Capitolo 3

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A quella visione i miei occhi sgranarono, i battiti si fermarono nel petto e il sangue prese a pulsare più lento nelle vene, quasi fino a non sentirlo, quasi fino a sentirmi vuota.
Ma quel vuoto non era vuoto, era soltanto un grosso buco nello stomaco, un grosso baratro nell'anima stracolmo di paura e disgusto.

Così ogni volta che ci pensavo sentivo dell'acido salirmi repentinamente in gola e desideravo l'acqua per purificarmi, l'acqua per lavarmi.

Era orribile quello che sentivo, era sofferente ciò che provavo, era brutto lo so, ma purtroppo era vero e mi risultava difficile o quasi impossibile cambiarlo.

In quell'attimo caddi come in uno stato di trance e non vidi più le persone intorno a me, non vidi più la città, non sentii più il vento freddo sferzarmi in viso.
Sentivo solo quel dolore, e riuscivo a guardare solo la figura di quel ragazzo e la convinzione che fosse lui distrusse quei pochi sforzi che facevo per non pensarci, per non ricordare il suo volto.

Tutto sembrava che stesse per fermarsi e i miei pensieri tornarono a scavare in quell'odioso passato. Tornai a rivivivere quel maledetto ricordo e d'impulso tremai.
Senza un reale esistente motivo le mie gambe cominciarono a vibrare e il terreno sembrava diventare sabbie mobili sotto i miei piedi.
Le mie mani si mossero spontaneamente e con forza nei miei capelli rossi, a mantenere il capo che sembrava non connettere più le informazioni al cervello. Si era di nuovo stoppato, era divenuto preda di paura, un'altra volta, e mi capitava spesso, troppo spesso.

Ormai quel passato per me era diventato una malattia cronica, era diventato qualcosa di insostenibile ed inguaribile pazzia.

Si certe volte credevo di impazzire.
A furia di sbattere i miei sforzi contro un imponente muro stavo diventando pazza, ma non ero pazza, ero solo profondamente delusa, immensamente ferita perché io di natura già debole mi ruppi.
Un taglio, un segno, uno sfregio, una crepa sul vaso più fragile, ed io proprio come un vaso non sarei mai ritornata come prima. Mai, era impossibile farlo.
Quella cicatrice avrebbe lasciato per sempre il suo segno su di me, mi avrebbe marchiata come il fuoco più caldo e rovente, come la macchia più ostinata, l'onda più infuriata che si abbatte lasciandoti imperterrita.

Era così, era quello che provavo, ero semplicemente io.
Lui, il dolore, il torto, la prepotenza di quelle mani fredde sul mio corpo faceva parte di me ed io ero parte di lui, di quello schifo, di quello spasimo, di quello struggimento.

Mantenni la testa fra le mani con forza perché sentivo come dei colpi picchiettarmi insistenti sulle tempie.
Era di nuovo lei: l'anima che gridava, urlava, mi si rivoltava contro, mi sbatteva dentro e volevo scoppiare, volevo lasciarmi andare ad un urlo straziante, volevo esplodere in milioni di lacrime, volevo spaccare il mondo, ma restai immobile ad ascoltarla nel silenzio più carico e assordante che avessi mai sentito.

Probabilmente sbiancai in volto, fissai con timore quegli occhi scuri e profondi, così simili ai suoi. Osservai i capelli rasati sulla nuca e il ciuffo moro nel mezzo che ricadeva ondulato sulla fronte, ed era così terribilmente simile.

Era lui!? O forse no!

Per un attimo credetti di rivederlo, di essere faccia a faccia con lui, ma no, non era lui.

Ero così distrutta e tormentata che mi sembrava che fosse ovunque, in ogni angolo, in ogni strada il suo sguardo mi assillava, mi perseguitava.
La sensazione del suo respiro sul mio collo e sul mio corpo spaventato mi faceva gelare, mi faceva tornare a tremare e il sudore freddo mi scendeva sulla fronte.
Le mie mani si bagnavano diventatando madide, i vestiti si attaccavano alla pelle e gli strilli mi morivano in gola andandosi ad aggrovigliare in grossi nodi, nodi così grandi da tagliarlmi il fiato, da bloccarmi la respirazione, da stopparmi i pensieri e fermarmi lì, in quell'attimo, in quei terribili instanti che non mi abbandonavano mai.

In quei momenti solo i sentimenti più vili mi invadevano, mi travolgevano come una nuvola nera e fitta che mi toglieva la vista, mi impediva di guardare il sole.
Io vedevo solo il male che mi veniva addosso facendomi sua con prepotenza.

"Paige calmati.
Non è lui. Non è lui.
Calmati ti prego, non è lui.
Lui non può farti più del male.
Paige lui non può. Calmati."

Mi ripetevo come un mantra mentre prendevo lunghi respiri dopo averli finalmente sbloccati.

BASTAAAAAA

Sentii quel grido dentro diventare più forte e penetrante, e d'impulso portai le mani sulle orecchie per tapparle e non ascoltarlo, ma quell'urlo in realtà non esisteva, non erano delle corde vocali ad articolarlo, era solo il tremendo ed impossibile bisogno di non pensarci, di calmarmi, di dire stop perché non ne potevo più.

In quell'istante sentii l'esigenza di graffiarmi, perché il dolore del corpo scacciava via il dolore mentale, perché era la violenza morale a farmi più male di quella fisica, ma non potevo perché non ero sola, ero nel bel mezzo di un marciapiede affollato e non potevo.
No, io non potevo, dovevo resistere.
Così fui costretta ad ascoltare quell'urlo, a sopportarlo mentre mi straziava l'anima.

"Ehi stai bene?"

Le parole di quel ragazzo mi smossero da quello stato di incoscienza e mi riportarono alla realtà.
Lui appoggiò le sue mani sulle mie spalle e a quel contatto inaspettato ed indesiderato, ebbi quasi paura, sentivo che dovevo difendermi, non so per quale motivo ma dovevo difendermi da lui.
Nessuno doveva toccarmi, nessuno doveva permettersi mai più. Nessuno doveva azzaddarsi a sfiorarmi neppure con un dito.

Io non l'avrei permesso un'altra volta.

Mi infastiva, avevo paura, la mente connetteva ogni tocco a quelli di quel brutto passato.
Ero in trappola, mi avevano rovinato, vivevo quasi nel terrore.

"Lasciami. Non mi toccare!"

Quasi urlai con le parole che mi tremavano su ogni sillaba e mi scostai dalle sue mani sbattendo di schiena contro un muro.

"Ma va a quel paese"

Mi rispose in malo modo allontanandosi ed era in quei momenti che capivo a che punto ero arrivata, a come era critica la mia situazione, a come stavo messa male, perché stavo davvero molto male se riuscivo a prendermela anche con chi non centrava niente e che non conoscevo neppure.
Eppure gli somigliava, i suoi occhi mi sembrava di averli già visti, o semplicemente mi sbagliavo, ma di certo non potevo immaginare che presto lo avrei rincontrato.

Non andai verso casa, avevo bisogno di dimenticare ma non volevo farlo da sola, così chiamai Stephy.
Lei era l'unica che non giudicava i miei metodi per non pensare, era l'unica che conosceva i miei segreti più profondi e i miei veri sentimenti, anche quelli più tetri, quelli che nessuno dovrebbe avere.




Spazio autrice:
Ehyyyy Salve!!! Scusate tanto la tragicità di questi capitoli, spero di non annoiarvi e non mettervi tristezza. Penso che adesso si sia capito cosa ha subito Paige.
Mi raccomando fatemi sapere la vostra SINCERA opinione (bella o brutta che sia), ne ho bisogno per continuare perché se non piace è inutile che io continui o sbaglio!?
Aspetto con ansia i vostri commenti.
Kiss Iride.

Save me (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora