Capitolo 7

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Ashton POV

Vidi un uomo, molto più alto e grosso di Sarah, che la stava tirando per i capelli.

Per un attimo rimasi immobilizzato dal terrore, ma poi capii che dovevo fare qualcosa, altrimenti sarebbe finita molto male.

"Lasciala stare, non provare a toccarla!" urlai furibondo con tutto il fiato che avevo in corpo.
L'uomo si voltò di scatto e mi guardò furioso.

"E tu chi diavolo sei?" domandò avanzando verso di me con fare minaccioso.
Mi accorsi subito che barcollava visibilmente ed avvertii un forte odore di alcool.

Temevo che mi avrebbe fatto del male se non fossi uscito subito da quella casa, ma almeno aveva lasciato stare Sarah che in quel momento era immobile in un angolo e singhiozzava.

Reagii d'istinto: corsi da Sarah e la trascinaii fuori da casa, il più lontano possibile.

Sapevo che non ci avrebbe mai raggiunto perchè a malapena si reggeva in piedi, ma le mie gambe si muovevano da sole.

Corremmo per un bel po', ma poi vidi un piccolo parchetto e decisi di far sedere Sarah all'ombra di un albero.

Non sapevo come comportarmi, nè cosa dire, così mi sedetti cautamente accanto a lei.

La lasciai piangere per un po' senza dire una parola.
Quando si calmò la guardai e lei ricambiò lo sguardo.

Aveva gli occhi più belli che avessi mai visto, ma eravo ancora logorati dal terrore e dalla malinconia.
Avrei voluto vedere i suoi occhi brillare per sempre, come quando sorrideva, perchè non c'era niente di più bello al mondo.

Appoggiai delicatamente la mia mano sulla sua esile gamba, con il palmo rivolto verso l'alto, e lei sembrò capire.

Fece scivolare dolcemente la sua mano nella mia ed intrecciò le sue dita con le mie.
Poi strinsi la sua mano, per provare ad infonderle un po' di forza.
Era a pezzi e io sentivo il bisogno di riaggiustarla.

Pianse ancora per un po', ed io non avevo il coraggio di fare nulla se non ascoltare i suoi singhiozzi in silenzio.

"Ashton, mi dispiace. Non avresti dovuto assistere a questa scena"
disse lei dispiaciuta e imbarazzata dopo qualche minuto di silenzio.
Sembrava sul punto di piangere di nuovo.
Era così fragile in quel momento.

"Non lo dire nemmeno, non è colpa tua" le risposi rassicurante, accarezzandole la mano con il pollice.

"Mio padre ha un problema con l'alcool, lo so. Il fatto è che mia madre è troppo debole per poter reagire, e quindi spetta a me riaggiustare tutto" sussurrò, più a se stessa che a me.
"Sento sempre il peso di dover mantere salda la nostra famiglia, ma che in realtà sta cadendo a pezzi. Come posso fare io? Semplicemente non ce la faccio, e vorrei mollare tutto" terminò, e tolse bruscamente la mano dalla mia.

"Lasciati aiutare Sarah. Non sei sola a questo mondo" dissi mentre la guardavo alzarsi in piedi.

"No. Questi sono i miei problemi, e non voglio che qualcun'altro rimanga ferito per colpa mia" disse allontanandosi di qualche passo.
Al che mi alzai anche io.

"Non puoi dire sul serio. Tu credi davvero che ti lascerò andare via così?"
"Dovresti."
"E invece sai una cosa? Io rimango accanto a te, non ti abbandono."
"Bene, tanto sono io ad andarmene."
"E allora io verrò con te."
"Ashton..." mi guardò come per supplicarmi di allontarmi da lei il più possibile.

"Lo capisci che non ti lascerò tornare a casa adesso, vero?" le domandai guardandola negli occhi.
"Sei tu che non capisci. L'ho sopportato tante volte, una in più non fará la differenza. E poi non dovresti immischiarti in cose più grandi di te."
Detto questo, si girò e si allontanò da me.

"Sarah" la richiamai, e lei si girò per guardarmi.
"Promettimi che non farai cazzate, ti prego" dissi guardandola supplichevole.
Lei abbassò lo sguardo.
Dopodichè si girò e continuò a camminare, ed io la guardai andare via impassibile, non sapendo proprio come comportarmi.

Avrei voluto correrle dietro e dirle che sarei rimasto al suo fianco, eppure l'unica cosa che riuscii a fare in quel momento fu avvisare Luke che lo avrei raggiunto a breve.

*

"Ashton! Finalmente" gridò Luke con il suo solito entusiasmo.
Michael, di fianco a lui, mi sorrise.

"Ciao" risposi semplicemente io.
Non avevo affatto voglia di ridere o scherzare perchè il pensiero di quello che Sarah stava subendo, o che subiva tutti i giorni, mi faceva male.
Eppure non potevo fare nulla per aiutarla, perchè era proprio lei a non volersi fare aiutare.
In quel momento avevo solo voglia di suonare qualcosa per sfogarmi un po'.

"Dai, suoniamo" dissi senza nemmeno guardarlo.
Lui mi guardò stranito, ma andò a prendere la sua chitarra senza protestare e Michael lo seguì.

In realtà mancava il nostro bassista, ma a volte suonavamo solo per divertimento o per trovare nuovi accordi interessanti.

Così impugnai le mie bacchette e raggiunsi la mia amata batteria. Cercai tutta l'energia di cui avevo bisogno in quel momento.

Un colpo.
Pensai a mia madre ed a tutto quello che faceva per me ed i miei fratelli tutti i giorni, senza mai chiedere l'aiuto di nessuno e senza mostrare quanto soffrisse in realtá.

Due colpi.
Pensai a mio padre, quel bastardo che ci aveva abbandonato, lasciando mia madre senza una spiegazione, privando i miei fratelli di una figura paterna di riferimento e lasciandomi un peso sulle spalle molto difficile da gestire.

Tre colpi.
Pensai a Sarah, quella ragazza tanto sofferente quanto testarda, che non voleva assolutamente farsi aiutare ma che allo stesso tempo mi teneva legato a sè perchè per qualche motivo io mi sentivo in dovere di farlo.

Piano piano la mia mente si svuotò di tutti i pensieri, di tutte le paure, le preoccupazioni, le ansie, le responsabilità che ogni giorno mi tormentavano.

Ero dovuto crescere molto in fretta facendo quasi da genitore per i miei fratelli e la musica era l'unica cosa che mi faceva sentire ancora un adolescente pieno di speranza e oppurtunità e che mi impediva di crollare.

Quando, dopo una settimana difficile, mi trovavo con i miei migliori amici a suonare in quel vecchio garage che puzzava di antico, mi liberavo di tutto quanto, capivo che nulla poteva andare storto e che in quel momento non c'era nulla di più giusto.

Jet Black Heart [Ashton Irwin]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora