Third

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«Un angelo?! Tu sei un angelo?! Che cazzo vuol dire che sei un angelo, Harry?!» grida Louis, incredulo, una volta terminata la spiegazione semplice e coincisa del riccio.
«Vuol dire esattamente quello che ti ho detto, Louis. E sono il tuo Angelo Custode, non un semplice Angelo».
Non è superbo, non vuole apparire un gradino più in alto degli altri, ma comunque tiene al suo titolo, alla carica che ha scelto di esercitare alla sua nascita. Vuole che Louis, quel ragazzo dal sorriso splendido, sappia che lui è la creatura che gli è stata vicino, che lo ha ascoltato in ogni istante della sua vita e che l'ha protetto dai mali del mondo. Non chiede gratitudine, non chiede riconoscenza; chiede solo consapevolezza. Nient'altro.
«No, non è possibile! Non è possibile! Non esistono gli Angeli!» grida ancora l'umano, incapace di credere alle proprie orecchie.
Un conto è fantasticare sulla loro presunta esistenza, parlando da solo e al nulla, ma un altro è scoprire che quelle creature esistono veramente e una di esse è lì, nella sua cucina. Ed è Harry, il ragazzino goffo e impacciato a cui si è affezionato alla follia da qualche mese a quella parte.
«Sì che esistono, Louis. Io lo sono. Vivo nel Nono Cerchio della Terza Sfera Celeste e sono il tuo Custode. Ti ho sempre protetto dall'alto, ho sempre vegliato su di te e ho cercato di evitare che ti facessi del male. Quando è morta tua nonna, ti ho cullato tutte le notti, risanando le cicatrici fino a quando non hai ripreso a ridere. Ma ti ho sempre ascoltato, ho sempre cercato di—»
«Devo andare al lavoro, Harry» lo interrompe Louis, incurante della spiegazione che il riccio sta cercando di dargli.
Entrambi sanno che è una scusa, dal momento che il ragazzo non inizia il turno fino alle otto e mezza, quella sera, ma il riccio ignora la menzogna. Sa che ha bisogno di tempo per pensare, sa che non è facile accettare l'idea che il proprio Angelo Custode sia lì, in carne e ossa, davanti ai suoi occhi così belli da far girare la testa e fermare l'Universo intero.
«D'accordo» annuisce piano il riccio, allungando poi una mano per fermarlo non appena Louis muove qualche passo per uscire dalla cucina.
Ed egli si pietrifica, si immobilizza sul posto e gli rivolge uno sguardo pieno di paura, un sentimento che Harold non credeva di aver mai visto prima in quelle iridi celesti.
Sente una morsa stringergli il cuore e così Louis, che non voleva rattristare Harry.
Che non voleva rattristare il suo Angelo.
«Non voglio farti del male. Sono il tuo Angelo Custode e sarebbe un enorme controsenso, non trovi?» una lieve risatina ad accompagnare quella domanda retorica.
Una risatina che, inevitabilmente, contagia anche Louis per brevi istanti, prima che la situazione in cui si ritrova lo riporti prepotentemente alla realtà.
«Harry, devo andare. Muoviti» lo rimbecca, lasciando che nella stanza piombi nuovamente quel velo di tensione e di delusione, condito con un po' di paura e timore. Perché quel che non si conosce fa sempre paura.
A Louis più che a chiunque altro.

Ma per una strana ragione, una strana sensazione che non riesce a spiegarsi
Con Harry lì
La paura sembra svanire

«Non allontanarmi. Vai... Vai dove vuoi, resta lontano quanto preferisci e non parlarmi, se questo può aiutarti. Ma non cacciarmi. Non chiedermi di sparire, perché se lo facessi, non potrei più vederti. Non potrei più aiutarti e non potrei più proteggerti come meriti, come ho fatto finora. Nel mio mondo, un fallimento non è perdonato. Non è concepito. E io ho una missione importante da portare a termine».
Louis non risponde. Non lo sa fare; l'aria non fa vibrare le corde vocali e queste non emettono suoni che si trasformano in parole. Louis sente di aver scordato come si pensa, come si formulano frasi di senso compiuto.
E la sente di nuovo, la paura.
Sente quel terrore sordo e profondo che si era impossessato di lui alla morte della nonna, nei giorni successivi la notizia e il funerale. Sente quel terrore sordo anche in quel preciso istante, all'idea di non poter rivedere Harry, di non essere più in grado di passare del tempo con lui, in sua compagnia, a insegnargli anche come si utilizza un tovagliolo. Perché in quei sei lunghi mesi che hanno condiviso insieme, Louis non si è più sentito solo. Non è passato istante in cui si sia fermato nel mezzo del salotto e abbia pensato a quanto desiderasse trovare qualcuno al suo fianco, presto o tardi, a quanto la sua vita fosse vuota e inutile.
Perché in quei sei lunghi mesi, Louis ha avuto Harry.
Harry e le sue stranezze.
Harry e il suo modo buffo di ridere, emettendo quel versetto simile a uno squittio per annunciare la risata.
Harry e le sue fossette che più di una volta si era incantato a guardare.
Harry e il suo sorriso sempre sincero, sempre incoraggiante, sempre pronto per essere dispensato.

There's no story to be told || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora