~Capitolo 13~

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«Signor Ashbey?»
Colin, il nuovo ragazzino assunto da Tyler, si avvicinò a Ryan con timore.
L'uomo era di umore nero e il povero ragazzo stringeva in modo ossessivo la stoffa del pantalone sporco e usurato tra le mani, completamente terrorizzato.
«Cosa vuoi di nuovo, Colin?» borbottò sgarbatamente Ryan, martellando, con più forza del necessario, un paletto nel terreno.
Il ragazzino deglutì rumorosamente e, inspirando tutta l'aria che i suoi polmoni erano in grado di trattenere, iniziò il suo balbettio incomprensibile.
«E… Ecco io. Veda signore…»
«Cosa Colin?!» sbottò il biondo, interrompendolo e guardandolo in modo truce. «Senti oggi finisci prima, okay? Vai a farti un giro in fiera, vatti a confessare, fatti un giro con l'auto del ranch ma lasciami in pace!»
Il povero Colin s'impietrì dal terrore. «I… Io non sono cattolico, signore, e... e non so guidare» rispose deglutendo.
«Allora torna a casa, oggi finisci prima.»
L'uomo lo liquidò con un gesto della mano e si allontanò.
“Dannazione a Tyler!”, pensò Ryan, quel Colin era troppo piccolo e inesperto per lavorare nel ranch e, come se non bastasse, chiedeva sempre come un lavoro andava svolto almeno tre volte.
Sussurrò un imprecazione ed entrò in casa sbattendo la porta, le luci erano spente e non si sentiva volare nemmeno una mosca, come non succedeva da un sacco di tempo. Prima di sposarsi viveva in quella casa tutto solo; Tyler preferiva condividere il tetto con Jack nonostante la sua stanza fosse lì e Zac era sposato, quindi l'enorme casa padronale ricca di dolorosi ricordi era toccata a lui, ma mai come quella sera il silenzio lo disturbava e turbava. Non sentiva i passi di Stephanie provenire dal piano superiore o il suo canticchiare mentre preparava la cena. L'aveva trattata male e non c'erano scusanti, ma il solo sapere di essersi lasciato scappare un segreto che teneva nascosto dentro di sé da così tanto tempo l'aveva fatto infuriare, sia con se stesso per essere stato così stupido, sia con lei per il potere che esercitava su di lui senza nemmeno accorgersene.
Gettò il cappotto sul divano, cosa che avrebbe fatto infuriare la mogliettina perfettina, e si avviò in cucina per un bicchiere d'acqua quando il cellulare iniziò a squillare. Lo prese dalla tasca dei pantaloni e rispose, mentre apriva il frigo.
«Ryan?» Il tono preoccupato di Zac lo mise subito in allarme, suo fratello si preoccupava raramente, soprattutto perché non aveva nulla di cui preoccuparsi; Rachel era una bambina buona e calma e Tiffany era una donna matura e coscienziosa, non si agitava nemmeno quando c'erano problemi di lavoro.
«Che succede?» chiese immediatamente.
«Abbiamo un problema, Stephanie è sparita.»
«Che cosa?» dimenticò l'acqua e qualsiasi altra cosa che quel giorno l'aveva frustrato. «Com'è successo? Non era con voi?» urlò mentre preoccupazione e agitazione prendevano il sopravvento su di lui.
«Sì, ma si è allontanata per comprare dello zucchero filato e poi non è più tornata, l'abbiamo cercata ma di lei nessuna traccia.»
«Dannazione Zac! Lei è estranea a questo posto e sai anche quanto è facile ingannarla.»
Si abbandonò su una sedia, massaggiandosi la fronte con la mano libera.
«Lo so! Credi che non mi senta in colpa? Non credevo che potesse sparire, è maggiorenne e vaccinata e può fare quello che vuole.»
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi suo fratello riprese a parlare. «Comunque ora la priorità è trovarla, dopo potrai prendermi a pugni.»
«Già, e ti assicuro che lo farò.»
Eccome se lo avrebbe fatto.
«Dove siete?»
«All'entrata della fiera, ti aspettiamo.»
«Sarò lì in un attimo» mise fine alla chiamata e uscì di corsa di casa. Dov'era finita sua moglie? Possibile che se ne fosse andata per il modo in cui l'aveva trattata? Sì, era possibile e, in quel caso, ne aveva tutti i motivi.
Entrò in auto e mise in moto. Di una cosa era certo, l'avrebbe riportata a casa.

Quando Stephanie gli occhi capì subito che qualcosa non andava: le pareti della sua stanza non erano ricoperte di muffa, come quelle che aveva davanti, e sicuramente di mattina non si ritrovava seduta su una sedia con mani e piedi legati. Cos'era successo? Ricordava di essere andata alla fiera con Zac, Tiffany e Rachel, poi di essersi allontanata per cercare dello zucchero filato e una donna... una donna? Ma certo! La bionda che si era sentita male, dov'era ora? Si sentiva bene? Una fitta di dolore dietro la testa la costrinse a lasciarsi scappare un mugolio sofferente, sentiva le forze abbandonarla di nuovo, la vista le si appannava e la sensazione di nausea peggiorava ogni secondo di più.
«Oh, la cerbiatta si è svegliata.»
Una voce femminile provenne dalle sue spalle e riecheggiò in tutta la stanza vuota, provò a voltare il capo per guardare in volto la sconosciuta, ma il dolore si intensificò e rimanere cosciente si rivelava ogni secondo più duro del precedente. I passi della donna si fecero più vicini e quando le fu di fronte la riconobbe: era la bionda che si era sentita male! Anche lei era stata rapita?
«Cosa ci facciamo qui? Chi ci ha rapite?» chiese, strattonandosi i polsi per cercare di liberarli.
La donna rise alle sue domande, peccato che lei non ci trovasse nulla di divertente in quella situazione, anche perché lei era stata colpita, rapita e legata come un salame mentre quella bionda sembrava in perfetta forma.
«Io non sono stata rapita, ma tu sì… Da me.»
Come? Era stata colpita, rapita e legata da una donna che sembrava la modella della copertina di Vogue del mese scorso? E per quale motivo? Suo padre non avrebbe pagato nessun riscatto, visto che ormai lei non era più affar suo, e Ryan... Be’, lui forse...
«Cosa vuoi da me?» smise di torturarsi i polsi con le corde, tanto non sarebbe riuscita a liberarsi, e fissò in modo ostile la bionda.
«Da te proprio niente, voglio qualcosa da Ryan e tu sei il mezzo più facile per ottenerlo.»
La donna le si avvicinò e le strinse il naso tra il pollice e l'indice, scuotendole con poca grazia la testa e procurandole un'altra dolorosa fitta.
Da Ryan?
«Cosa vuoi da lui?» fissò bene quella donna, era bellissima e su questo non c'erano dubbi, ma la sua espressione era sadica, come se vederla soffrire le piacesse, e quegli occhi glaciali...
«Christine! Tu sei Christine, vero?»
«Oh, sono stata scoperta!» mise il broncio come una bambina, poi scrollò le spalle. «Peccato, ma non importa, tanto lo avresti scoperto ugualmente.»
«Cosa vuoi da Ryan?»
Stephanie non aveva mai odiato nessuno, nemmeno suo padre, ma quella donna... Trovarsela davanti, sapendo tutto quello che aveva fatto passare a Ryan, non riusciva a non odiarla. E ora osava ritornare e pretendere qualcosa da lui, se avesse potuto liberarsi l'avrebbe presa a schiaffi.
«Ci sono molte cose che voglio da Ryan, per esempio che sparisca da questo mondo. Dopo aver fatto fallire il mio accordo con un'importante azienda e avermi cacciato dal paese, sono stata costretta a dormire su delle panchine, mangiare in mense per poveri e accettare passaggi da uomini lascivi e perversi, e tutto questo per un pezzo di carta. Lui aveva un sacco di soldi, perderne un po' non lo avrebbe mandato sotto i ponti. La cosa positiva è che quella sera ognuno di noi ha perso qualcosa di importante…»
Sul suo viso comparve un sorrisino crudele e soddisfatto. «Io ho perso il futuro e lui i suoi amati genitori, peccato che non se ne siano andati qualche giorno prima, non mi sono mai piaciuti; sempre a tenermi d'occhio e a rendere il mio lavoro più duro. Ma ora è giunto il momento di vendicarmi, se Ryan vuole rivederti viva dovrà pagare, e molto.»
Quello era troppo, come si poteva volere la morte degli altri? Soprattutto di due genitori che cercano, giustamente, di tener lontano il loro amato figlio da una mangia uomini priva di scrupoli?
«Ma come fai a essere così crudele?» sbottò inviperita, aveva visto sul volto di Ryan quanto soffrisse per la perdita dei suoi genitori, e ora quel mostro dalle sembianze umane si rammaricava che fossero deceduti troppo tardi! «Sai cosa penso? Che tu ti sia meritata esattamente quello che ti è capitato.»
Il sorrisino sparì dal volto di Christine e la donna si avvicinò velocemente a lei, infilandole una mano tra i capelli e tirandoglieli con forza all'indietro, Stephanie urlò dal dolore e sentì le forze venirle nuovamente meno.
«Tu parli troppo, faresti meglio a rimanere in silenzio se tieni alla vita» sussurrò Christine, mollando la presa ai capelli e lasciando la stanza mentre davanti a lei tutto tornava nero.




Ryan scese velocemente dall'auto e corse verso Zac, che lo aspettava vicino a una macchina per lo zucchero filato, con lui c'era Tiffany che teneva in braccio la piccola Rachel, sconvolta e con le guance rigate di lacrime. A quella vista il suo cuore si strinse in una morsa dolorosa.
«Zac!»
Il fratello si voltò velocemente verso di lui e appena lo vide gli corse incontro.
«Finalmente sei qui, ogni minuto che passa mi preoccupo di più.»
Anche lui, ma non riusciva ad ammetterlo, soprattutto da quando il sospetto che Stephanie fosse fuggita a causa sua gli consumava l'anima.
«Pensi che qualcuno l'abbia portata via con forza?» chiese al fratello. Non sapeva se essere felice nel saperla rapita e quindi non fuggita da lui o essere felice nel saperla libera ma lontana dalla loro casa.
«Sì, Stephanie non andrebbe mai via senza dire nulla.»
La sicurezza di Zac lo stupì, come poteva essere così certo di cosa avrebbe o non avrebbe fatto sua moglie?
«E tu come fai ad esserne così certo?»
Forse non era il momento migliore per essere geloso, ma non poteva farci nulla, tutte le ragazze avevano sempre preferito il solare fratello che al timido e silenzioso Ryan.
«Perché conosco Stephie e non le piace far preoccupare le persone.»
Il fratello lo fissò per qualche secondo, poi iniziò a sghignazzare. «Ma non mi dire, sei geloso! La piccola Stephie Stephie deve piacerti molto.»
«Smettiamola con questi discorsi inutili, dobbiamo cercare mia moglie o sbaglio?»
Suo fratello tornò serio e annuì.
Il telefono iniziò a squillare e Ryan si chiese, imprecando, chi diamine potesse rompere in un momento del genere, appena notò il nome che lampeggiava sullo schermo gelò.
«Chi è?» chiese Zac, notando la reazione del fratello.
«Stephanie.»
I due fratelli si guardarono scettici, che la loro preoccupazione fosse del tutto infondata? In fondo, come aveva detto prima Zac, lei era maggiorenne e sapeva badare a se stessa… Più o meno.
«Pronto, Stephanie?» rispose, portandosi il cellulare all'orecchio e fissando le bandierine colorate sopra le loro teste.
«Sta dormendo in questo momento.»
Quella voce gli fece gelare il sangue nelle vene.
«Christine? Cosa le hai fatto?» Al suono di quel nome suo fratello spalancò gli occhi e si avvicinò a Tiffany, dicendole andare a casa.
Ryan si allontanò dalla musica e dagli schiamazzi provenienti dalla fiera.
«Cosa le hai fatto?» chiese, cercando di non lasciarsi sopraffare dalla rabbia.
«Ancora niente, ma questo dipende da te: voglio cinquecentomila dollari in contanti, tra mezz'ora alla vecchia fattoria sul confine. Niente passi falsi, Ashbey, o lei muore.»
Detto questo Christine mise giù, lasciandolo arrabbiato e pieno di sensi di colpa. Quella donna stava di nuovo cercando di ferire una persona a cui lui teneva, ma stavolta non gli avrebbe portato via anche Stephanie.
«Zac, vai dallo sceriffo Tyson e digli di far circondare la vecchia fattoria dei Wolf, Christine ha rapito Stephanie e la tiene rinchiusa là. Mi raccomando, massima discrezione, se quella pazza si accorge di essere circondata potrebbe fare qualsiasi cosa.»
Il fratello annuì e lui si affrettò a ritornare in auto, doveva raggiungere sua moglie in fretta e chiudere una volta per tutte col passato e con quella maledettissima strega bionda. Arrivò al vecchio fienile in dieci minuti, parcheggiò lontano, in modo che Christine non si accorgesse della sua presenza, e si avvicinò lentamente alla vecchia costruzione. Quel posto era lugubre, gli alberi spogli erano ricurvi in avanti, come se volessero attaccare chiunque si azzardasse a entrare in quella proprietà, era proprio l'antro perfetto per una strega.
Percosse correndo il giardino che portava al retro, ma a metà strada il pantalone gli rimase impigliato tra le spine di una lunga pianta piena di aculei e piccolissimi fiori rossi, imprecando in modo colorato tentò di liberarsi, ma alla fine, preso dalla rabbia, strattonò con forza la gamba e sradico la povera pianta. Raggiunse la fattoria e si nascose dietro una siepe miracolosamente verde e rigogliosa, in lontananza scorse la sagoma grassoccia dello sceriffo Tyson. Stava impartendo ordini ai suoi uomini, che rimanevano nascosti n punti ciechi per chi si trovava in casa, il sole stava tramontando e questo era un bel vantaggio.



«Sveglia!»
Stephanie venne strappata bruscamente dal buio in cui era caduta, sentiva freddo e dell'acqua le colava dal visto, alzò il capo e notò Christine in piedi davanti a lei con una bottiglietta d'acqua ormai vuota.
«Finalmente la principessa si è svegliata, mi scusi se l'ho bagnata, Sua Maestà, ma lei non voleva proprio aprire gli occhi.»
Guardando il suo sorrisino diabolico capì che quella gorgone non aveva affatto provato a svegliarla.
«Sai, sei patetica» iniziò, notando che il sorrisino era sparito dalle labbra della bionda. «Da quanto siamo qui? Nessuno è venuto a cercarmi e nessuno lo farà, Ryan non accetterà nessun ricatto.»
La donna ridacchiò, fissandola come se sapesse qualcosa che lei non sapeva; cos'era successo mentre era priva di sensi?
«Ryan verrà eccome, mi sono assicurata personalmente che venisse a sapere chi ti avesse rapita e perché» le gitò davanti agli occhi il suo cellulare.
«Bastarda» sibilò con rabbia, notando che quell'odioso sorrisino tornava a fare capolino su quelle labbra velenose. Doveva fuggire da lì e subito, non sarebbe rimasta in quel posto aspettando il principe azzurro in armatura, doveva ancora comprare quello stupidissimo zucchero a velo!
Si guardò in torno, ma trovò il nulla. Cercò di voltarsi lentamente, ignorando il dolore che proveniva dalla testa, e notò un piccolo tavolo di legno alle sue spalle, sopra c'era un coltello da cucina. Perfetto! Doveva solo spingersi un po' indietro, ma come farlo con quella vipera nella stessa stanza? Di certo non era sorda e il rumore della sedia che strofinava sul pavimento non sarebbe stato scambiato per il cinguettio degli uccelli. Si mordicchiò il labbro per trovare una scusa con cui distrarre Christine e il mal di testa stava peggiorando, a un tratto un rumore proveniente dall'esterno mise in guardia la donna, si alzò velocemente dalla sedia di fronte alla sua e corse fuori. Approfittando della sua assenza iniziò a spingersi indietro con la sedia, sperando di non cadere all'indietro, e con un po' di fortuna riuscì ad avvicinarsi al tavolo e prendere il coltello. Tornò a farsi avanti e si fermò giusto qualche secondo prima che la strega rientrasse.
«C'era qualcuno?» chiese con finta speranza, tanto per non farle capire nulla.
La bionda rise. «No, per tua sfortuna» le rispose, poi tornò a sedersi dandole le spalle, immersa nella lettura di quella che sembrava una rivista di moda.
Iniziò a tagliare la corda con il vecchio coltello da cucina e dopo poco poté sentirla allentarsi per poi cadere a terra, con gli occhi fissi su Christine, si chinò in avanti e lentamente tagliò anche le corde che le tenevano legate le gambe. Una volta libera si alzò lentamente, voleva sorprendere quella disgraziata alle spalle, era da vigliacchi ma sapeva perfettamente che con la vista che le si appannava avrebbe fatto ben poco in uno scontro alla pari, ma la donna si girò giusto un secondo prima che potesse colpirla e si alzò di scatto.
«Come hai fatto a liberarti? Maledetta!»
Christine si avventò su di lei, ma riuscì a scansarsi e la donna cadde a pancia in giù sul pavimento, subito le saltò sulla schiena ringraziando per la prima volta i due chili in più che aveva preso da quando viveva al ranch. La bionda urlava e si agitava, ma Stephanie la tenne buona sul pavimento.
«Ora è il tuo momento di essere legata, stronza.» Allungando un piede, sempre senza lasciare la presa su Christine, prese la corda che le aveva precedentemente legato ai piedi e le legò le braccia. Poi si alzò e corse fuori, barcollando come un'ubriaca.
«Ferma!» gridò una voce e una luce accecante la costrinse a farsi scudo con una mano.
«Alzi le mani e non faccia un passo falso, se tenterà di darsi alla fuga apriremo il fuoco» gridò ancora la stessa voce.
Cosa? Ma erano impazziti? Era lei la vittima!
«Aspettate! Avete commesso un errore, lei è mia moglie, la donna scomparsa.»
Questa voce Stephanie avrebbe potuto riconoscerla ovunque. Si voltò velocemente e si ritrovò il marito a pochi passi da lei.
«Ryan?» chiese incredula. Allora era venuto davvero!
Lui le corse incontro e la strinse forte a sé.
«Stephanie, tesoro mio. Temevo il peggio, ma a quanto pare sei riuscita a liberarti anche senza il mio aiuto» disse, con una nota di orgoglio nella voce.
Ma Stephanie era troppo impegnata a crogiolarsi per la felicità di essersi sentita chiamare tesoro mio per notarlo. Aveva il disperato bisogno di baciarlo e lo avrebbe fatto se una voce odiosa e ormai familiare non avesse interrotto il momento.
«Fermi tutti!» urlò Christine, in piedi sulla soglia della fattoria con in mano una pistola puntata su Ryan.
Come aveva fatto a liberarsi? Poi ripensò al coltello abbandonato accanto alla sedia su cui era stata legata e si diede della stupida.
«Fate un solo passo e Ashbey muore» continuò la bionda.
Sentì Ryan stringerla di più contro di lui per proteggerla, ma in quel momento era lui che aveva bisogno di aiuto.

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