HARRY
Era passata una settimana da quando avevo ritrovato Niall, e durante quel periodo di tempo non mi ero più fatto vedere.
Chissà se stava ancora lavorando al Babylon, chissà se quel pezzo di merda di suo padre gli aveva procurato qualche altra ferita, chissà se si era visto con Louis al locale.
Louis. Ero sparito senza ringraziare nemmeno lui e, ogni volta che indossavo i vestiti che mi aveva regalato, cioè sempre, dato che erano gli unici che avevo, mi veniva un sorriso spontaneo.
E' per questo che finalmente mi ero deciso ad accettare il lavoro che il mio amico italiano mi stava offrendo da mesi. Ora ricordo perfettamente il suo nome: si chiama Davide e ha circa dieci anni più di me.
Quando non dovevo servire ai tavoli intrattenevo la gente cantando, compresa quella che stava all'esterno, per attirarla verso il nostro piccolo locale.
Funzionava, e probabilmente lui lo sapeva, tanto che mi permetteva di tenermi le elemosine che mi rilasciavano.
Non mi ero reso ancora conto, però, che Davide non mi considerava solo un amico, un suo dipendente, non l'aveva mai fatto, faceva solo finta di essere più forte dei suoi sentimenti, perché per lui ero solo un ragazzino.
E io fui troppo ingenuo da pensare che gli facessi solo pena, che si sentisse in dovere di aiutarmi perché non gli piaceva vedermi per strada.
Mi sbagliavo di grosso: lui non voleva vedermi per strada, perché voleva vedermi nel suo letto. Lo capii quando, mortificato per aver rovesciato un vassoio con delle bibite, andai a scusarmi aspettandomi un cazziatone epico, e invece me lo ritrovai a stringermi e mordermi l'orecchio in un, disse lui, "istinto naturale".
Mi aveva baciato per la prima volta tre sere dopo, ma non aveva fatto una piega quando aveva notato, staccandosi con vergogna, che non avevo ricambiato. Mi era piaciuto, ma non avevo ricambiato, perché per un nanosecondo, mentre mi si avvicinò, avevo visto il viso di Louis al posto del suo. E mi sentii un cretino.
Perché era ovvio che a Louis non interessassi minimamente, perché ancora mi risuonavano nelle orecchie quelle parole lapidarie quando ero a casa sua con Niall.
Era passata una settimana senza sapere sue notizie, e mi faceva rabbia sapere che io avevo mille possibilità di ritrovarlo, mentre a lui non gliene avevo data nessuna.
Perché ti stai lamentando, allora, Harry? Avete ragione: sono un cretino, ecco perché.Vivo ancora nel rifugio per senzatetto, che ormai è sempre meno affollato, tra chi muore, chi viene arrestato e altro. Vivo ancora qui perché non me la sento di andare da Davide, ed ho ancora troppo pochi soldi per una casa, anche piccola.
Probabilmente ci avrei vissuto per sempre, se avessi continuato ad ascoltare il mio orgoglio, e lo avrei fatto se non fosse stato sgombrato dalla polizia.
Dormivo beatamente, dopo aver staccato da lavoro, aver chiuso la pizzeria e salutato Davide con un bacio a fior di labbra. Su quest'ultimo punto non voglio commenti, grazie.
Dormivo, dicevo, beatamente, fino a quando la porta malandata di quel rifugio ancora più malandato, venne buttata giù e l'interno venne illuminato da torce e la quiete interrotta da ordini dati all'altoparlante.
Ci comandavano di alzarci per aiutarli ad identificarci e, per la prima volta, ebbi una paura matta: non avevo ancora documenti, ero stato con Davide da pochi giorni all'ufficio del registro, perché non avevo un cognome, e ci era stato detto che ci sarebbe voluto un po'.
Avevo solo una specie di permesso di soggiorno e lavoro, ma per la polizia non sarebbe stato abbastanza, ne ero certo. E non mi sbagliai quando vidi un poliziotto tirar fuori delle manette e tentare di mettermele ai polsi, dopo aver constatato che non aveva come identificarmi.
