Capitolo 8

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Ormai ero stanca di tutto, sentivo che nessuno poteva capirmi.
Mi ero arresa a tutto ciò che mi accadeva e non reagivo più a niente.

Mi alzai svogliatamente dal sedile per scendere dall'autobus e mi avviai verso la mia scuola.

Era possibile che la mia vita non avesse più senso? Avevo solo 18 anni, eppure da quando mio padre aveva iniziato a bere io avevo smesso di vivere la mia vita spensierata.

Da quando aveva iniziato a picchiare mia madre avevo capito che l'amore non poteva esistere realmente, altrimenti perchè un matrimonio sarebbe dovuto degenerare in quel modo?

Ancora però non sapevo che da quel giorno, la mia vita avrebbe iniziato lentamente a cambiare.

Ero talmente persa nei pensieri che non mi accorsi di qualcuno che mi stava tagliando la strada a tutta velocità, così ci finii contro, non potendolo evitare.

"Oh mio Dio, scusami tanto" cominciò la ragazza.
Era una ragazza molto carina, aveva dei capelli lisci e biondi lunghissimi che le cadevano dolcemente sulle spalle, gli occhi verdissimi incorniciati da un paio di occhiali neri e una spruzzata di lentiggini sul suo nasino perfetto.

"Non ti avevo proprio vista, sono in ritardo e quindi ho pensato che se avessi corso ci avrei impiegato meno tempo e..." continuò velocemente, gesticolando troppo.

"Senti, sta' tranquilla. Non importa" dissi semplicemente per poi superarla, dirigendomi verso l'aula di matematica.

"Comunque piacere, io sono Amy. Oh, anche tu hai matematica ora?" domandò lei continuando a seguirmi.

"Sì" risposi atona. Avevo già troppi pensieri per la testa, ora ci si metteva pure quella ragazza?

"Visto che a quanto pare saremo compagne di classe potremmo diventare amiche. Tu come ti chiami?" continuò imperterrita, seguendomi dentro l'aula.

"Sarah" risposi sedendomi in un banco in fondo alla classe. Lei non aspettò nemmeno un secondo e si sedette nel banco esattamente di fianco al mio.

"Hai proprio un bel nome!" esclamò esaltata Amy.
Non feci nemmeno in tempo a risponderle che entrò la professoressa di matematica.

La lezione passò abbastanza velocemente, forse perchè matematica era una delle poche materie che riuscivo a farmi piacere in qualche modo.

Amy, nonostante fosse una ragazza molto loquace e nonostante fosse seduta nel banco affianco al mio, stette in silenzio a seguire la lezione e io gliene fui grata.

Appena la campanella suonò presi il mio zaino ed uscii dalla classe.
"Hey Mitchell!"
Quella voce, tutt'altro che simpatica ed amichevole, al contrario sprezzante ed acida, mi bloccò.

Non volevo voltarmi, non volevo ascoltarla un'altra volta, volevo solo andarmene via di lì.
Così cominciai a camminare più velocemente, ma una mano mi afferó per la spalla.

"Dove vai così di fretta? La tua mammina ti sta aspettando?" mi chiese Evie ridendo beffarda.
"Smettila, cogliona. Torna dalle tue amichette" dissi con rabbia, ma forse non avrei dovuto farlo.

Un pugno mi colpì con forza allo stomaco, ed io mi accasciai per il dolore e per l'umiliazione.

La vidi alzare un'altra volta il pugno, e sapevo che avrebbe colpito ancora ed ancora, ma non potevo muovermi, non avevo il coraggio di fare nulla.
L'umiliazione mi stava uccidendo, e sperai solo che finisse in fretta.

"Evie!" sentii, ed il secondo pugno non arrivò.
La sua mano era ancora ferma a mezz'aria, ma il suo sguardo terrorizzato era rivolto verso Amy, che la stava guardando con delusione, dall'altra parte del corridoio.

Evie portò il braccio lungo il suo fianco e mi guardò con disprezzo l'ultima volta prima di andarsene.

Amy mi raggiunse e mi aiutò ad alzarmi.
"Va tutto bene?" chiese timorosa, guardandomi negli occhi.
Evitai il suo sguardo, ed anche la domanda.
Mi vergognavo di ciò che era successo, ormai non ero più neanche in grado di difendermi come avrei voluto.
Raccolsi il mio zaino e feci per andarmene, ma poi mi fermai.

Certo, ero stata umiliata ancora una volta, ma Amy mi aveva aiutata.

"Grazie Amy" dissi piano, abbassando lo sguardo.
Lei mi guardò dispiaciuta, ma poi mi sorrise incoraggiante.

*

Quando tornai a casa dopo scuola fortunatamente i miei non c'erano.
Da quando Ashton aveva assistito all'ira incontrollata di mio padre ero riuscita ad evitarli entrambi.

Da una parte non volevo più vedere mio padre perchè avevo troppo paura, e dall'altra parte non volevo vedere nè sentire Ashton per il troppo imbarazzo.

Avrei voluto non essere così bisognosa di aiuto da parte di altre persone, perchè volevo essere forte e sapermela cavare da sola in qualsiasi situazione.

Ma la verità è che a volte semplicemente non si può stare da soli, e si ha veramente la necessità di essere aiutati anche se non si vorrebbe.

Proprio mentre mi ritrovavo a pensare ad Ashton, lui mi chiamò.

In quei giorni mi aveva chiamato parecchie volte ma io non avevo mai risposto.

In realtà non riuscivo nemmeno a capire perchè lo facesse, in fondo ci conoscevamo appena.

Aspettai qualche secondo prima di decidermi e finalmente di rispondere.
In fondo, anche se non me ne rendevo conto, avevo bisogno di sentirlo.

"Ciao Ashton" disse quietamente.
"Finalmente" rispose lui con sollievo.
Appena sentii la sua voce arrosii.
Non volevo ammetterlo, eppure mi era mancata dannatamente tanto.

"Mi hai fatto preoccupare. Allora? Come stai? E sappi che non accetto un 'male' come risposta. Per una volta dimmi che stai bene, ti prego" continuò poi.

"Quindi se ti dicessi che sto bene mi lasceresti in pace?" dissi ridacchiando appena.
"Questo non te lo posso garantire" disse, e potei giurare di sentirlo sorridere.

"Comunque non lo so" risposi guardando fuori dalla finestra.
Era una bella giornata.
"Bene, credo" continuai, forse per non farlo preoccupare troppo.

"Sono felice di sentirtelo dire. Ah, comunque, Luke mi sta ripetendo da due ore che vorrebbe conoscerti, e in più devi ancora sentirmi suonare" disse lui scherzosamente.

"Dovrei prenderlo come un invito ufficiale ad una prova con la vostra band?" dissi continuando a guardare fuori dalla finestra.

All'improvviso mi accorsi di tante piccole cose a cui normalmente non facevo neppure caso.

Il bellissimo roseto nel giardino dei vicini, una vecchia altalena abbandonata nel parco di fronte casa mia, le bianche e rare nuvole che si stagliavano in un cielo azzurrissimo.

Perchè dar peso a mio padre, ad Evie, ai miei problemi e non accorgermi di tutto ciò che succede oltre a questo?
Perchè pensare solo a me stessa e ad il mio dolore non notando neppure la realtà che mi circonda?
Ne vale veramente la pena?

"Probabile" disse lui ridendo.
E proprio in quel momento, ammirando un cielo limpido e ascoltando in religioso silenzio la risata di Ashton che mi riempiva le orecchie e piano piano anche il cuore, mi accorsi finalmente che la vita non sarebbe potuta essere più bella di così.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 01, 2016 ⏰

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