22. Bad Karma

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"E se solo potessi, fare un patto con Dio, e lasciare che ci scambi di posto... Risalire quella strada, risalire quella collina, risalire quel palazzo... Se solo potessi, oh"

Running Up That Hill - Placebo


Metcalfe inchioda bruscamente, e la manovra improvvisa mi proietta in avanti: riesco a evitare l'impatto col cruscotto solo grazie alla cintura, che avevo indossato per dare meno nell'occhio nel caso avessimo incrociato una pattuglia. L'auto si spegne, inscatolandoci tra il miglio ottantotto e il boschetto di "non ho idea di come si chiami questo posto di merda", spaventosamente esposti a un tamponamento con un'auto che potrebbe sopraggiungere da dove siamo arrivati, teatralmente offerti in sacrificio allo sceriffo di zona e al suo blocchetto di contravvenzioni.

Dio onnipotente! Non vedo quest'espressione sofferente e di estrema urgenza da quella volta, alla casetta sul lago, poco prima che Metcalfe mi confessasse che voleva baciarmi, poco prima che anche io confessassi a me stessa l'inconcepibile attrazione nei suoi confronti.

Come siamo arrivati a questo? Come abbiamo fatto a perderci così facilmente? Forse, senza rendercene conto, stiamo ricalcando un percorso fatto di punti numerati, come quello dei cruciverba, strategicamente sistemati da coloro che bramano la nostra sconfitta e ci attendono alla meta con ghigliottina e manette. Con ogni probabilità, siamo gli inconsapevoli partecipanti del loro diabolico, sregolato gioco.

«Che cazzo fai, Met?» gli urlo addosso, tentando di ignorare la sua espressione terrificante. «Non puoi bloccarti qui, in mezzo alla strada! Spostati perlomeno fuori dalla carreggiata!».

Ansimando come una tigre prossima all'assalto della preda, senza staccare gli occhi di ghiaccio dai miei, Metcalfe gira la chiave nel quadro e il ruggito della Chevy Impala, con mio enorme sollievo, riesce a sovrastare il suo respiro assordante. Svolta a destra, inoltrandosi nel bosco, l'auto sobbalza per via delle buche profonde nel terreno, e io prego che le sospensioni e gli assi non subiscano danni: sì, mi piacciono le auto e nutro un grande rispetto per questi mezzi di trasporto. Superiamo una montagnola rocciosa coperta di muschio e lui, per un motivo che naturalmente si guarda bene dal condividere con me, si ferma qui, a circa una cinquantina di metri dalla strada, all'ombra di una vegetazione smorta che funge da cupola naturale, e poi spegne l'auto, questa volta in modo corretto.

Non ho il tempo di verificare se sia o meno un nascondiglio a prova di sbirro, perché Metcalfe abbranca i miei fianchi, le sue mani si infilano nello spazio aperto del giubbotto, e mi trascina contro di sé, portando il viso a pochi millimetri dal mio.

«Hai paura?» soffia con voce roca, lo sguardo serio e concetrato.

I miei occhi traballano, e fanno la spola tra i suoi e quella bocca tanto vicina alla mia. «No» rispondo sommessamente.

Mi posa una mano sul viso, con il pollice mi sfiora l'angolo delle labbra. «Bene» dice, prima di baciarmi con furia, come se fosse la sua unica possibilità di sopravvivere all'inferno che ci assedia.

Penso a tante cose mentre Metcalfe mi bacia. A Marissa, ai miei genitori, alla limonata troppo zuccherata che bevevo da bambina, il sabato pomeriggio, al negozio di Giuseppe; a quella volta, in auto, quando mi ero quasi schiantata contro il distributore di giornali, per evitare Lucky, il cane cieco di Penny, l'anziana che abita nell'appartamento sopra il mio; al lavoro al Neon, alle pile di cartelle sulla scrivania del mio claustrofobico e minuscolo ufficio; a... casa, alla precaria felicità della mia vita pre-Burgos... pre-Metcalfe Nott... pre-morte. Odio il fatto che non uno fra i miei pensieri sia in grado di deprezzare la virtù di questo momento meraviglioso, il cui calore vivace si sta appropriando di ogni strato della mia anima; odio l'incapacità di odiare la parte di me che vuole questo essere molto più di quanto ambisca alla propria resurrezione; odio, e non posso impedirmi di farlo, ogni istante del mio esistere lontana da lui, ogni secondo che impedisce la nostra aderenza, fisica e mentale; odio non poter godere del suo sapore sempre, del suo desiderio e della sua indescrivibile potenza seduttiva... odio dovermi tanto spesso disgiungere dall'amore che provo per lui - perché è amore, ne sono convinta - per inseguire l'anaffetività della donna che ero un tempo, per non soffrire, per non morire mille volte se dovessi, un giorno, separarmi definitivamente da lui.

Metcalfe [SOSPESO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora