IL NUOVO ARRIVATO.

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"Toc toc"... sentendo quel suono o dovrei dire rumore, mi siedo sul letto e con molta sorpresa vedo entrare "la-persona-che-porta-le-medicine".
«Ehi buon giorno signorina! Ecco le pastiglie e l'acqua.» disse l'uomo porgendomi in una mano tre capsule che sembravano caramelle e nell'altra un bicchiere con due dita d'acqua. Ingurgitai subito con un unico sorso e "l'infermiere", questa volta era un ragazzo, non una donna, prese il bicchiere dalle mie mani e uscì dalla stanza.
Quel ragazzo... cosa avrà avuto? La mia età forse, oppure sulla ventina. È diverso... i suoi capelli neri tinti di rosso scuro, la sua espressione da "bravo ragazzo"... non pensavo che questa organizzazione assumesse persone così.

**

Era ora di uscire a mangiare per poi andare in cortile a prendere una boccata d'aria fresca... La mensa era ancora di quel colore giallo canarino, ormai diventato giallognolo. Non avevano ritinteggiato... quindi era ancora il posto più deprimente di sempre.
Dal mio posto si poteva osservare tutta la sala: le guardie, i pazienti e quel ragazzo insolito di prima.
«Li sento... sono dappertutto... li sento...» disse Luca, un uomo di circa trent'anni.
«Lo so... lo so...» gli appoggiai una mano sulla spalla e lui mi guardò negli occhi, si poteva capire che era triste e solo... non veniva capito da nessuno.
«Ci osservano, loro sono qui anche adesso! SONO QUI!» Luca si mise le mani nei capelli e cominciò ad urlare.
«Luca, calmati... Luca!» gli presi le mani e lo guardai. «Va tutto bene... ma non farti scoprire, loro non devono sapere la verità, tu sai e loro non devono scoprirlo. » Luca si calmò, ma le guardie lo portarono via dalla mensa, non era la prima volta che succedeva, era sempre stato tormentato e, ogni volta che ritornava nella sua stanza, era cambiato...
Ormai quel pover uomo ne aveva passate tante e io ero l'unica a capirlo... per lui non ero come una sorella, ma come una madre.
«Ecco ora potete uscire!» disse l'infermiere con certo entusiasmo, interrompendo i miei pensieri. Aprì le porte. Due guardie erano uscite e altre due aspettavano che tutti i pazienti fossero usciti anche loro, ma io non volevo, volevo parlare con il nuovo arrivato, volevo che sapesse che cose orribili ci stanno accadendo.
«Dai Elisa vieni fuori, fa male stare sempre in posti chiusi.» mi disse una guardia in tono gentile, pacato.
«Non sono stata io a decidere di stare in un posto del genere!» mentre dicevo quelle parole non toglievo gli occhi di dosso a quel ragazzo dai rossi capelli.
«Oh capisco adesso, ma a voi non è permesso socializzare con noi...» la guardia mi prese per un braccio, ma non sentivo il suo tocco, ero come se fossi incantata. Quegli occhi verdi, quel sorriso... mi trasmettevano speranza.
«Se ti ribelli ancora in questo modo finirai come il tuo amichetto Luca.» mi sussurrò all'orecchio. Un brivido mi passò per tutta la schiena e speravo che qualcuno mi salvasse, come quando una madre legge una favola alla sua bambina... anche io aspettavo il mio Principe Azzurro, ma intanto sapevo che non sarebbe mai apparso... perché non esiste, almeno per me, il lieto fine.
«E dai George! La porto fuori io così potremo parlare. Okay?» disse il ragazzo guardandomi negli occhi, lui... lui mi aveva salvata!
«Okay...» la guardia lasciò la presa e mi porse al ragazzo come se fossi un oggetto.
Ormai eravamo già fuori in cortile: un posto grigio, senza un po' di colore.
«Questo edificio sta diventando come noi...» dissi abbassando lo sguardo.
«In che senso?» il ragazzo mi guardava perplesso.
«Prima eravamo vivi, ora stiamo morendo... lentamente.»
Il ragazzo abbassò lo sguardo, come se la mia frase lo avesse colpito al cuore, forse era ancora giovane per questi pensieri...
Camminammo per dei minuti e lui restò in silenzio, come se le mie parole si fossero unite al vento.
«Come ti chiami...?» con quella domanda forse avrei rotto il ghiaccio che si era creato.
«Mi chiamo Micail... tu invece Elisa, giusto?» mi guardò negli occhi, non ero abituata a quegli sguardi e, sopratutto a parlare con una persona che non fosse Luca.
«Giustissimo!» mi stupii di come mi ero rivolta a Micail. Che mi stava succedendo?
«Credo che sia il momento di rientrare... ci si rivede!» si allontanò con passo deciso.
Volevo sapere altre cose, ma è come se la presenza di quel ragazzo mi avesse fatto dimenticare ogni singola cosa, come il blocco dello scrittore: sai come iniziare, ma non sai come finire.

**

Passarono le ore, i giorni... non sapevo come parlarci, ma non ero tanto preoccupata di questo. Luca era sparito da una settimana ormai, lo avranno chiuso in una cella di isolamento? Lo avranno riempito di "farmaci"? Come posso aiutarlo?
Sentii bussare, quell'orribile suono era sempre la causa dell'interruzione dei miei pensieri.
Entrò l'infermiera, no aspettate... era Micail! Sorrisi vedendolo e lui ricambiò. Quando sorrideva era la fine del mondo...
«Ecco le medicine.» presi le medicine senza bere l'acqua, subito il ragazzo fece per girarsi, ma io lo bloccai subito tenendolo per un lembo della maglia.
«Senti Elisa... sei una paziente e io non posso affezzionarmi o parlare con voi. Capisci? E adesso devo andare.» disse con freddezza, quasi mi sconvolse, ma io non mi arresi.
«Loro ci stanno facendo del male! Luca aveva ragione! Ci osservano... sempre... tu ne sei al corrente?»
«Nessuno vi sta osservando! E noi vi stiamo solo curando! Senti... siediti sul letto e riposati.» uscì dalla mia stanza dandomi le spalle. Io mi fiondai sulla porta e cominciai a tirare dei pugni.
«Non sono pazza, devi credermi. SONO QUI DA TROPPO TEMPO! AIUTACI!» caddi sulle ginocchia esausta, neanche Micail mi credeva... non riusciremo mai a sopravvivere...
Mi appoggiai alla porta e mi portai le gambe al petto. Mi sentivo troppo sola... e incompresa. Perché non voleva credermi? Anzi... perché non voleva parlarmi? Solo perché mi credono pazza non vuol dire che io lo sia...

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