Capitolo 4

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Ashton POV

Una cameriera dai capelli a caschetto biondi ci raggiunse al tavolino, con un block-notes per prendere le ordinazioni.
"Che cosa desiderate?" chiese indifferente la ragazza bionda, masticando poco elegantemente una chewing-gum.
"Ehm... due cioccolate calde, grazie" ordinai io gentilmente.
La guardai voltarci le spalle e allontanarsi senza dire una parola.
Mi piaceva essere gentile e sorridente, sempre e con chiunque.
Insomma, tutti possono avere una giornata migliore se invece di essere tristi provano ad essere positivi ed a sorridere un po' di più, no?
Spostai nuovamente l'attenzione sulla ragazza di fronte a me, che in quel momento era impegnata ad osservare intorno, estasiata.
Il piccolo negozietto era pieno di cioccolata, di qualsiasi tipo.
Barrette, creme al cioccolato, cioccolatini, piccoli biscottini al cacao, tutto ciò di cui si ha bisogno quando si è un po' giù di morale.
"Ti piace?" chiesi io divertito.
Lei mi guardò per qualche secondo, annuendo debolmente.
Poi riprese a guardarsi intorno, ma non con la stessa attenzione di prima.
Stava chiaramente pensando a qualcosa, ma non accennava ad aprir bocca.
Così feci un tentativo.
"Studi?" domandai
"Frequento la Sidney High School, sono all'ultimo anno."
"E quindi hai 18 anni."
"Già. Tu?" chiese, ma non sembrava molto interessata.
"Ne ho 21."
Certo, ero sempre stato un tipo loquace, ma quella volta non sapevo veramente come intavolare un discorso che non morisse dopo due secondi.
Non sembrava interessata a nulla che non fossero i suoi pensieri.
Ero quasi tentato a dirglielo, ma non feci in tempo.
"Come... come fai a conoscere questo posto?" chiese lei leggermente titubante, stavolta guardandomi negli occhi.
Ero stupito, piacevolmente stupito.
Finalmente aveva fatto una domanda.
"Be', mia madre lavorava qui qualche tempo fa, finchè non ha trovato un lavoro migliore. Sai, dev'essere dura essere una madre single e mantenere tre figli lavorando in questo piccolo negozietto." dissi ridacchiando.
"Mi piacerebbe avere due fratelli, dev'essere divertente" disse lei sorridendo appena.
Mi piaceva il suo sorriso.
"In realtà ho un fratello ed una sorella, Harry e Lauren. Sono entrambi più piccoli di me e sono due pesti, mi fanno impazzire."
"Puoi dire quello che vuoi, ma da come ne parli si capisce che li adori" disse dopo qualche secondo, continuando a sorridere, come se la cosa la divertisse.
Poi, ritornò immediatamente seria, mordendosi appena il labbro inferiore.
Forse sperava che io non avessi notato il suo meraviglioso sorriso, invece lo avevo notato, eccome.
Ma perchè si ostinava a non lasciarsi andare qualche volta?
"È vero" dissi dopo un po', con un'alzata di spalle.
"Ecco a voi" disse la cameriera, che nel frattempo ci aveva raggiunti e aveva appoggiato le due tazze fumanti sul tavolo, davanti a noi.
Poi sparì nuovamente dietro il bancone.
Sarah cominciò a bere dalla sua tazza e io la imitai subito dopo aver versato un'intera bustina di zucchero nella mia cioccolata.
"Zucchero nella cioccolata calda?" disse lei con una faccia disgustata dopo averne bevuto un sorso della sua.
"Amo le cose dolci" risposi io semplicemente.
Lei alzò le spalle e tornò ad occuparsi della sua cioccolata.
"Hai detto che tua madre è da sola. E tuo padre?" domandò curiosa lei dopo qualche minuto.
"Mio padre se n'è andato, quando avevo circa 10 anni. Ci ha abbandonati, non merita di essere chiamato 'padre'. Non c'è mai stato per i suoi figli" sussurrai.
"Be', sempre meglio che avere un padre come il mio" disse cauta lei.
La guardai torvo per un po', poi mi morsi il labbro inferiore.
Ero furioso.
Possibile che non capisse?
Nonostante fossero passati undici anni da quando se n'era andato era una ferita che bruciava ancora.
Non tanto per me, io avevo vissuto la mia infanzia con entrambi i miei genitori, e mi potevo dire felice di questo.
Ma quell'uomo aveva totalmente negato a Lauren e Harry la gioia di avere un padre presente nella loro vita.
E questo non glielo avrei mai perdonato.
Sarah parve accorgersi del mio repentino cambio di umore, infatti abbassò lo sguardo imbarazzata, come per scusarsi con me per aver tirato fuori l'argomento.
"Non ti preoccupare, non è colpa tua. Sono solo ancora arrabbiato con lui" la rassicurai io.
Lei aveva bisogno di sicurezza, aveva bisogno di una certezza nella sua vita.
Lo avevo capito dal primo momento.
E non riuscivo a smettere di pensare che, sebbene così distanti e diversi, in fondo eravamo più simili di quanto pensassi.
Lei mi guardò coi suoi bellissimi occhi scuri sbarrati, come per cercare la conferma di quello che avevo appena detto.
Poi annuì appena, finendo finalmente la sua cioccolata.
Dopo aver pagato, uscimmo.
Era ottobre, ma tutto sommato il sole splendeva ed era una bella giornata.
"Ti va di andare a fare un giro?" chiesi insicuro.
Non sapevo come avrebbe reagito alla mia domanda, ma decisi di tentare comunque.
Mi squadrò per un po'.
"Non lo so... forse è meglio se torno a casa" disse lei cupa.
"D'accordo, ti accompagno" mi offrii gentilmente io, sorridendole.
"Okay" soffiò lei, cercando di sembrare infastidita, ma potei giurare di vederla sorridere appena.
E con quella certezza, di essere riuscito a farla sorridere tre volte nell'arco di un pomeriggio, l'accompagnai a casa.
Una volta arrivati davanti a casa sua, eravamo entrambi piuttosto imbarazzati.
Come l'avrei dovuta salutare?
Avrei dovuto abbracciarla?
Salutarla con un indifferente 'ciao'?
In quel momento era come se fossimo troppo poco per definirci amici, ma allo stesso tempo sapevamo troppo l'uno dell'altra per definirci semplicemente conoscenti.
Così restammo in silenzio a fissarci, imbarazzati.
Poi infine, fui io a prendere il coraggio e, finalmente, a rompere il ghiaccio.
"Bene, allora io vado. Ci sentiamo, be' sì, insomma, sempre se tu vuoi"
"Okay" sussurò lei piano, fissandosi le scarpe come se le trovasse estremamente interessanti.
"Ciao" disse alla fine ed entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Mentre me ne tornavo silenzioso verso casa mia non riuscivo a smettere di pensare che nonostante Sarah non fosse particolarmente loquace ed a volte anche un po' acida, quel pomeriggio fu davvero molto divertente e interessante.
Per qualche ragione quella ragazza un po' lunatica mi stava già a cuore, e credevo fermamente che sarebbe potuta nascere una bella amicizia.
E mi sarei davvero impegnato perchè non avrei permesso che qualcuno continuasse a farle male.
Lei non lo meritava affatto.
Io ci sarei stato per lei, sempre, perchè anche se non voleva ammetterlo, aveva bisogno di qualcuno che le stesse vicino, aveva bisogno di me.
E forse, in fondo, anche io avevo bisogno di lei.

Jet Black Heart [Ashton Irwin]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora