con un ghigno.

Lui mi guarda con orrore, poi urla:

"No! Lui non voleva così. Lui vuole che torno prima della fine della giornata oppure..." Si blocca e scoppia a piangere. Io rimango immobile, incapace di aiutarlo e mi allontano spaventata dal suo atteggiamento. Il pullman è partito. Siamo soli, solo io e lui, penso con sgomento. Al tempo stesso però, anche se non lo ammetterei mai, sono sollevata di essere con lui e non con qualcun altro.

Quando torno, Mark sta ancora piangendo. Mi sento stranamente triste per lui, così gli carezzo dolcemente la schiena. Poi gli dico sorridendo:

"Se questo lui ha detto di tornare a casa prima di stasera, ci conviene muoverci, non credi?"

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