1. Benvenuti a Burgos

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"Giriam giriamo intorno al sole,

intorno alla Terra la luna s'avvita,

non muoriamo di morte noi,

di capogiro perdiamo la vita!"

The Crow - James O'Barr

È strano ma non avverto dolore. Tutto il mio corpo è attraversato da una tranquilla forza e un'isolita rilassatezza. Sbatto le palpebre e l'immagine che occupa il mio campo visivo non cambia, non mi infastidisce ed è nitida: una grossa lampada a LED da sala operatoria, accesa e puntata su di me. Inspiro a pieni polmoni e non percepisco alcun odore.

«Vuoi la verità, Cliff?», sbuffo e scuoto la testa.

Il mio capo si rilassa contro lo schienale della poltrona e incrocia le braccia al petto. «Sentiamo...» Inarca un sopraciglio e mi rifila un sorriso tirato.

«E' una stronzata» dico a voce alta, sostenendo il suo sguardo. Non voglio girarmi e scoprire che, dall'altra parte del vetro dello studio di Clifford , tutta la redazione ci sta fissando.

«Be', Shelly, vedila come ti pare. Ma è la tua stronzata! Da adesso fino a lunedì mattina.» risponde seccamente. Mi tende una cartella marrone e io allungo una mano per prenderla. «E' tutto qua dentro. Dettagli del viaggio inclusi.»

Vorrei ritirare la mano con tanta forza da strappare la maledettissima cartella, ma sarebbe fatica sprecata perché Nancy, l'assistente di Clifford, solerte e agile come un gatto, preparerebbe immediatamente una copia del contenuto. Magari da inserire in una cartella di plastica, giusto per scongiurare altri incidenti.

«Continuo a pensare che c'è di meglio. Se solo...»

«Non c'è affatto di meglio, Shelly!» mi interrompe rabbioso. «Andiamo in stampa tra dieci giorni, e non abbiamo ancora una cazzo di bozza di copertina!» Si protende sulla scrivania e punta l'indice contro di me. «Non usciremo anche quest'anno con uno dei soliti patetici servizi sul coma etilico del Quarterback di turno, travestito da scheletro per la festa della sua confraternita del cavolo! Voglio fatti. Voglio prove. Voglio interviste, cristo santo!»

Provo a muovermi e ci riesco senza fatica. Punto i gomiti e guardo in basso, scoprendo di indossare ancora i jeans e la maglietta nera dei Counterfeit. Fantastico! Che ci faccio sul lettino di una sala operatoria completamente vestita?

La stanza è piccola e immacolata. A parte il lettino su cui sono sdraiata e la lampada appesa al soffito, è piuttosto disadorna. Di fronte a me c'è un mobile in acciaio con due colonne di cassetti lucenti, a sinistra le tende bianche sono tirate su quella che presumo essere una finestra a tutta parete, e a destra la porta è spalancata su un lungo corridoio buio.

«Ben svegliata, cara.»

Per lo spavento quasi cado dal lettino. Con le mani mi aggrappo ai bordi di ferro e mi giro in direzione della voce garrula.

Una donna anziana in camice bianco mi sorride gentile. Potrei giurare che non ci fosse nessuno qui con me fino a un attimo fa. Da dove è sbucata? Tiene i capelli d'argento raccolti sotto un cappellino da infermiera e il suo viso è talmente coperto di rughe che mi è impossibile distinguere il colore dei suoi occhi.

«Dove mi trovo?» le chiedo in un sussurro incerto.

«Sei alla Clinica di Burgos, cara. Hai avuto un brutto incidente sulla Middle Road, non ricordi?» Continua a sorridere, come se il particolare fosse divertente.

La fisso sconcertata. Poi chiudo per un momento gli occhi e mi sforzo di ripercorrere gli ultimi avvenimenti.

Sono atterrata a Buffalo nel tardo pomeriggio. Ho noleggiato un auto in aereoporto e stavo percorrendo la statale ottantasei diretta a Burgos. Ricordo di aver sterzato bruscamente quando ho visto il grosso muso del pick-up scuro invadere la mia corsia, di aver perso il controllo della berlina e di aver schiacciato il freno con tutta la forza che avevo. Mi pare di aver intravisto il cartello rosso Benvenuti a Burgos un attimo prima dello schianto. Prima del vuoto, è davvero tutto ciò che ricordo.

«Sì, qualcosa.» mormoro riaprendo gli occhi.

La donna giunge le mani raggrinzite in preghiera e le porta all'altezza delle labbra. «Sei così giovane!» trilla, liberando una risatina isterica.

La sua reazione mi mette i brividi, ed è con il gelo incollato addosso che mi azzardo a scendere dal letto per allontanarmi il più in fretta possibile da lei.

«Dove vuoi andare, cara?» aggira il lettino e mi si para davanti. Si è mossa fulminea, quasi volando. Incredibile che un corpo così sciupato nasconda tanta prestezza.

«Dato che mi sento bene, pensavo di andarmene.» la informo abbozzando un sorriso compiacente. «Se fosse così gentile da restituirmi i miei effetti personali, tolgo volentieri il disturbo.»

La donna inclina la testa e aggrotta la fronte. «Oh, io non so...»

«Cosa non sa?» 

«Ecco io... non so se posso lasciarti andare, cara. Sarebbe rischioso senza consenso.» Posa le mani sulle mie braccia per trattenermi, ma non è violenta. I suoi palmi sono ruvidi e asciutti, il suo tocco fresco e piacevole sulla pelle.

«Sono responsabile di me stessa, non serve alcun consenso.» preciso sgusciando alla sua presa. «Rivoglio solo la mia borsa e poi firmerò tutti i moduli necessari alle dimissioni.» Ispeziono la stanza alla ricerca del mio trolley e della mia Totally Monogram di Vuitton in cui so esserci compressa tutta la mia vita: un MacBook Air, il mio I-phone, i miei documenti, i soldi, la mia carta di credito e la fottuta cartella con il materiale per il servizio.

«Perché non ti rimetti seduta e non aspetti che io mi accerti che tu possa uscire, cara... sarebbe tutto più semplice.» Si avvicina per toccarmi di nuovo, ma io mi scanso un attimo prima che le sue dita ossute si richiudano attorno all'aria.

«Dove sono le mie cose?» Il mio tono assume una sfumatura minacciosa.

La donna sembra delusa. Fa un'altro sorriso e mette le mani dietro la schiena. «Qui non ci sono i tuoi effetti personali, cara. Ha portato solo te.»

«Chi?» sbotto spazientita. «Chi mi ha portata qui?»

«Ma il Signor Nott, naturalmente. Chi se no?» replica raggiante. Nel modo in cui lo dice c'è una scontatezza che fatico a comprendere. Dovrei per caso conoscere il barelliere?

«Questo tizio... il Signor Nott... ha lui i miei bagagli?»

«Io non ne ho idea, cara.» continua la donna. «Se mi permettessi di...»

«Oh, lasci perdere!» Senza aggiungere altro mi lancio verso la porta e inizio a correre.

Sento solo i miei passi, quindi è chiaro che l'arzilla vecchietta non mi sta inseguendo. Accelero nel buio fitto del corridoio, alla disperata ricerca di un'uscita. Non sono una sportiva, non la sono affatto. L'unico esercizio fisico che mi concedo quotidianamente sono appunto le corse sfrenate tra una fermata e l'altra della metro, per ridurre al minimo i miei canonici ritardi sul lavoro. Adesso darei tutto pur di risentire la voce baritonale di Clifford Withe, mentre sbrodola un insulto dietro l'altro di primo mattino augurandomi così una buona giornata lavorativa.

Sorprendentemente più corro e meno sono affaticata. E' probabile che sia tutto merito dell'adrenalina e del mio straordianario istinto di sopravvivenza che entra in azione sempre al momento giusto. Dopo quelle che mi paiono miglia, scorgo una linea rossa sospesa. Avvicinandomi mi accorgo che si tratta del maniglione antipanico di un'uscita di sicurezza. E mi ci butto contro di peso.


Metcalfe [SOSPESO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora