~Capitolo 9~

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«Per fortuna ho insistito per accompagnarti in auto, guarda come diluvia» esclamò canzonatoria la voce di Ryan, costringendola a spostare lo sguardo su di lui invece che dai tergicristalli in movimento.
«Grazie, ma io non ti ho chiesto nulla» commentò piccata e nervosa. In quel momento avrebbe voluto trovarsi dovunque meno che in quell'auto con l'uomo saccente che aveva avuto la sfortuna di sposare. Tutta colpa di madre tempo che aveva deciso proprio quel giorno di far diluviare e non aveva potuto rifiutare il passaggio offertole da Ryan. Soprattutto perché non sapeva come tornare indietro e Tiffany si era dileguata col marito alle prime gocce di pioggia. Quindi era stata costretta, sin dall'esatto momento in cui il suo sedere si era accomodato sul sedile, a sopportare le ramanzine del cowboy che le davano dell'incosciente per essersi spinta così lontano da casa, soprattutto perché non conosceva né il posto né come tornare a casa.
E per la salvaguardia della sua sanità mentale, Stephanie cercava di ignorare la presenza dell'uomo accanto a sé, e si impose di fissare le gocce di pioggia che cadevano sul parabrezza con l'intento di distrarsi, ma era difficile dimenticarsi di Ryan. Molto difficile.
Anche perché lui continuava a rimproverarla e punzecchiarla per essere uscita al freddo, trattandola come una mocciosa disubbidiente. Peccato che ormai lei non avesse più quattro anni ma fosse maggiorenne, vaccinata e in grado di prendere le proprie decisioni - negative o meno - in maniera autonoma, ed era stanca di sentirsi dire cosa poteva o non poteva fare.
«Dovresti ringraziarmi invece di inacidirti» si difese Ryan, che al contrario di lei si stava divertendo un mondo. Da quando la donna era entrata in auto non aveva smesso un secondo di punzecchiarla e lei rispondeva sempre più arrabbiata.

«Ti ho già ringraziato, mi sembra. E poi non ho cercato io il tuo aiuto, mi hai trascinata in auto come una bambina, potevo benissimo tornare da sola. Anche sotto la pioggia.» Stephanie era al limite, desiderava con tutta se stessa aprire la portiera e gettarsi dall'auto in corsa, risparmiandosi così quella tortura. Doveva allontanarsi da lui e dalla sua ingombrante presenza.
«Ed averti sulla coscienza? No, grazie tante.»
L'uomo nascose un sorriso notando l'espressione buffa di lei, la giovane donna aveva le guance accese per la rabbia, le braccia incrociate al petto e si mordeva con forza il labbro inferiore, come se stesse trattenendo parole poco gentili. Troppo carina per smettere.
Stephanie sospirò esausta, era troppo stanca per continuare quell'assurdo battibecco quindi l'avrebbe ignorato, sta volta per davvero. Si accoccolò contro il sedile, reclinandolo leggermente, e si rese conto che Ryan aveva imboccato un'altra curva invece di quella che portava al ranch.
«Dove stiamo andando?» chiese. Il suo tono risultò per una frazione di secondo inquieto e preoccupato, e subito si maledì per aver perso il controllo nel mascherare le proprie emozioni. Meno quell'uomo sapeva come si sentisse, meno problemi avrebbe ricevuto.
«Ti porto fuori a cena, anche se la serata non è una delle migliori» si voltò e le sorrise, e lei quel sorriso sembrò più un ghigno malefico. Malefico e sexy.
«Una... cena?» si irrigidì contro il sedile mentre il panico l'assaliva; perché voleva portarla a cena? E poi non era vestita nel modo adatto, aveva i capelli un disastro, non era truccata e non era psicologicamente pronta a rimanere sola con lui nemmeno in una maledetta auto, figuriamoci a cena! Non andava per nulla bene, lei era un disastro negli appuntamenti, ammesso che essere trascinata in macchina verso un posto sconosciuto si potesse definire “appuntamento”. Il panico s'impossessò totalmente di lei, ma com'era abituata a fare da tanti anni, cercò di dominare le proprie emozioni e rimanere apparentemente calma e razionale. In fondo era solo una stupida cena, avrebbero mangiato e fatto poche e cordiali chiacchiere prima di tornare a casa, una passeggiata quindi.
Ryan notò il panico negli occhi di Stephanie, le sue guance avevano perso colore e sembrava quasi sul punto di gettarsi dal finestrino, ma tutto durò solo un secondo perché la sua espressione tornò indifferente e gelida, l'unica cosa che ancora la tradiva era la perdita di colore al viso. Era tornata nel suo piccolo mondo, si stava proteggendo da lui e questo lo faceva infuriare; mai l'avrebbe ferita volontariamente e non avrebbe permesso a nessun altro di farlo, avrebbe voluto scuoterla e gridarle di non avere paura di lui ma sicuramente quel gesto avrebbe prodotto l'effetto opposto. Strinse con forza il volante interrompendo l'afflusso di sangue alle dita, che persero velocemente colore.
«Ryan? Stai bene?»
Stephanie abbandonò la sua comoda posizione semi sdraiata e si mise seduta, il viso di Ryan era cambiato; un secondo prima era rilassato e quello dopo la sua espressione era dura e fredda, la mascella era contratta e gli occhi lanciavano saette verso un nemico invisibile ma molto odiato.
L'uomo sbatté più volte le palpebre e si voltò a guardarla, sembrava confuso ma riprese subito il controllo di sé.
«Una meraviglia» rispose freddamente, e questo la spaesò. L'uomo aveva seri problemi di personalità, il secondo prima era in vena di scherzi – anche troppo – e quello dopo sembrava disposto a lasciarti in mezzo alla strada. Chissà quali pensieri avevano scatenato quella reazione. Per un breve secondo pregò di non esserne lei la causa.
«Sicuro?» chiese di nuovo. Sentiva che non era prudente indagare oltre, ma non era riuscita a tenere a freno la lingua, a volte le succedeva purtroppo. La curiosità era uno dei difetti che non era mai riuscita a controllare e questo le causava sempre problemi. Lui grugnì in risposta e questo le bastò più di ogni altra parola, si ristese contro il sedile e iniziò a torturarsi il labbro inferiore coi denti mentre l'aria dentro l'auto si faceva ogni secondo più soffocante. Passarono il resto del viaggio in completo silenzio, più volte era stata tentata di aprir bocca ma aveva subito cambiato idea. Da piccola suo padre le aveva fatto capire molto bene che era meglio tacere quando una persona era arrabbiata; ricordava ancora i suoi schiaffi. Poi la mamma era morta e tutto era cessato, compresa la sua esistenza. Chiuse con forza gli occhi per impedire alle lacrime di scenderle lungo le guance, non doveva piangere e soprattutto non di fronte a Ryan, lui avrebbe provato ancora pena nei suoi confronti e questo era insopportabile per lei.
L'auto si fermò e Stephanie alzò velocemente lo sguardo, guardandosi intorno. Aveva smesso di piovere e ora riusciva a vedere meglio dal vetro, Ryan aveva parcheggiato davanti a una tavola calda in stile anni cinquanta. Dalle grandi vetrate si potevano vedere i sedili in pelle rossa e i tavoli in legno con i condimenti e i tovaglioli poggiati sopra. Non era mai stata in un posto del genere e lo trovava assolutamente spettacolare.
«Lo so che non era il ristorante a cinque stelle che ti aspettavi, ma qui fanno il miglior pollo fritto dell'intero paese.»
Le parole di Ryan la lasciarono perplessa, non si era aspettata nessun ristorante a cinque stelle anzi, quella scelta era proprio da lui. Un po' si sentiva offesa, era evidente che l'uomo la riteneva viziata e abituata al lusso, e forse la seconda era anche vera, ma non era mai stata viziata né da sua madre né da Maggie. E di certo non da suo padre...
Possibile che avesse dato quell'impressione?
«Questo è molto meglio di un ristorante a cinque stelle, mio padre non mi ha mai permesso di venire in un posto del genere. In realtà, sono molte le cose che non mi erano concesse fare ma ormai non importa più. Grazie» gli sorrise di cuore e lo vide sgranare gli occhi sorpreso, poi le si avvicinò lentamente e le accarezzò la nuca con la mano, avvicinando il viso al suo. Accadde tutto velocemente, ma percepì all'istante l'esatto secondo in cui le labbra di Ryan si posarono sulle sue; erano morbide e gentili, proprio come le ricordava, ma prima che potesse lasciarsi andare lui si allontanò.
«Prego, mia dolce Stephie» le sorrise prima di scendere dall'auto e fece il giro dell'abitacolo per aprirle la portiera. Le offrì una mano per aiutarla a scendere e lei l'accettò, ancora confusa dal bacio.
Entrarono nel locale e subito venne investita dal profumo di muffin e torte alla frutta, fino ad allora non si era resa conto di avere una fame terribile. Il suo stomaco produsse un brontolio talmente acuto che si stupì non l'avessero udito anche gli altri.
«Ryan!»
Una graziosa ragazza con una divisa gialla a righe rosse corse verso di loro in pattini a rotelle. I bei capelli castano chiaro erano legati in una coda alta, che si agitava ad ogni suo movimento, e i vivaci occhi azzurri trasmettevano simpatia.
«Tanya! Come stai, Pulce?»
Ryan abbracciò affettuosamente la ragazza e questo le causò una strana sensazione, non sapeva cosa fosse, ma non era per nulla piacevole.
«Chi è questa graziosa fanciulla?»
La ragazza le sorrise amichevolmente e lei, inaspettatamente, si ritrovò ad arrossire. Da quando era arrivata in quella cittadina aveva sentito molte persone dirle di essere carina o graziosa e questo la metteva un po' a disagio.
«Pulce, voglio presentarti Stephanie, la mia adorabile moglie.» Ryan le avvolse la vita con un braccio e la strinse a sé, facendola arrossire ancora di più. Quelle finte effusioni in pubblico non le piacevano per niente, soprattutto perché l'uomo partiva “all'attacco” senza mai avvisarla e quindi prepararsi psicologicamente.
«Moglie? Tu... Tu ti sei sposato?»
L'espressione di Tanya mutò in una smorfia tra il sorpreso e lo spaventato, come se le avessero appena annunciato che la fine del mondo era imminente e non c'era via di salvezza.
«Sì, cosa c'è di strano?» chiese innocentemente il cowboy.
«Cosa c'è di strano?» ripeté la ragazza alzando un sopracciglio, poi spostò il suo sguardo su Stephanie. «Come hai fatto ad incastrare il maggiore dei fratelli Ashbey? Dimmi il tuo segreto» la implorò.
«Ecco... Io non ho nessun...» iniziò lei nel tentativo di spiegare che l'unico segreto che custodiva era quello della crostata alle more di Maggie, ma venne interrotta dal marito.
«Mai sentito parlare del colpo di fulmine? E ora portaci la specialità della casa e due bicchieri di gassosa. Grazie Pulce.»
Tanya aggrottò le sopracciglia, offesa, facendogli capire che non credeva affatto alla sua assurda storia sul colpo di fulmine.
«Abbiamo fame, Pulce, se fai in fretta domani porterò qui Tyler.»
Al suono di quel nome, la ragazza arrossì e corse in cucina senza farselo ripetere una terza volta.
«Ha una cotta per Tyler?» chiese Stephanie, sorpresa che il minore e più timido dei fratelli Ashbey avesse una corteggiatrice. In fondo, però, non era poi così strano; Tyler era adorabile e bello proprio come i suoi fratelli.
«Dall'inizio del liceo, Tyler non ha ancora aperto gli occhi e la considera solo la sua migliore amica… Per ora» ridacchiò Ryan, con l'aria di chi la sapeva lunga.
«Credi che anche Tyler abbia una cotta per lei?» indagò ancora, mentre Ryan la scortava verso uno dei tavoli che aveva visto dalla vetrata.
«Si, ma è troppo ottuso per accorgersene.»
Si accomodarono al tavolo vicino e attesero Tanya con le loro ordinazioni, la ragazza non si fece attendere molto e dopo cinque minuti era già diretta, sorridente, verso di loro.
«Ecco a voi la specialità della casa: il fantastico pollo fritto di Susan. Credimi Stephanie, non ne mangerai un altro così buono in tutta la tua vita.»
La mora le strizzò l'occhio e sfrecciò via sui suoi pattini. Si chiese come facesse a non perdere l'equilibrio, lei aveva provato a usare quelle rotelle infernali ma si era solo guadagnata un grosso livido sul sedere e le risate di Jessica.
«Su, provalo prima che si raffreddi» la incalzò Ryan.
L'uomo se ne stava con gli avambracci sul bordo del tavolo e la fissava, aspettando il suo verdetto. Leggermente sotto pressione e imbarazzata, prese un'ala di pollo con le dita e ne addentò un pezzo. Bastò quell'unico boccone per concordare con Tanya… Quel pollo era veramente fantastico! Era croccante ma non unto e leggermente piccante, nemmeno Maggie sapeva farlo così buono, ovviamente non gliel'avrebbe mai detto.
«È davvero delizioso!» esclamò senza neanche rendersene conto.
Ryan rise alla sua reazione e iniziò a mangiare anche lui.
«Vero, Susan non vuole svelare il suo segreto, ma io ho promesso che gliel'avrei cavato di bocca!»
Fu il turno di Stephanie di ridere, lui aveva un'aria troppo buffa per trattenersi, non l'aveva mai visto così rilassato e questa sua versione le piaceva tantissimo. Un piacevole formicolio iniziò a espandersi nello stomaco ed era sicura non dipendesse solo dal fantastico pollo di Susan, ma anche dall'uomo seduto di fronte a lei. Se lui avesse continuato a sorridere così tutti i giorni, si sarebbe inevitabilmente innamorato di lui. Ne era certa.
«Non credo che ti darà la ricetta, nemmeno sotto tortura. Anche Maggie è molto gelosa delle sue ricette, le uniche a cui le ha svelate siamo state io e mia madre, anche se non sono così brava come loro in cucina» sorrise tristemente e fissò il suo piatto. Ricordare i giorni felici passati con sua madre e la cuoca a preparare dolci e pasticcini la rendeva sempre un po' malinconia.
«Quanti anni avevi quando tua madre è morta?»
Quella domanda la prese alla sprovvista, nessuno s'interessava a sua madre da molto tempo ormai.
«Avevo otto anni, nessuno mi disse che si era ammalata e io non me ne resi conto. Lei sorrideva sempre anche quando non aveva la forza di alzarsi dal letto quindi andavo tutti i giorni da lei pregando di fare qualcosa insieme. Credo di averla fatta sforzare un po' troppo perché un giorno non ebbe più nemmeno la forza di sorridere e so che sembra stupido dirlo, ma forse se l'avessi lasciata riposare... Se avessi capito che era malata forse avrebbe potuto avere una possibilità in più di guarire» pronunciò l'ultima parola con un singhiozzo e si asciugò in fretta le lacrime che non era riuscita a fermare. Si era sempre chiesta come sarebbe andata se avesse permesso a sua madre di ristabilirsi senza stressarla, ma non sapeva se ciò l'avrebbe davvero aiutata e non poteva dare colpe alla bambina che era stata.
«Non è colpa tua, Stephie. Sono sicuro che sia stata tu a tenere in vita tua madre, pensa se fosse stata costretta sempre a letto senza mai distrarsi o vederti.» Ryan strinse delicatamente la mano che lei aveva abbandonato sul tavolo.
L'uomo aveva ragione, sua madre odiava stare chiusa in casa, amava i fiori, l'aria fresca e la primavera. Aveva sempre un sorriso per lei e la riempiva di baci e attenzioni e le mancava terribilmente.
«Scusa, non avrei dovuto chiedere» si scusò lui, con aria mortificata.
«Non devi scusarti anzi, ti ringrazio. Da quando non c’è più nessuno ha più parlato di lei e a poco a poco se ne è andata per sempre, nessun angolo della casa ricordava più lei. Mio padre aveva fatto sparire tutte le sue foto e i suoi dipinti. Non so dove li abbia fatti riporre o se esistono ancora» tirò su col naso e prese uno dei tovagliolini di carta per asciugarsi le lacrime che ormai non riusciva più a fermare.
Ryan aggrottò la fronte. Perché il padre aveva ordinato di far sparire tutte le foto? Questo non avrebbe di certo aiutato sua figlia a sopprimere il dolore. Quell'uomo gli piaceva sempre meno.
«Come si chiamava? Tua madre, intendo» pregava in silenzio di riuscire a calmarla almeno un po', magari facendole ricordare i bei momenti passati con la madre e non la sua precoce scomparsa.
Lo sguardo di Stephanie s'illuminò. «Si chiamava Layla, un nome stupendo non trovi? Ho giurato di chiamare così la mia prima bambina.»
Per un secondo Ryan immaginò una bellissima bambina dagli occhi color cioccolato e un sorriso dolcissimo. Incontrò lo sguardo di Stephanie e gli sembrò che lei stesse immaginando la stessa cosa, all'improvviso gli parve di vederla arrossire ma non ne fu certo perché abbassò in fretta lo sguardo, lasciandolo confuso dai suoi stessi pensieri.
Finirono il pollo in un silenzio imbarazzato, spezzato solo dall'arrivo della vivace Tanya.
«Piaciuto il pollo Stephanie?» chiese la vivace cameriera.
«Sì, era delizioso proprio come mi avevi detto» rispose, sorridendo all'espressione compiaciuta della ragazza.
«Allora cosa vi porto per dessert?» Tanya tirò fuori il suo blocchetto delle ordinazioni e spostò lo sguardò dall'uno all'altra, attendendo una risposta.
«Una torta di fragole, ti va bene Stephanie?» La ragazza annuì, anche se era già piena una fetta di torta non le dispiaceva. Soprattutto in quel momento.
«Arriva subito.» La cameriera tornò di corsa in cucina e tra di loro calò di nuovo il silenzio.
«E i tuoi genitori? Parlami un po' di loro» chiese all'improvviso Stephanie, aveva notato che nessuno dei fratelli e nemmeno Tiffany avevano mai parlato di loro.
«Sono morti sette anni fa in un incidente, da allora mi sono occupato io dei miei fratelli e di tutti il resto.» Lo sguardo di Ryan si incupì, come se stesse ricordando o rivivendo dei momenti orribili, sicuramente legati alla morte dei suoi genitori.

«Mi dispiace tanto.» Ora era lei quella che si sentiva mortificata e imbarazzata, se ci fosse stato suo padre e lei avesse avuto sette anni una sberla non gliel'avrebbe tolta nessuno.
«Come hai detto tu prima, nessuno parla mai di loro, quindi mi fa piacere ricordarli quando posso. Magari un giorno ti racconterò di come mio padre trovò il petrolio» le fece l'occhiolino e lei rise, ma lo sguardo dell'uomo non era cambiato.
Tanya tornò con la torta, che lei divorò in pochi minuti. Era sempre stata ghiotta di torte e gelati, cosa che, per un breve periodo della sua vita, si era notato sul suo corpo. Jessica la prendeva ancora in giro ricordando quegli anni che ormai sembravano lontanissimi.
«Vedo che l'hai apprezzata» ridacchiò Ryan, accennando al suo piatto già vuoto mentre lui portava alle labbra l'ultima forchettata di torta.
Finito il dessert ringraziarono Tanya e lui raccomandò alla ragazza di rinnovare la minaccia contro Susan per il suo pollo fritto. La ragazza scosse la testa sospirando rassegnata, come se non ne potesse più di sentirsi dire sempre la stessa cosa. E forse era proprio così.
Uscirono dal locale sazi e contenti, almeno lei, l'aria odorava ancora di pioggia e Stephanie non vedeva l'ora di stendersi sotto le coperte. Era stanca, ma per la prima volta non in modo negativo, non sentiva su di sé la stanchezza di una giornata stressante e negativa bensì lo sfinimento causato da qualcosa che ti dà felicità. Come quando ti diverti a saltare sul letto e poi ti manca il fiato e le gambe ti bruciano. Salirono in auto per tornare al ranch. Il ritorno le sembrò davvero veloce e una parte di lei odiava che quella serata fosse già finita. Stare con Ryan era stato molto divertente e più rilassante di quanto avrebbe mai detto, pregava di poter ripetere l'esperienza ancora una volta. Appena entrati in casa corse subito in camera per cambiarsi, ma prima che potesse entrare nella stanza Ryan le avvolse il polso con la mano attirandola contro di sé.
«Vorrei darti la buonanotte ora, ho delle cose da sistemare nell'ufficio e non so se sarai ancora sveglia quando andrò a dormire.»
Per la seconda volta, quella sera, le circondò la vita con il braccio e la strinse contro il proprio corpo e unì nuovamente le loro labbra, questa volta lei si rilassò subito lasciandosi andare contro di lui e gli accarezzo i capelli mentre ricambiava il bacio lento e sensuale che le stava dando.
Si staccò da lei troppo in fretta, mormorando un “buonanotte” prima di sparire nello studio, lasciando una Stephanie incapace di intendere e di volere in mezzo al corridoio.

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