Il tramonto, per me, era una tra le cose più belle della giornata.
Ad Oakland ci sono tramonti davvero mozzafiato, e quando ero piccolo andavo sempre a guardarli dalla finestra del salotto. Pensavo fosse figo farlo. E lo penso ancora adesso.
Solo che adesso penso che sia meglio guardarli con qualcuno accanto a me.
Specialmente se quel qualcuno accanto a me fosse stato Leslie.Erano le sette e, appunto, il sole stava scomparendo tra le palazzine che si intravedevano dalla finestra della mia stanza, proprio vicino il letto.
La stanza di Leslie era proprio accanto a me. E pensai: "perché non chiederle di guardare il tramonto assieme? Il suo primo tramonto ad Oakland. Insomma, non può non perderselo."
Sarebbe stato bello.
Ma chiederlo sarebbe stato stupido.
O, comunque, lei lo avrebbe potuto trovare stupido.I miei pensieri da solito indeciso furono interrotti quando notai che la porta della camera di Leslie era socchiusa. Da dentro si sentivano dei rumori, come quando si sbattono delle cose per terra o si sposta
un mobile.
Pensai stesse disfando la valigia, così decisi di alzarmi dal letto uscendo da camera mia e di entrare in quella sua per aiutarla.Mi soffermai sulla soglia e stavo per aprire la porta, quando vidi Leslie mangiare qualcosa.
Bussai, e lei mi guardò dallo spiraglio. Sorrise debolmente.
"Che fai, mi spii?" Scherzò.
"Avanti, entra. Tranquillo. E' casa tua, no?"
Entrai, chiudendo la porta alle mie spalle e sedendomi sul letto."Casa nostra", la corressi.
"Casa nostra.", ripetè lei. Pur dicendo le mie stesse parole, il suo accento poteva sentirsi, eccome.
Non mi dispiaceva, anzi. Io amavo molto le lingue e viaggiare, anche se ero spaventato a morte dall'aereo.Ricambiai il sorriso di prima.
"Vedi... Ero in camera mia, che è proprio di fronte la tua."
La indicai con il dito, poi proseguii: "Ho sentito dei rumori e pensavo ti servisse aiuto con la valigia, o volessi fare qualche cambiamento in stanza."
"Oh, no, tranquillo. Cercavo solo queste", dichiarò, alzando la mano che teneva un barattolino arancione contenente pasticche.
"Queste cosa?" Chiesi.
Si sedette sul letto accanto a me, facendosi spazio, dato che i vestiti ed alcuni suoi oggetti erano tutti sparpagliati ovunque."Pillole." disse, guardandomi.
"Pillole? Prendi pillole?"
"Sì. Da due anni, circa."
"E per cosa?"
Mi resi conto che forse stavo diventando troppo invadente.
"Scusa", ammisi. "Non volevo farti un interrogatorio."
Lei ridacchiò.
"Non devi preoccuparti."
Abbassò lo sguardo verso le sue ginocchia e rimase in silenzio per qualche secondo, per esprimere bene quello che doveva dire. Poi posò i suoi occhi su di me."Ansia."
Disse quella parola con fatica.
"Più precisamente, attacchi di panico. Vedi, queste pillole sono come tranquillanti, o comunque mi aiutano molto quando inizio a sentirmi nervosa.
Ne prendo una, se è necessario un paio, e respiro profondamente. Diciamo che mi passa."Dopo che ebbe finito di parlare ci fu del silenzio, interrotto solo da alcune macchine passanti provenienti dall'altra parte della strada.
"Caspita. Non deve essere bello."
-Oh, cosa dici? E' una cosa bellissima, anzi!-
Merda. Odiavo quando non sapevo cosa dire.
Continuai.
"Ho conosciuto un ragazzo con il tuo stesso problema. E' finito pure all'ospedale, una volta."-Oh, molto rassicurante.-
"Anche a me è successo", mi confidò Leslie, interrompendo i pensieri della mia vocina interiore.
"E no, non è bello.
Ti senti bloccata. Ti senti impotente. Ti senti come se tutto il mondo stesse andando avanti ma tu sei chilometri e chilometri indietro.
E allora sei tu a bloccarti. A sentirti impotente. Sei tu a restare indietro, quando gli altri sono già arrivati alla meta.
È così che mi sento."
Vidi i suoi occhi divenire lucidi, ma il suo viso trasmetteva sempre gli stessi caratteri carismatici.
I suoi occhi, grandi e castani, trasmettevano tranquillità, ma allo stesso tempo, un senso di ebrezza.
Un senso di ebrezza che solo Leslie può dare."Ehi", le dissi, avvicinandomi a lei.
