6. Ti Salvo

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"Più sappiamo, più impariamo che non sappiamo niente."

Atlas Shrugged - Ayn Rand

Tra il pensiero di un ottuso e la sua azione imprudente sussiste l'intervallo di un respiro, e a volte nemmeno quello. E' oltremodo sconsigliabile consetire a taluni individui una libertà d'azione che sia più ampia della circonferenza della propria massa, perché potrebbero provare il desiderio di estendere la stupidità oltre i confini della gabbia che, per buona sorte, li tiene rinchiusi, e generare così un incoercibile caos.

«Signori...» dico con un richiamo generale, esasperando il biasimo. «Non ci siamo.»

Mi guardano tutti. Paura e rispetto si mischiano negli sguardi, e i loro corpi si trasformano in statue di marmo. Occorrerebbe una bella quantità di acido per sfigurare la colpevolezza che indossano con cotanta sfacciata coscienza. Nessuno si fa avanti. Nessuno si offre volontario come primo teste per l'inquisizione. Non che io abbia bisogno di ulteriori specifiche, sia chiaro, ma trovo sempre perversamente ricreativo il punto di vista dei soggetti direttamente coinvolti.

Appoggio il fondoschiena al tavolo della Signora e del Signor Jensen, metto una gamba sopra l'altra e incrocio le braccia al petto. Alle mie spalle, la Signora Jensen desiste dal fare a pezzi il solito tovagliolo di carta, e il marito deglutisce sonoramente concedendomi la sua totale attenzione. Sorrido a Nicholas, in fondo alla sala, serrato dai tentacoli della nevrotica mamma, e lui mi ricambia con un'espressione luminosa. Adoro questo bambino. Ogni volta che mi vede è come se stesse guardando il suo salvatore e non l'essere che lo tiene prigioniero. Mi fa un po' male l'idea che continui a crogiolarsi in tale illusione.

«Mi state annoiando» continuo lanciando un'occhiata al pavimento. «Qualcuno di voi vuole spiegarmi come mai la nuova arrivata giace incosciente ai piedi del piccolo Nicholas?» Shelly Morgan ha l'aspetto di una preda disossata: inseguita, ferita e poi abbandonata scompostamente in un angolo perché di scarso gradimento per il branco di cacciatori dilettanti. E' seccante che il nostro primo incontro avvenga in questo modo e che la qualità del medesimo sia tanto bassa.

«Stava facendo troppe domande, Sindaco. Io... io dovevo intervenire.» Le scuse di Jerry Benton arrivano con un bisbiglio tentennante e l'odioso appellativo con cui identificano il mio ruolo.

Maledizione! Io non sono il Sindaco!

«Tu menti!» gli va contro Nicholas invelenito. «Era carina e ci stavo parlando. E tu l'hai colpita!» accusa puntando il minuscolo indice in direzione dell'uomo. Maurine Emerton, la madre, lo trattiene per il braccio, ma data la mia presenza non osa proferire parola.

Jerry, la spranga arrugginita ancora in mano, fa una smorfia. «Ah... piantala, ragazzino! E' colpa della tua lingua troppo lunga se siamo arrivati a questo.»

«La colpa è solo tua, invece!» ribatte Nicholas alzandosi in piedi e divincolandosi dalla madre. «Metcalfe non devi credergli, ti giuro che Shelly non ha fatto nulla di male» dice poi a me con una supplichevole cantilena.

«Ti credo, Nicholas, stai tranquillo.» lo rassicuro infilando lo sguardo pungente negli occhi di Jerry.

«Che stronzata» commenta quest'ultimo mentre fugge la mia disapprovazione e riguadagna il suo posto al tavolo sudicio. Si siede, la schiena rivolta a me, quasi volesse sfidarmi. «Fate come vi pare, tanto è sempre la solita storia.»

Tutt'intorno si rincorrono i brusii dissentiti degli altri spettatori, ma so già che Jerry rimmarà solo, non riceverà alcun sostegno dai colleghi.

«Che cosa ha visto?» chiedo. Mi sono perso la prima parte della scena perché ero impegnato a liquidare quella sanguisuga di Catherine. «Allora?» insisto, data la massiccia quantità di bocche cucite.

«Ecco... io credo che abbia visto J... Jerry, Sindaco Nott» risponde il Signor Jensen sotto di me. «Forse anche la mia Denelle... non so...»

«Sicuro che l'ha vista!» afferma Rudy Slawe dal bancone. Si palpeggia la grossa pancia e dà di gomito a Carl Schein, lo spilungone al suo fianco. «Diglielo anche tu, Carl... tutti ce ne siamo accorti che si è spaventata guardando Denelle.»

«Oh, io... sono costernata... io non volevo» prende la parola la Signora Jensen. «Lei è scivolata e... e...»

La guardo di sottecchi. «E' scivolata» ripeto con un bisbiglio che la fa tremare.

La donna si stira la gonna con le mani, a disagio, con il mento indica Jerry, seduto vicino noi. «Il danno l'ha fatto Jerry, non ho dubbi» dice dura. «L'ha fatto apposta, quello sciocco! Io ero solo confusa... l'arrivo della ragazza mi ha spiazzato, ecco tutto.»

«Seh... figuriamoci» biascica Jerry con la testa china sulla tazza di latte e cereali. Mi domando cosa ci abbia visto Shelly in quella tazza...

«Falla finita, Jerry» lo ammonisce Rudy, alzando la voce e fissandolo sdegnato. «Sei sempre tu che fai casini, mai una volta che riesci a trattenerti.»

Per mia fortuna, Jerry incassa l'accusa e non reagisce, continuando a gustarsi il suo eterno pasto. Se dovessi anche sedare una lite intestina perderei un mucchio di tempo prezioso. E, con la ragazza in quelle condizioni, le lancette del mio orologio si stanno muovendo a velocità supersonica.

Nicholas si schiarisce la voce e abbassa gli occhi sul disegno che ha davanti. «Ha visto anche la mia sfera, Metcalfe.» Scuote la testa rammaricato «Mi dispiace tanto.»

«Non fa niente, Nicholas. Non ce l'ho con te» Aspetto che alzi la testa per fagli dono di uno dei miei migliori sorrisi comprensivi e, quando finalmente lo vede, il suo corpicino si rilassa. L'ultima cosa che voglio è che lui si senta in colpa, sono gli adulti che dovrebbe gestire meglio i loro ruoli.

Avvicinandomi al punto del misfatto, mi fermo proprio accanto al tavolo di Jerry senza guardarlo, il mio interesse va tutto alla giovane biondina svenuta. «Dovete stare più attenti. I vostri comportamenti stanno avendo delle ripercussioni dall'altra parte, ecco perché Shelly Morgan era qui. L'hanno mandata a Burgos alla ricerca di... fantasmi.»

Metà del brusio in sottofondo muta in un'ovattata risata di compiacimento. Io, al contrario, non ci trovo nulla di particolarmente ironico. Forse non hanno ben chiaro che, se non la smettono di interferire con il processo, rischiano di scontare una pena infinita in un luogo molto distante da quello che si auspicano.

Nicholas è uno dei pochi a non ridere, mi ascolta in silenzio e annuisce comprensivo. Di sicuro lui merita il meglio, la mia certezza è avallata anche dal modo tenero e preoccupato in cui guarda la ragazza distesa a terra.

Sospiro. «Sta a voi decidere, signori... sempre a voi la scelta della strada da percorrere.» Con uno scatto studiato inchiodo Maggie Foster, la barista. «Dico bene, Maggie?»

«S- sì... bene, Signor Nott» risponde nervosa. Accartoccia la spugna con la mano e se la stringe al petto. Il suo timore, il suo profondo rispetto per me, sono un monito per tutti. Maggie è un buon gregario, ha molto ascendente sui miei ospiti e la sua disciplina viene solitamente imitata dagli altri.

«Ottimo!» annuncio chinandomi sul corpo immobile di Shelly. Indugio un istante sul suo viso, pallido e fragile sotto la rete di capelli platinati. E' persino più avvenente di quanto ricordassi, e sono certo di averla osservata bene quando l'ho recuperata ieri, in Middle Road.

Le mie mani scivolano prudenti sotto il corpo della ragazza, la giro delicatamente e la prendo in braccio. Nell'attimo in cui mi rialzo, tenendola stretta, per una frazione di secondo i nostri volti sono vicinissimi e ho l'impressione che lei si stia svegliando. E' solo un lampo, però, perché quando la sistemo meglio contro il mio petto mi accorgo che è ancora svenuta. E' perfetta su di me, quasi fosse disegnata espressamente per la struttura di cui sono fatto. Ha l'espressione serena, e le sue labbra morbide appena dischiuse richiamano il profilo vellutato di un tulipano rosa.

Mi avvio all'uscita camminando piano, poi davanti alla porta mi giro e li salutto tutti: «Su con la vita, Signori!» squillo, ghignando prima di voltarmi e scomparire oltre l'uscio.


Metcalfe [SOSPESO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora