Edward' s Point of View
"No che non va tutto bene! Niente nella mia vita va bene! È un disastro, sono in trappola! Morirò qui dentro!"
Osservo con distacco - quasi con un sorriso sulle labbra- Sav, che ora sembra essersi fatta piccola come una bambina. È così... viva. Tutto in lei sa di persona vera. Non è una parola, lei è qualcosa. Una forza distruttiva terribilmente plausibile. Qualcosa di esile ma allo stesso tempo indistruttibile, come un uragano chiuso in un vaso.
"Che cosa è successo?" Chiede avvicinandosi a me.
"Mia nonna è morta" provo a dire, ma le parole mi escono dalla bocca come un grugnito. Ci riprovo, e stavolta esce qualcosa di comprensibile.
Forse non sa che rispondere. Cosa bisogna dire a una persona in una situazione del genere? Non ne ho la più pallida idea, non so neanche cosa vorrei sentirmi dire.
"Ascoltami. Non perderò tempo a dirti che è andata in un posto migliore, che prima o poi ci spegniamo tutti e che la vita continua" afferma.
"Non ti sto per dire che mi dispiace, ok? Penso tu sappia benissimo cosa provo, come io ho la presunzione di sapere cosa provi tu." Esita un attimo sulla fine, prende fiato come se volesse dire qualcos'altro.
"E?"
"E niente, già lo sapevi, ma volevo ricordarti che ci sono."
"Per un attimo... Per un attimo mi sono sentito abbandonato, come se tu non..." Ammetto, senza riuscire a concludere la frase.
"Si è capito. Ma ti ricordo che non sono tua nonna, perciò non ti rifarò il letto nè ti preparerò il pranzo." Dice. Non era una battuta, perciò non rido, anche se vorrei.
Gli arruffati capelli blu le ricadono sulle spalle e sul maglione grigio. I suoi grandi occhi verdi, come quelli della bambina di prima, si specchiano nei miei.
E guardando quegli occhi capisco. Capisco che siamo a pezzi, che ci teniamo insieme per forza di inerzia e che potremmo crollare da un momento all' altro, se rimaniamo qui. Capisco che siamo mano nella mano su una soglia che finora pochi hanno osato oltrepassare.
Prima o poi scapperemo. Usciremo dalla teca, qualunque cosa questo significhi.
Non è il momento per dirglielo. Sono mezzo ubriaco e mezzo fatto, finora sono stato sin troppo coerente.
"Coglione, non farlo mai più!" Urla a un certo punto. Poi piangendo mi abbraccia.
"Ti voglio bene Ed. Ci siamo."
Non le chiedo in che senso, ricambio l'abbraccio e non posso fare a meno di pensare che vorrei che durasse per sempre.
Il suo sguardo cade sul giornale.
"Interessante, una delle poche cose interessanti di Oakland." Dice riferita al quadro in copertina.
"Voglio cercare qualcosa su Internet, non ne avevo mai sentito parlare." Afferma. Poi il suo cellulare squilla.
"Pronto? Denny? Ah. Beh, una rottura di scatole in meno. Sì, parleremo dopo del fatto che è inutile chiudere a chiave camera mia e lasciare la finestra aperta.
Ehm, no. Ti arrangi. Io non cucino. Va bene. Ciao." Riattacca.
"Sav... Stasera rimani da me?" Le chiedo.
"Dato che Dany mi ha appena avvisato che forse mamma e forse papà non torneranno stanotte, ci sto."
Voglio solo che mi stia vicino, che mi impedisca di precipitare nel mio nulla personale.
La prendo per mano e ci incamminiamo verso casa mia senza dire una parola.
"Quanto è bello il silenzio." Commento.
"Ed, mi prometti una cosa?"
"Sì" affermo senza esitazione.
Non so cosa aspettarmi.
"Prometti che non cederai mai? Dimmi che non ti abituerai mai alla teca. Che non smetterai mai di picchiare sulle grate. Che prima o poi usciremo. "
E io, in una strada tranquilla alle sette di sera del giorno più brutto della mia vita, le giuro che capivolgeremo le nostre esistenze.
Quando arriviamo a casa, inizia a fare buio.
"Ho fame" grugnisce.
"Anche io. Mangiamo?"
"Potrebbe essere un' idea. Due uova al tegamino? È tutto ciò che so cucinare."
Venti minuti dopo, stiamo mangiando in silenzio due uova bruciacchiate.
"Voglio informarmi a proposito di quel quadro." Dice. La sua affermazione cade nel vuoto.
"Ho bisogno di fare una corsa." Esclamo all' improvviso.
Ingoio velocemente ciò che è rimasto del mio uovo, poi mi alzo di scatto facendo cadere a terra la sedia.
"Sbrigati. Stasera andiamo."
Lei non mi chiede dove. Io non lo specifico. Si affretta a mettersi la giacca e si avvia verso l' uscio.
Io afferro le chiavi e lo zaino e la seguo, poi apro il garage e tiro fuori le bici. La mia, e quella di mio padre.
Il rumore delle ruote è l' unico rumore che si sente nella stradina illuminata da pochi lampioni.
"Sav. Senti. Non ci mentiamo a vicenda. Non creiamo coperture inutili. Che cosa ti tiene qui?"
Le chiedo io.
Un attimo di silenzio.
Dunque è così che si sente un aviatore mentre sgancia una granata.
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Concrete Jungle
Adventure"È la mia giungla di cemento. È la teca che dovrebbe proteggermi È la teca che mi soffoca. La teca di cui molti non si accorgono. La teca dentro cui puoi essere felice, se non hai mai vissuto fuori. La teca che potrebbe farmi impazzire, se non f...