"Stai tranquilla. Nessuno è più avanti di te, qui. E tu non sei bloccata. Non sei impotente. L'unico modo per combattere questi attacchi è..."
"È pensare a qualcosa di bello. Lo so. Ma non ci riesco, Zack. Proprio non ci riesco", osservò, completando la frase al posto mio.
"Se ti senti incatenato, non puoi pensare di essere libero. Perché non lo sei, e in quel momento l'unica cosa a cui riesci a pensare è il fatto di essere incatenato. Non ti passa neanche per la mente di
pensare alla tua libertà. Ma, quando poi ti liberano, allora ripensi al tuo blocco.
E' questa la cosa brutta degli attacchi di panico. Gli attacchi di panico non sono altro che paura, debolezza..."
La vidi stringere i denti, abbassando lo sguardo.
"Sai", le dissi a voce bassa, prendendole la mano.
Feci un profondo respiro.
"Le paure si superano. O sola, o con altri, ma si superano. Guarda me."Aumentai il tono di voce e alzai il braccio verso di me, come per indicarmi.
"Ho paura constantemente di qualsiasi cosa. Ho paura persino di una lavatrice, perché penso che potrebbe esplodere da un momento all'altro mentre fa la centrifuga.
Ho paura persino di dire un "ciao" a qualcuno.
Ho paura di prendere un aereo, nonostante io ami viaggiare. Ed è qui che sbagliamo, Les; mettiamo le nostre paure prima di ciò che dovremo mettere avanti a tutto: l'amore.
Io amo viaggiare. L'aereo non deve allontanarmi dalla mia passione.
Ho paura di una giostra al luna Park. E non intendo Montagne Russe. Intendo il go-kart per i bambini di sei anni."La feci ridere, e a quel suono sorrisi anche io.
Era nuda, adesso.
Attenzione: non nuda nel senso di essere priva di vestiti.
Nuda nel senso che si era confidata con me. L'avevo vista triste, felice, spaventata.
Tutti dovremo essere nudi, ogni tanto. Tutti dovremo essere ciò che siamo in realtà, e non quello che vogliamo essere.
Leslie era così in quel momento.
Vi pare che lei fosse felice di avere paura? O di non riuscire a superare questo suo ostacolo?
Ovviamente no.
Ma lei era così.
Era felice della sua vita, di ciò che le era stato donato. Il ché non è poco per una ragazzina di 16 anni.
Ma allo stesso tempo, era timorosa, un po' distrutta dentro. E andava bene così.Tutti siamo felici e distrutti dentro. Ma non proviamo a cambiare.
Forse è perché siamo felici nell'essere distrutti dentro."Sai cosa ci vuole per superare la paura?"
Presi al volo l'occasione.
"Del cioccolato?" rise, tirando un po' su col naso.
"Beh, quello anche. Leslie, vorresti vedere il magnifico tramonto di Oakland?"
Le dissi, con fare teatrale.
"Oh, ma certo. Quale onore, signor Jones!" scherzò lei.
La mia mano era ancora sopra la sua.
Mi alzai, lei dopo di me. La guidai verso il salotto, per sederci sopra il divano di fronte la grande finestra, per osservare il sole calare giù lentamente.Il sole per il mondo è come la paura per Leslie, mi dissi.
Se ne va, ma poi ritorna. Puoi metterti gli occhiali, ma non servono. Il fascio di luce arriva sempre.
L'unica cosa che puoi fare è riunchiuderti in un luogo chiuso, al buio. Ma poi succede che hai paura del buio.
Io non avevo voglio di rinchiudere Leslie. Volevo vivere questa paura con lei. Volevo aiutarla a superare tutto ciò che era oscuro e buio per lei.
Quando si supera una paura, arriva la soddisfazione. Senza paura non esisterebbe soddisfazione, coraggio, amore.
Tutto ciò che può apparire orribile esiste solo per fare esistere il suo opposto.
Abbassai lo sguardo verso Leslie, che aveva la testa appoggiata sul mio petto, con gli occhi chiusi.
Si era addormentata."Buonanotte", sussurrai.
"Notte", sentii dire da lei.
Sorrisi, e mi godetti gli ultimi momenti del tramonto californiano, che vidi scendere giù tra le palazzine, per poi ritornare l'indomani nello stesso esatto punto.
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365 days ☆
Teen Fiction“Ho pensato a mille modi per iniziare questo prologo in maniera emozionante, convincente. Mille modi cosicché il lettore possa dire "mi convince già dall'inizio". Ho pensato mille e uno modi per provare ad amarla, ogni giorno meglio, ogni giorno sem...