Non gli permisi di toccarmi, scappai nella direzione opposta, vidi una finestra, la scavalcai ed uscii. Ma purtroppo la mia fuga finì lì, quando mi ritrovai quasi addosso ad un altro gruppo di poliziotti con manganelli che sembravano aspettare proprio me.
"Ragazzo, non costringerci a passare alle maniere forti" mi dice uno di loro, come se non sapessi che mi avrebbero picchiato comunque. Mi diede, infatti, un pugno nello stomaco, e io caddi a terra, quasi svenuto. Non avevo forze per reagire, pensai a Niall che provava quel dolore continuamente e mi resi conto che era giusto prenderne una parte anche io. Fossi stato in lui avrei chiesto a quei poliziotti di partecipare alle percosse.
Con la vista annebbiata e il respiro affannato, non mi opposi quando mi ammanettarono e mi infilarono in uno dei loro furgoni, già gremito di persone come me.
Stavo andando in prigione, e non sapevo come avvisare almeno Davide, per farmi tirare fuori.
Non potevo dire a nessuno di lui, lo avrebbero messo dentro con me, per aver dato lavoro ad un sedicenne senza documenti. Speravo, quindi, che mi avrebbero concesso almeno una telefonata.
Quella fu ufficialmente la notte peggiore della mia vita, ma mai avrei pensato che il peggio dovesse ancora venire, quando, nemmeno un'ora dopo il mio risveglio al mattino, vidi, attraverso le sbarre, il volto sorridente di Louis Tomlinson.
**
LOUIS
Non era così che dovevano andare le cose, ma come avrei potuto fare a trovarlo? No, non pensate che abbia il potere di indire lo sgombero di tutti i rifugi per senzatetto di Londra, semplicemente avevo chiesto quale fosse il più vicino alla zona in cui lo avevo incontrato, e chiesto a mio padre, che è avvocato, di trovare una scusa.
Ne sgombrarono tre prima di trovare quello giusto, quello con, apparentemente, l'unico ospite sotto i quarant'anni. Nessuno degli altri venne arrestato, non che io sappia, almeno, anzi, vennero mandati in centri di accoglienza e case famiglia. Almeno così avevano detto le autorità, non mi preoccupai di verificare, perché di quelle persone non mi importava nulla.
A mio padre avevo detto che un senzatetto aveva importunato me e i miei amici, fui talmente convincente che lui, adirato, se ne uscì con un giro di telefonate al commissario di polizia suo amico, chiedendogli di intervenire in qualche modo.
Fu una mossa subdola, me ne rendo conto, una mossa che non mi avrebbe mai fatto entrare nelle grazie di Harry, ma non mi importava, dovevo rivederlo, anche solo per mettere le cose in chiaro.
Ecco perché, senza alcuna vergogna, mi presentai davanti alla sua cella, con l'espressione più rilassata che potessi fingere, per sostenere il suo sguardo pieno di odio e delusione.
"Cosa ci fai qui, Louis?" mi chiede senza nemmeno alzarsi dalla brandina dove stava accasciato, nè guardarmi.
Ma io non rispondo, sto ancora cercando di organizzare nella mia testa le parole che avrei potuto dirgli, ma invano, perché quando pensavo di averle trovate, lui alza lo sguardo e a me manca il respiro a vedere il suo volto tumefatto dai lividi e dal sangue rappreso.
"Chi... chi è stato a ridurti così, Harry? Io non... non pensavo che... oh dio, Harry, io volevo solo rivederti, ho fatto solo un gran casino!" dico, perdendo tutta la mia serietà.
"Tu... tu non pensavi, eh, Louis? E dimmi... cosa volevi fare, invece? Tirarmi fuori di qui fingendo di essere il mio salvatore, e pretendendo cosa, Lou? Non sono un giocattolo, tantomeno il tuo, e se sei così annoiato dalla vita, ti consiglio di sfogarti su qualcun altro!" mi sputa contro lui, col volto che diventa sempre più rosso per l'ira e un taglio vicino al labbro superiore che si riapre e da cui comincia ad uscire leggermente del sangue.
Non posso vederlo così, cosa mi era saltato in mente? Harry per me era un raggio di sole, che cantava e rendeva felici tutti attorno solo ascoltandolo; era un ragazzino sfortunato che aveva già sofferto abbastanza; era un amico che si sentiva in debito; era una persona bisognosa di affetto e di cure. E io che cosa gli avevo dato? Solo altro dolore.
Cosa mi era saltato in mente di impicciarmi della sua vita? Cosa mi era saltato in mente quando avevo deciso di portarlo a casa mia o, peggio, di parlare di lui a mia madre?
"Harry, io..." provo a giustificarmi. Ma non ci riesco, quando vedo arrivare un uomo decisamente più grande di lui, che si avvicina alle sbarre della cella in lacrime e lo chiama singhiozzando.
In quel momento mi crolla il mondo addosso, quando vedo Harry alzarsi di scatto e andare da lui, prenderlo per il colletto della sua camicia e baciarlo come se non lo vedesse da millenni, come se stesse aspettando solo quello.
Non era vendetta, o forse sì, in ogni caso me lo meritavo.
Dovevo mandarlo in prigione per scoprire che non l'avevo trovato per una settimana intera perché a lui non andava che lo trovassi, perché di me non gli importava nulla.
"Davide, puoi tirarmi fuori di qui?" lo sento chiedere a quell'uomo.
"Certo, sono venuto anche per questo... ma quel tipo lì chi è?" chiede indicandomi.
"Nessuno, tesoro, stava andando via. Ti prego, portami via di qui prima possibile." gli risponde senza nemmeno voltarsi.
Nessuno.
Nessuno.
Non sono nessuno per lui.
Ovvio.
La gallina dalle uova d'oro, ecco cosa ero diventato, proprio come pensavo. Perché quelli che aveva addosso erano ancora i vestiti che gli avevo regalato, e cosa avrebbe fatto senza? Un uomo così non avrebbe mai potuto interessarsi ad uno straccione di sedici anni che viveva per strada, anzi, probabilmente non lo avrebbe nemmeno mai conosciuto.
Erano stati i miei vestiti ad aiutarlo. Indirettamente, ero stato io a farli incontrare.
Mi sentii talmente uno schifo che uscii di lì trattenendo a stento le lacrime.
Incrociai lo sguardo del poliziotto alla scrivania dell'ingresso che mi chiese "è pronto per firmare i documenti di rilascio, signor Tomlinson?"
Io cercai di ricompormi e rispondendo "no, ci sta già pensando qualcun altro" lo saluto e mi precipito in strada.
Non importa se mi vedrà qualcuno, scoppio a piangere come un bambino e lo faccio accasciandomi sui gradini sporchi di quell'ingresso per niente invitante.
Ho il viso sulle ginocchia quando squilla il telefono che mi avvisa dell'arrivo di un messaggio.
E' Zayn, che mi chiede se ho voglia di andare al Babylon quella sera.
Sono stato talmente distratto dalla storia 'ritrova Harry', che mi sono quasi del tutto dimenticato dei miei migliori amici ancora in crisi.
Leggendo quel messaggio capii che non dovevano aver ancora risolto, altrimenti Zayn sarebbe andato tranquillamente al locale con Liam chiedendomi, al massimo, se volevo unirmi a loro.
Ottimo. Una serata tra depressi, mi ci voleva proprio.
Risposi che a me stava bene e ci saremmo visti lì al solito orario, e mi diressi verso casa.
Ferie finite, storia da continuare.
Se passate di qui fatemi un fischio, vi ringrazio comunque tantissimo per aver letto le mie one shot, sono contenta che questo profilo stia prendendo piede, pensavo di non esserne capace, ahahahahah
Anyway, tornando alla storia, attendo, se ne avrete voglia, il vostro primo commento :)
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And This Is How It Ends
FanfictionIl mio nome è Harry, e questa è la storia di come sono morto.