Capitolo 27 Io vivrò (Senza te)

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Mi ero divincolata dalla sua presa stretta ed ero arrivata alla porta, pienamente consapevole delle mie azioni.
Pienamente convinta di quel che volevo fare.
Lo stavo lasciando.
Mi stavo lasciando o meglio stavo lasciando a lui un piccolo pezzo di me.
Un piccolo riflesso dei miei occhi. Un piccolo lembo della mia pelle. Un piccolo tratto del mio respiro.
Un piccolo morso del mio sapore.
Quasi metà del mio cuore ma era meglio così.
Era giusto così.
Si vede che era destino.
Si vede che così c'era scritto in quelle stelle fantasiose tendenti a storie intricate e mai semplici, perché altrimenti non c'è gusto nel viverle.

"E cosa farai? Ti priverai di noi solo per un maledetto dettaglio di cui io non ho colpa?" aveva urlato sulle scale mentre io infilavo di fretta il giubbino per andare via da là.
Per respirare altra aria che non fosse anche la sua.
Per abituarmi ai lunghi giorni senza lui.

"Neanche io ne ho colpa.
Non lo so cosa farò.
Forse piangerò e dormirò.
Mi sveglierò, camminerò e lavorerò ma qualche cosa farò.
Sicuramente non mi farò del male da sola un'altra volta.
Continuerò.
Questo di sicuro lo farò.
Anche senza te io vivrò"
Gli avevo risposto in tono duro avvolgendo la sciarpa intorno al collo cercando un'apparente freddezza nei suoi confronti, che però non trovavo.
Non potevo fingere mai indifferenza per lui.
Non potevo neanche inventarla con tutta la volontà del mondo.

"Io ti aspetto domani al locale"
Aveva urlato dietro il tonfo della porta che io avevo sbattuto, nella speranza che forse domani avessi cambiato idea.

Il freddo tagliava la pelle ma fredda forse era una divenuta una piccolissima parte di me perché non soffrivo troppo.
Non soffrivo in modo irreparabile come mio solito.
In poche ore erano successe cose che mi avevano stravolto le aspettative e i progetti fatti mentalmente.
Ma in fondo si è sempre detto che progettare porta sfortuna no!?
Ero entrata lì con lo scopo di una corsa e in effetti una bella corsa l'avevo affrontata, ma quella nel passato però.
Una corsa spericolata fatta di ostacoli da saltare e altri da abbattere.
Muretti in pietra da valicare dietro una spinta decisa.
Corde a cui appendersi e pesi da reggere senza trovare mai un punto d'appoggio. Un punto d'equilibrio.
Una corsa sfrenata e ardua fra le montagne russe o un gioco di sballottamento in un Tagadà degli anni ottanta.
Ero ritornata a vedere immagini che in realtà erano già indimenticabili nella mia mente, e in più avevo scoperto che il puzzle che mancava al quadro di Larry per completare l'opera, era quello che io non avrei mai voluto vedere.
Forse sarebbe stato più bello tenersi l'opera incompleta, ma ciò equivaleva a dire di vivere di menzogne, ed io di menzogne, ne avevo già vissute abbastanza in quei pochi anni d'esperienza.

Camminavo ma restavo lì col pensiero.
Vedevo le vetrine ancora addobbate per l'arrivo imminente dell'Epifania ma non le guardavo.
Una befana con le sue scarpe vecchie e consumate restava sospesa sulla sua scopa volante all'entrata di un negozio.
Una lacrima impassibile e fredda era uscita dai miei occhi chiari, mentre il collo alto del giubbino si faceva caldo sotto i miei respiri.
Eccola l'unica goccia che aveva disubbidito ai miei comandi.
Eccola quella sofferenza che celavo dietro una fortezza inusuale in occasioni come quella.
Eccola la delusione e la rabbia trapelata dopo la sicurezza di averlo superato sulla rampa di quelle scale.
Le mani strette a pugni nelle tasche quasi a voler rompere la stoffa.
Ma la rabbia almeno era lecita giusto?
Almeno quella potevo provarla vero?
Non volevo piangere perché in fondo cosa avevo da piangere?
Con Larry avevo superato un blocco.
Era stato bello amarlo anche se per poco tempo.
Era stato eterno finché era durato.
Se volevo guardare la realtà con pizzico di amara ironia, lui mi aveva dato quello che suo fratello mi aveva tolto.
Aveva messo a posto i conti ma io ci avevo davvero lasciato il cuore su quel letto che sapeva solo di noi.
Avevo amato essendo amata.
Avevo toccato essendo toccata.
Era stato bellissimo sfiorare il cielo con la punta delle dita e scoprire che non era quella la porta del paradiso.
Come ogni cosa era finito anche quell'attimo.
Non potevo accettare di stargli accanto se il suo sangue era lo stesso di quel Lui.
Non potevo volerlo se l'ombra di lui ci avrebbe raggiunto all'improvviso nella mente rovinandoci i momenti.
Era una questione di rispetto verso me stessa.
Era questione di un silenzio troppo grande che non meritava perdono.
Era questione di non volere più fantasmi a tormentarmi.

Save me (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora