capitolo 1

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Haira aprì gli occhi, e mise a fuoco la sua stanza, semplice ma curata e spaziosa.
Non vi erano decorazioni sui muri ros'antico oltre ad un quadro raffigurante il ritratto di lei e sua mamma quattro anni prima, durante una vacanza al mare. Quando il suo sguardo si posava su quel ricordo, sentiva sempre un' ondata di malinconia travolgerla. Da allora non avevano più potuto permetterselo perché la salute di sua madre, anche se quest'ultima era ancora giovane, era diventata precaria e non le faceva bene viaggiare.
La stanza era molto illuminata grazie a due finestre dalle notevoli dimensioni situate sul lato destro, che lasciavano filtrare i raggi di Ergom, il sole diurno.
Lei si alzò e corse ad aprirle.
Un vento pungente le pizzicó la pelle e le scompiglió i capelli castani, che incorniciavano un viso magro e delicato, con un naso piccolo e appena all'insù, e illuminato dal colore dorato delle iridi. Due orecchie leggermente a punta le conferivano un aspetto ancora più grazioso e fine. Credeva di averle ereditate da antenati elfi lontani, dato che lei era una farek, e non un elfo.
La stagione invernale non è lontana, pensò.
Abbozzó un sorriso: le piaceva la neve, e in quel piccolo paese tra i monti Qur qual'era Leyg, non ne mancava sicuramente in inverno.
Si cambiò e al posto della camicia
In tessuto blu si mise un vestito color cipria scuro , stretto in vita e senza alcuna decorazione.
Non le piaceva essere elegante, e cercava di indossare le vesti più semplici che aveva.
Uscì dalla sua camera e passò per un piccolo corridoio dove un'altra porta dava alla stanza di Kira, sua madre.
Scese per le scale a chiocciola in legno scuro e liscio, le quali portavano alla cucina. Qui non vi era altro che un tavolo in quercia, tre sedie dello stesso materiale e un camino, ora acceso, dove era appeso un paiolo. La sola via che permetteva l'entrata della luce era un'unica grande finestra a est del locale, vicino al focolare.
"Ciao mamma", esclamò Haira ad una signora sulla quarantina seduta al tavolo, che adesso era apparecchiato con una candida tovaglia bianca, sulla quale more e jekis, frutti simili alle fragole, erano stati disposti accanto a una tazza di latte ed a una grande brocca d'acqua.
"Boungiorno, Haira come va?",chiese Kira, con il suo tipico sorriso dolce e amorevole.
"Bene e tu ?"
"Bene grazie.", rispose, ma la figlia sapeva che le stava mentendo e gli occhi solcati da profonde occhiaie più che evidenti, erano la prova di un'altra notte insonne.
"Perché non mi hai chiamata ?", la rimproveró la ragazza.
"Haira...", cominciò lei, ma l'altra non le permetté di concludere la frase.
"Perché mamma ! Tu non mi dai fastidio ! Non mi importa se mi svegli alle quattro, ma non puoi non farti aiutare !, sbottó con veemenza e voce tremante. Gli occhi le si inumidirono mentre le guance si facevano rosse per la rabbia.
Il viso della donna si rabbuió, e disse con voce bassa : "mi dispiace..."
"Scusa... sono solo preoccupata per te", si giustificó poi la figlia, in un soffio.
"Non devi esserlo. Non devi assumerti responsabilità più grandi di te. La malattia non mi impedisce di essere ancora autonoma." Concluse poi la madre, ora con voce più decisa.
Quindi fecero colazione, in silenzio.

Atharon.  l'erede.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora