Fourth

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IV

Louis è al lavoro, come ogni sera da tre mesi a quella parte. Ormai è passato un anno da quando si sono incontrati la prima volta, ed Harry ha imparato a memoria le sue nuove abitudini, le quali prevendono lui come presenza indispensabile.
Louis si sveglia e trova Harry al suo fianco. Gli bacia le labbra e scivola nel suo tocco caldo e delicato, protettivo; inala il suo profumo e strofina il naso contro l'incavo della sua spalla, mentre il riccio gli carezza il viso, la schiena, i capelli, le guance e toglie via il sonno dalle palpebre sempre leggermente socchiuse. Gli dice "buongiorno" con la sua vocina sottile ma leggermente arrochita, poi sospira e si allontana, stiracchiandosi. Si alza e, dopo aver soddisfatto i bisogni mattutini, zampetta in cucina, ancora assonnato. Beve un caffè, si prepara una tazza di cereali e si siede davanti a Harry a mangiarla, guardandolo con quegli occhi così profondi che persino il più grande nuotatore del mondo vi annegherebbe dentro e non chiederebbe aiuto. Poi va a vestirsi e osserva Harry – che lo segue come un fedele segugio – dallo specchio dell'armadio, sorridendogli con quell'aria dolce che lo fa sembrare ancor più piccolo.
Lo saluta la mattina presto davanti la porta, sull'uscio, baciandolo profondamente e ripetendogli infinite volte "ciao" e "a dopo" e "mi mancherai". E lo guarda con occhi trasognati, come se Harry fosse veramente il suo tutto, come a voler ritardare sempre di più il momento dell'arrivederci, del distacco.
Gli tiene le mani sui fianchi in un gesto possessivo e allo stesso tempo dolce, pieno di quella sicurezza che lui in primis cerca e che non è mai riuscito a trovare prima di Harry, poi indietreggia, portandolo con sé e assicurandosi che ricordi le regole ("Non aprire a nessuno, non toccare nulla che sia nella cucina; se vuoi farti il bagno, spogliati e non buttare l'acqua sul pavimento. E usa il bagnoschiuma, lo shampoo e il balsamo. Ma non mettere le dita nella presa della corrente; so che sei un Angelo e bla blablà, ma a nessuno piace restare fulminati. E a me non piace restare solo"). Poi se ne va, ma non prima di averlo baciato di nuovo, e gli assicura che tornerà presto, che penserà a lui tutto il giorno, che non si farà male e che rientrerà sano e salvo, magari un po' stanco, ma comunque felice.
E poi, una volta chiusa la porta dell'appartamento, Harry è solo. Ma ha imparato a farsene una ragione, a ingannare l'attesa con qualcosa di più costruttivo che vegetare nel vuoto e molestare Gemma.
Quel giorno, tocca a un film.
Un film che parla di gestazione e famiglia.
Un film di quelli strappalacrime, in grado di smuovere anche la coscienza del più odioso degli individui.
Un film banale, di quelli in cui la protagonista si innamora del belloccio della situazione, va a letto con lui (e per Harry è inconcepibile, dal momento che non hanno stretto alcun tipo di legame davanti a Dio, prima) e rimane incinta. Si mette a cercarlo, perché è giusto che sappia del bambino (e Harry pensa che forse gli umani conservino un po' di intelligenza almeno nei film) e finiscono insieme, come una coppia felice e contenta, a crescere il pargolo una volta nato.
Ed è un esserino così carino, che Harry vorrebbe tanto poterne avere uno, vorrebbe tanto poter diventare "padre" a propria volta; forse così capirebbe il suo, forse così gli sarebbe ancor più vicino e potrebbe amarlo meglio, ancor più di quanto non faccia solitamente. Perché ne sente il bisogno. Sente il bisogno di fare di più per il Padre, perché sente che qualcosa – qualcuno – lo sta allontanando da Lui, lo sta portando su di una strada che non è illuminata, eccezion fatta per un paio di iridi color del cielo che accorrono in suo aiuto.
Ed è in quel momento che il riccio capisce cosa deve e cosa vuole fare. Motivo per cui scatta in piedi e sfodera uno di quei sorrisi che vengono dal cuore, completi di fossette, che farebbero innamorare chiunque anche solo con un'occhiata fugace.
Ed è questione di pochi istanti prima che Louis si giri, con un cocktail rosa tra le mani, e sobbalzi, rovesciandolo sul pavimento e rompendo il bicchiere. Perché Harry non ha smesso di comparire dal nulla nei momenti e nei luoghi più impensabili. E nonostante sia passato un anno, ormai, Louis non si è ancora abituato.
«Ma sei impazzito?!» esclama, come una delle prime volte, sgranando gli occhi e portandosi una mano all'altezza del cuore. Il respiro corto, gli occhi leggermente lucidi e il viso appena un po' pallido.
È stanco, lo stanno strapazzando parecchio, ma lui non se ne lamenta. Continua a lavorare in silenzio, ad acconsentire alle loro richieste anche quando sono troppo, anche quando sa di non farcela, perché ha bisogno di soldi, ha bisogno di quella casa, ha bisogno di quel posto perché non vuole perdere la sua opportunità, perché non vuole mandare all'aria il suo futuro, perché ama Teatro e non permetterà a niente e a nessuno di fermare la sua scalata.
E pensa di non farcela, a volte, proprio come quella. Ma Harry sorride. Sorride timidamente, leggermente divertito, e si porta una mano davanti la bocca a schermare le labbra sollevate e i denti bianchi, per permettere a tutti di leggere la dolcezza che è racchiusa in quegli occhi.

There's no story to be told || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora