Era difficile sapere cosa mi sarebbe successo quel giorno. Mi svegliai osservando il soffitto azzurrino della mia camera, sudato e sottosopra rispetto a come mi addormentavo di solito, tutto a causa di ricorrenti e sempre più frequenti incubi, quindi il fatto che la sveglia, impostata alle 6:40 di mattina fosse suonata "inspiegabilmente" a 7:15, era ancora sopportabile. M'infilai gli occhiali e svogliatamente mi trascinai in cucina. Trangugiai i miei cereali bevendo il latte a canna, senza scaldarlo, quello caldo mi faceva star male. Dato che, come mio solito, ero in ritardo, feci tutto con la mia proverbiale calma. Mamma, come sempre, con un gesto affettuoso, mi spazzolò i capelli castani tutti spettinati, lei è sempre l'ultima che lascia casa dopo di me per andare a lavorare, non se la prende se arrivo in ritardo a scuola, giustifica il tutto con il fatto che ho la media alta e poi, detto francamente, lei è di carattere mite di natura e non è il tipo di persona che si arrabbia facilmente. Afferrai lo zaino, graffiandomi il dito con la spilla del mio idolo, la torcia umana, "alla fine la dovrò sistemare" mi dissi, e con questi frivoli pensieri mi avviai alla porta per uscire e prendere il primo tram che mi fosse capitato, e lì successe di nuovo: afferrando la maniglia della porta notai che si formò della brina tutt'intorno, ma non ci feci troppo caso, era ordinaria amministrazione ormai. Uscendo e vedendo il tram che mi sfrecciava davanti, la mia "calma" svanì; succedeva così tutte le mattine, calmo e tranquillo mentre mi preparavo ma per il resto della giornata sempre di corsa, proprio non capivo! Corsi per cercare di attirare l'attenzione dell'autista che si fermò solo dopo un centinaio di metri e, aprendo le porte, mi disse con voce ironica: «Oh! Scusa John, non avevo proprio visto che ti stavi sbracciando per attirare la mia attenzione, sennò mi sarei fermato prima!». Accompagnò la scenetta con un sorrisetto strafottente e una risatina nervosa: mi trattenni a stento dal paragonare i suoi avi a dei mammiferi di forma suinoidale, mi pareva poco carino, nei confronti dei maiali s'intende! Arrivai a scuola tutto trafelato e incontrai Norman, un bidello talmente abbronzato da sembrare di bronzo; incredibilmente eravamo diventati amici mentre scontavo una punizione lo scorso dicembre.
«Di fretta come al solito?»
«Di fretta come al solito!» risposi io.
«Dopo ti porto la merenda, chiaramente se riesco a prenderla dalla mensa».
Lo ringraziai con un cenno della mano e con un grazie che si perse nei corridoi. Feci un respiro profondo, sapendo che forse nessuno avrebbe più creduto alla storia della sveglia che suonava in ritardo, anche perché era la quarta volta che raccontavo così ai professori, verità o meno che fosse. Infatti appena varcata la soglia della mia aula, mi accolsero le solite risatine e lo schiarirsi di voce del professor Bouldew, un burbero anziano che insegnava storia nella nostra piccola scuola e sfortunatamente, ne era anche il preside, il quale m'intimo di prendere posto al mio banco.
«La sveglia è suonata di nuovo tardi signor Blizzard?» mi chiese con un sorriso proveniente da sotto i folti baffi bianchi che non sapevo interpretare.
«Purtroppo si professore» ammisi con aria affranta.
«Dopo scuola verrà nel mio ufficio per discutere di questi frequenti ritardi»
Ancora non sapendo cosa mi aspettasse dopo, dissi tra me e me "coraggio John, cos'altro potrebbe andare storto"... povero ingenuo!
***
Entrai nell'ufficio del signor Bouldew, l'arredamento era composto da tappeti orientali di una qualche dinastia sconosciuta e da lampade dalla luce soffusa, bomboniere rilasciavano odore d'incenso e altre erbe aromatiche; se non l'avessi conosciuto bene, avrei giurato che quel settantenne fosse di etnia araba! Mi accomodai su una sedia guardandomi intorno; alle spalle della poltrona dove si sarebbe dovuto sedere il preside, c'era un grande quadro raffigurante una persona che non riconobbi, ma dall'aria severa pensai dovesse essere qualcuno d'importante. Un cigolio alle mie spalle mi fece capire che era arrivato: entrò con il suo passo goffo e, per rispetto, mi alzai sovrastando quell'omuncolo con i miei 188 cm d'altezza. Si accomodò sulla sedia, il maglioncino di lana rosso con i rombi bianchi faticò a trattenere la sua pancia spropositata, appoggiò le tozze dita sui braccioli della poltroncina e trasse un profondo respiro. Mi guardò quindi con i suoi occhi verdi scuro, profondi e segnati dalla vecchiaia e poi parlò: «John Blizzard, come ben saprai, questa è una delle scuole più rinomate della regione e solo i migliori, con un QI superiore alla media, vengono accettati».

STAI LEGGENDO
John Blizzard: l'ora degli astrali
Fantasi«E quello chi è?!» Mi urlò Daw praticamente nell’orecchio; non l’avevo nemmeno sentito avvicinarsi, quando voleva era dannatamente silenzioso! Però aveva ragione, in mezzo alle rotaie del tram, a una trentina di metri di fronte a noi si stagliava un...