Capitolo 10

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Pioveva a dirotto il giorno dei funerali.
Io non andai alla cerimonia, odiavo assistere ai piagnistei della gente.
Certe lacrime sapevano di finzione, altre di troppo dolore. Troppo anche per me che non ne potevo più di di acqua amara e salata che parlava di parole inespresse. Non ne potevo di più di occhi gonfi e arrossati, non ne potevo più di tutto quel grigio, di tutto quel dramma.

"Paige tesoro faremo tardi alla veglia"

"No mamma. Io non vengo"

Le dissi in tono deciso, mentre osservavo la vittoria di una piccola goccia d'acqua, che facendo a gare con le sue compagne era riuscita ad arrivare per prima sul vetro della mia finestra offuscata e abbagliata.
Dopo lo schianto brusco con la vetrata trasparente e ingannatoria, si allargava come se scoppiasse, poi scivolava lenta e fluida verso il basso, descrivendo una scia irregolare e indecisa sul percorso da compiere.

Era quello il mio stato d'animo.
Quella piccola e semplice goccia rifletteva l'umore del mio IO.
Si era scontrato bruscamente in qualcosa di chiaro, così chiaro da sembrare invisibile e ci aveva sbattuto forte la faccia perché non era riuscito a vederlo.
Aveva provato a guardare oltre, nella speranza che oltre ci fosse stato qualcosa di buono.
Si era sforzato così tanto per guardare lontano, che non aveva visto ciò che c'era davanti agli occhi, e così maldestramente lo colpì.

Era questa la metafora della vita che mi girava nella mente.
Io a furia di restare a guardare quel lontano, ma così loquace passato, stavo rischiando di non vedere il presente, di non vedere la vita che mi passava accanto.
Rischiavo di non viverla e di lasciarmi scivolare i giorni addosso senza distinguerli, senza guardarli, senza sfogliarli.
Anzi, io sfogliavo le pagine della mia vita, ma senza leggerle e quindi non ne comprendevo il vero senso.
Mi stavo sprecando insieme alle giornate.

"Ma come non vieni. Era la tua migliore amica... gli altri ci rimarrebbero male"

"No non vengo. Odio i funerali"

"Certo che li odi Paige. Sono dei funerali non delle feste!"
Mi rimproverò il mio IO, che però non perdeva mai la sua vena di ironia nonostante tutto.

"Va bene. Ho capito che per te è difficile.
Dirò che stai poco bene"

"Certo che è stupida tua madre eh! Ovvio che stai poco bene. Non sarebbe di certo una novità per te cara Paige.
Tu sei la regina del 'non stare bene'. Non è vero!?"

Ignorai il mio IO.
Aveva troppa ragione per poterlo contraddire ed io non ne avevo neanche le forze.
Era incredibile: io ero in conflitto persino con me stessa, con la mia parte ragionevole, che seguiva una strada antitetica rispetto a quella emotiva.

"Si. Grazie mamma per la comprensione e buona fortuna"

Le dissi facendo un cenno con la mano senza neanche voltarmi a guardarla.
Sicuramente si era vestita di nero e per carità di nero ne avevo già abbastanza!
Persino i miei occhi verdi stavano divenendo scuri a forza di lavarli con le mie lacrime sporche.

"Ma ti ascolti Paige! L'hai anche ringraziata!
Praticamente l'hai ringraziata per non aver mai capito nulla di te!"

"Basta"

Dissi a me stessa, perché volevo mettere a tacere tutto, persino il mio IO.
Non volevo nemmeno il silenzio in quell'istante, perché il silenzio mi avrebbe obbligato ad ascoltare i miei pensieri.

Noi non ci rendiamo conto che non smettiamo mai di pensare. La nostra mente è in perenne movimento, persino quando dormiamo ci assilla con i suoi sogni.
È incredibile la quantità di cose, che girano vorticosamente nella testa senza averne il pieno controllo.
Questo era normale, funzionava così per tutti, ma non era lo stesso per me.
I miei pensieri non erano mai felici, erano sempre senza colori, e i miei sogni non erano sogni: erano incubi.
Ero ritornata all'epoca del bianco e nero.
Io ero un film drammatico o per essere più precisi un thriller.
Uno di quelli che puoi guardare solo con la presenza di un adulto.

Save me (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora