Edward' s Point of View
Mia nonna.
No.
Non è possibile che l'unica persona a cui voglio bene non esista più, non è proprio possibile. Non riesco a crederci.
Ha avuto un infarto stamattina, mentre portava in casa le buste della spesa. Da mesi sto cercando di convincerla a smettere di farlo da sola, ma è testarda...era.
Mia nonna è morta, fottutamente morta, se ne è accorto un passante, che ha chiamato subito il 118, ma non c'era più nulla da fare. Ho diciotto anni compiuti, ma un assistente sociale è venuto lo stesso a casa a spiegarmi l'accaduto.
L'ho cacciato via a urla, non ci credevo neanche io e tuttora non sono sicuro di riuscire a crederci.
Merda, se c'è uno scrittore che decide cosa succede nelle nostre vite, devo avergli fatto qualcosa di molto brutto. Vivo in una fottuta gabbia per canarini. Non ho una madre, mio padre si considera tale solo la mattina di Natale e il giorno del mio compleanno, mia nonna, la persona più volenterosa e indomabile che abbia mai visto, l'unica che mi ha sempre voluto bene, è morta stamattina.
Cosa devo fare? Cosa devo fare per far smettere questo dolore? Non c'è nessuno. Del resto, chi dovrebbe esserci?
Entro in camera mia sbattendo la porta alle mie spalle, poi stacco dal muro la foto incorniciata. Sul retro della cornice ci sono alcune bustine contenente delle foglie grigio-perlate.
Strappo un pezzo di carta e vi arrotolo quasi tutto il contenuto di una bustina, per poi accenderlo.
Sono solo, penso.
Aspiro la prima boccata, dal sapore amaro e forte, poi faccio una nuvola di fumo grigio verdastro. Finalmente. Non è che lenisca il dolore del tutto, ma ti fa osservare la tua situazione in modo distaccato, affievolisce le emozioni. E io ho un gran bisogno di smettere di provare questi sentimenti. Vorrei morire, ma morire attira l'attenzione su di te, la gente si accorge che ci sei e ogni coglione pensa di poter riuscire a capirti. È anche vero che sarei morto e non mi accorgerei di niente, ma mi darebbe immensamente fastidio vedere le persone che mi hanno guardato con indifferenza per anni al mio funerale. E poi, chi lo farebbe, il mio funerale? Chi avvertirebbe mio padre che sono morto? Non che senta tutto questo bisogno di avere un funerale.
Non è che non ho le palle per farlo, è che la vita è un' occasione per vivere. Non qui. Non ora. Ma prima o poi, da qualche parte, c'è qualcosa per cui vale la pena essere vivi. Ma non riesco a fare pensieri ottimisti, mi sento precipitare.
Ad un certo punto la vista mi si sfoca leggermente, e, come se stessi sognando, appare una bambina, di sfuggita, con dei grandi occhi verdi... Occhi che mi sembrano stranissimi eppure familiari... e poi scappa via, trascinando con sé la nebbia.
È anche un allucinogeno, piccola controindicazione.
Sorridendo, prendo due bustine, una bottiglia di vodka e l'accendino ed esco di casa.

Savannah' s Point of View
"Signorina, hai niente da dirci?" Esclamano i miei appena apro la porta di casa.
"No, perché?" Rispondo con tutta la tranquillità possibile. Sono brava a mentire.
"Non è che per esempio ieri hai saltato scuola?" Dice mia madre.
"E non è che eri con un ragazzo, sempre per esempio?" Rincara mio padre.
Sgamata. Ahi.
"Tesoro, è molto importante che tu sia brava a scuola, perché solo così potrai..."
"Ma io sono brava a scuola, mamma!"
"Ma ieri hai saltato le lezioni, esponendoti al pericolo e finendo deliberatamente nei guai."
E bla bla bla. Solita predica. Sono irresponsabile, sì. Già, tradire la loro fiducia è esattamente quello che faccio, tutti i pomeriggi, da sedici anni, con la stessa costanza con cui gli altri fanno jogging o vanno in palestra.
Giuro che se metto le mani addosso a Joceline ne esce più morta che viva. A quale scopo andare a raccontare a "mamma e papà" (Sì, continuo a sperare di essere stata adottata) di una lezione saltata?
Se fossi subdola e leccapiedi come lei direi subito ciò che stava facendo la loro figliolina perfetta due settimane fa nello spogliatoio con il carissimo Josh, ma non lo sono, quindi non escludo la possibilità che mi partano un paio di carezze con la rincorsa e con la mano a pugno in direzione della sua faccia da pulcino Pio schiacciato dal trattore.
"Savannah, ti intimo di dirmi con chi eri e dove sei stata. Subito!" Tuona mio padre, rosso in viso.
No, non glielo dirò, è una parte di me che non possono prendersi.
"E se io non volessi dirtelo?"
"E se io ti impedissi di usare il computer per i prossimi tre anni?"
"E se non me ne fregasse assolutamente niente del computer?"
"Tesoro..." inizia mia madre, ma viene interrotta da mio padre che si lancia nella mia direzione con fare minaccioso. Joceline mi fissa con aria di rimprovero. Sento il sangue affluirmi alla testa e fischiare vorticosamente nelle mie orecchie, e so che sto per fare qualcosa di pazzo.
"Vai, accomodati." Commento, ben sapendo che questo lo spiazzerà del tutto. Scommetto che sta pensando "Che era pazza lo sapevo, ma non fino a questo punto".
"Avanti, picchiami se ci tieni tanto, forniscimi un motivo in più per andare via di casa, così avrai una rottura di scatole in meno."
Lo guardo sbiancare in volto, poi la porta si apre, interrompendoci, e Dan entra.
Andiamo in cucina e mangiamo in silenzio, poi mi intimano di filare in camera e rimanerci tutto il pomeriggio, mentre loro andranno al lavoro. Magari credono anche che chiudere la porta e dare la chiave a Dan mi fermerà, cosa di cui dubito fortemente, dato che Joceline parte tra poco, ha musica e tornerà a casa alle sei.
Entro in camera mia sbattendo la porta. È una stanza piuttosto piccola ed esageratamente disordinata, nonché monotona e polverosa. Però il letto è comodo.
Mi butto su di esso e rimango una mezz'ora immobile ad aspettare che i miei se ne vadano.
Poi spalanco la finestra e salto giù nel giardino della vicina, circa un metro e mezzo più in basso.
Mi metto a correre verso la fabbrica abbandonata. È strano quanto la mia concezione del mondo sia cambiata da quando conosco Ed. Adesso, ho un posto dove tornare, una persona da cui tornare. Incredibile quanto mi sembri naturale considerare "casa" un posto abbandonato, vecchio, coperto di polvere e senza nessuna particolarità che lo renda particolarmente avventuroso.
Correndo, mi arrampico sul davanzale della finestra aperta ed entro.
Noto subito che qualcosa non va, ma il mio cervello ci mette alcuni secondi ad elaborare cosa, poi finalmente metto a fuoco la situazione.
"Edward...?"
Lui, seduto sopra una pila di giornali incartati, non mi risponde, ma le sue pupille dilatate guardano fisse nella mia direzione.
"Ed!" Grido con quanto fiato ho in gola. "Dio che cazzo stai facendo?"
Gli tolgo la canna dalle mani e la butto per terra, per poi spegnerla con il piede.
Lo spingo contro il muro con tutta la rabbia che ho e fracasso a terra la bottiglia di vodka. Vedo il liquore trasparente schizzare sulle mie Converse.
Lo odio, lo odio, lo odio. Come ho potuto rivelargli così tanto di me? Affidargli così tanta fiducia? Sento che sto per piangere, stringo i miei occhi lucidi e lo guardo con aria di rimprovero, lui si alza in piedi e mormora il mio nome.
"Coglione!" Gli grido. Vorrei saltargli addosso, prenderlo a calci, sbattergli la testa contro il muro.
Poi guardo il suo volto contorto in una smorfia. Sta piangendo.
"Tutto...tutto bene?" Mormoro.

Ehilà.
Ho aggiornato due volte in 24 ore! Benedetta influenza...
Questo capitolo era mooolto forte e difficile, ci ho messo più di un'ora a scriverlo, spero che sia accettabile e mi scuso se invece fa schifo. Come sempre ringrazio tutte quelle persone che seguono la storia, e avviso che quando arriverò al capitolo 15 di questa molto probabilmente ne inizierò un'altra, forse il sequel, forse no...

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