Capitolo 16

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Aveva accorciato troppo le distanze.
Si era avvicinato così tanto, che i nostri visi si sfioravano con la punta del naso e i respiri si scontravano lenti e spezzati l'uno contro l'altro.
I suoi sguardi mi toccavano dentro in un modo così scombussolante, che sentivo la testa vagare lontana e ripescare cose passate in un mare agitato.
Le sue iridi si spostavano continuamente ed irrequieti dai miei occhi alle mie labbra, indecisi e avidi come non avevo mai visto prima d'allora.
Le sue dita tremavano su di me, il suo naso freddo contro il mio ed io che sentivo le gambe cedermi e non sostenere il peso inesistente di quella miriade di cose che mi assalivano dentro.
Il mio cuore lo ascoltavo, lo sentivo mentre mi colpiva e disperdeva i suoi battiti in gola, ma non lo riconoscevo.
Era così diverso, così rumoroso.
Un rumore dal suono dolce, il sapore di un qualcosa di nuovo, di inaspettato.
Una sensazione vivida che mi colorava le gote di rosso e gli occhi si illumivano, divenendo di un verde più intenso.
Un verde più verde.

Si chinò sul mio viso e catturò un mio respiro. Prendeva il mio ossigeno, facendolo suo.
Proprio come suo, stava diventando il mio pensiero.
Lui lo rubava senza darmene la consapevolezza.
Lui lo prendeva con il suo esserci accanto a me, ed io lo lasciavo entrare in fondo e prenderlo.
Lo lasciavo entrare in quei luoghi segreti, nascosti dalla quotidiana apparenza.
Quelli bui e deserti in cui facilmente riesci a perderti.
Io stessa mi ci perdevo in quei tunnel privati di luce.
Anche se la luce c'era.
C'è sempre, in ogni dove, solo che è troppo complesso trovarla ed io non mi sforzavo abbastanza.

Chiuse gli occhi sotto le folte ciglia e per un attimo il mio cuore cessò di battere.
Il mio viso fra le sue mani inguantate e tesa trattenni forte il fiato.
Sentii le sue labbra rosse combaciare perfettamente alle mie, e l'aria mi mancò, formando un nodo in gola.
La sua bocca si poggiò alle mia dolcemente, delicatamente e socchiusi piano le palpebre per lasciarmi andare a quella nuova sensazione.
Un'altra in più da essere vissuta.
Un'altro universo senza fine, senza un punto, ed io mi domandavo se avessi avuto il tempo di vivere a pieno tutte le emozioni che mi venivano incontro, solcandomi e riempiedomi contemporaneamente.
Tutto prese un altro sapore.
La vita sembrò assumerere un altro gusto.

Meno amaro. Più appetibile.
Meno acido. Più invogliante.
Meno odioso. Più auspicabile.

Mi parve di vedere in lontananza cose nuove da esplorare.
Sensi invitanti per cui vivere, suoni da ascoltare, orizzonti da osservare, albe da scoprire, dolci sogni da afferrare, stelle da incontrare nel cielo notturno di New York.
Alte note da raccogliere su uno spartito disordinato, pagine da leggere di un libro bianco, mani chiuse da stringere, nuvole mutare nella forma fino a disegnare tanti altri universi.
Inchiostro nero da cancellare, fuoco da bagnare, pioggia da accendere, male d'amare, bene così grande da poterlo odiare.
Fili annodati da sciogliere.
Colori mischiati.
Tutto confuso, ma al tempo stesso così affascinante.
Così complesso ed impossibile.
Così paradossale ed assurdo da darti la voglia di andare a fondo e scoprirne il modo.

Cose senza senso strariparono argini robusti nella mia testa.

Dove ero? Ero?

Per un secondo credetti di non esistere.
Di danzare nel cielo, in mezzo al cobalto senza tetre sfumature intorno.
Com'era strana quella leggerezza. Quel sentirmi sollevata e blanda.
Quel sentirmi un'altra che non ero io.
Qel sentirmi una Paige che non conoscevo ancora.
Cercavo di assaporare quel nuovo tripudio di emozioni.
Le stavo catturando, mentre mi risalivano l'anima indisturbate.
La sua bocca contro la mia.
Lo zucchero che si scioglie appiccicoso sotto una fiamma.
Uniti in un punto, ma senza schiuderci l'uno all'altro.
Sempre quel misterioso varco aperto a separarci.
Quel confine invisibile che ci divideva, ma non abbastanza per non unirci.
Quello spazio inesistente ai nostri occhi, ma così percettibile ai nostri sensi.
Un'ombra sovrapposta ai nostri corpi appoggiati.
Una proiezione del passato che faceva riflesso fra le nostre sagome.

Lo sentii decidersi per andare a fondo, spinto dalla voglia di assaggiarmi, come solo un vero bacio può permettere.
Voleva passare e avere il quadro completo del mio sapore.

Fu a quel punto che mi si pietrificò qualcosa dentro.
Il caldo non era più caldo.
Di nuovo quel freddo.
Il cuore batteva ancora forte, ma il suono non era più lo stesso.
Era assordante.
La testa non era più vuota e sospesa.
Io sollevai le palpebre di scatto per ritrovarmi alla realtà.
Mi risvegliai nel ricordo e un gusto metallico e acre mi macchiò la bocca.
Lui aprì gli occhi lentamente in uno sguardo confuso.
Erano così vicini ai miei, che riuscivo a vederci il mio riflesso.
Mi persi nella profondità, nel suo colore scuro, e quel Lui mi ritornò in mente, come il più irruente degli schiaffi.
Sentii l'anima gonfia e arrossata da quel sgradito gesto morale.

"No Paige! No!" urlò disperato il mio IO riaffiorando, dopo averlo smarrito per quell'attimo che mi sembrò eterno.
Perché i secondi insieme a Larry erano un'eternità.
Una dolce e breve eternità.

Mi staccai repentinamente e mi voltai per guardare altro.
Volevo perdermi in altri pensieri che non erano i miei.
Volevo scappare da quello che mi bruciava e mi bagnava dentro.
Volevo scomparire in un dove lontano.
Mi ritrovai con una lacrima sul viso, assorbita nella pelle ed un'altro spillo mi bucò.
Un'altro foro sul mio cuore ridotto in mille scheggie pungenti e infierenti.

"Scusami Paige. Non dovevo. Scusami"
Mi disse sommesso e quelle parole arrivarono con un'altra fitta. Un'altro schiaffo.

Non erano quelle le parole che avrei voluto sentirmi dire.
Non so cosa avrei preferito.
Forse il silenzio.
Il silenzio non ferisce mai più del dovuto.
Il silenzio è più rispettoso, è più fedele, ma in fondo è anche crudele perché costringe ad ascoltarti.
Ero già delusa da me stessa per non saper scollegare il presente dal passato. Per essere incapace di andare avanti e di dimostrare affetto.
Ero già delusa da me stessa per essere bloccata dalle mie paure. Frenata dalle mie stramaledette incertezze.
Per essere incastrata in un punto difficile, fra le braccia di quel Lui e il mio voler scappare.
Fra i baci metallici e struggenti di quel Lui e l'impossibilità di schivarli.
Fra la prepotenza di quel Lui e la micragnosa forza di una donna bambina.
Fra il suo amore malato e la mia ingenuità.
Fra il suo petto e il muro rude di una stradina.
Fra le sue braccia forti e la mia schiena che inorridita e scostante scivolava sull'asfalto grinzoso.
Fra il cielo scuro senza stelle e la terra fredda graffiata sotto le mie unghie.
Fra la sua strafottenza e i miei capelli rossi scompigliati distesi sulla polvere di ghiaia.
Fra la sua cieca follia e i miei jeans malamente abbassati.
Fra il mio pianto ed un urlo trattenuto dalla sua mano.
Fra il bianco che andava e il nero che veniva.
Fra un impeto di pura ira e il mio corpo indifeso.
Fra il suo infierire e un segno indelebile sotto la mia pelle.
Fra il suo piacere ed il mio dolore.
Tra l'angosciosa immagine che mi perseguitava ed il timore di sbagliare ancora persona.

Mi resi conto di essere ancora lì. Incastrata fra quello che era e quello che era stato.
Un lucchetto che mi teneva legata là con la chiave dell'inquietudine.

"Se volevi farlo perché dici che non dovevi?"
Gli dissi ingoiando una lacrima, mentre perdevo gli occhi fra la folla.

"Hai ragione. Solo che forse era presto per te"
Mi rispose come se di mi avesse capito una piccola percentuale di quello che avevo. Come se avesse letto qualche parola scritta nel mio essere ferito.

"Non era né presto, né tardi. Il tempo non centra!
Sono io che non ci riesco! Tu non puoi capire Larry"
E mi girai velocemente verso lui colpendolo sul petto, come per sfogare quella rabbia che sentivo.
Fu una carezza per lui.
Io ero così esile di fronte al suo aspetto torreggiante.

"E invece posso farlo! Posso provarci"
Afferrò il mio polso e mi strinse nelle spalle, accostando dolcemente la mia testa sul suo petto, mentre il vento ondeggiava il suo cappotto aperto ed io ci sprofondavo insieme alle mie paure.
La sua guancia sul mio capo e respirava il profumo dei miei capelli.
Le sue mani che mi avvolgevano la vita portandomi più stretta a lui, ed io che mi sentivo più grande e protetta.
Eppure esisteva la calma fra le sue braccia.
Esisteva, perché la sentivo mentre mi cullava sul dondolo della dolcezza e della pazienza.

Save me (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora