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Inconsciamente Abigail si rese conto che qualcuno le stava tamponando la fronte con una pezza bagnata. Chi era? Amico o nemico? Gemette, poi ricadde nell'incoscienza. 

Una seconda volta, si svegliò urlando per il dolore. Qualcuno doveva averle rotto un braccio o una spalla, perché l'arto destro le faceva così male che avrebbe voluto morire; prima ancora di registrare l'evento, svenì di nuovo. 

Andò avanti a quel modo per non sapeva quanto tempo. Ogni volta che rinveniva si chiedeva quanto tempo fosse passato, per quanto fosse rimasta svenuta, da quanto non vedeva Miska... Ma erano domande che non potevano trovare risposta nella sua mente febbricitante e non appena richiudeva gli occhi, l'oblio la richiamava. 

I sogni si susseguivano, a volte terribili come incubi, altre evanescenti come l'etere. L'ultimo che fece la colmò di ansia e inquietudine, e Abigail aprì gli occhi con il sudore gelido che lento le scivolava lungo la spina dorsale. Gli occhi verde mare si fissarono su un soffitto di legno e scivolarono lungo la parete dello stesso materiale, incontrando pochi mobili e un arredamento spartano. Doveva essere finita in una qualche camera per gli ospiti, anche se non ricordava come o perché. 

Avvertì un leggero dolore alle tempie, come un principio di mal di testa e vi posò una mano, scoprendo che sia l'una che l'altra erano fasciate. Si guardò meglio, ma non trovò altri segni di contusione o ferite guarite. Cercò di tirarsi su, ma il cerchio alla testa glielo impedì. Crollò di nuovo sui cuscini morbidi e per un attimo chiuse gli occhi sperando che la stanza smettesse di danzarle intorno. 

In quel momento, sentì una porta schiudersi e lentamente riaprì gli occhi, mettendo a fatica a fuoco la figura di una donna alta e minuta con chiari capelli biondo platino e un sorriso incerto sulle labbra sottili. Disse qualcosa che Abigail non seppe interpretare, così si limitò a rimanere in silenzio mentre la donna posava un piatto di minestra sul comodino accanto al letto. L'odore era invitante e il suo stomaco brontolò. 

La donna sorrise di nuovo e le parlò ancora e Abigail si limitò a sorridere a sua volta alzando le spalle con fare incerto. La destra le esplose in un dolore lancinante. Sotto i lindi abiti che stava indossando, c'era una fasciatura che a una prima occhiata non aveva visto. Un ricordo vivido le tornò alla mente e subito si voltò verso la donna.

«Mi avete rimesso a posto la spalla?» domandò concitata. 

Da sola di sicuro non doveva aver fatto un buon lavoro, ma il solo pensiero che qualcuno l'avesse presa e rivoltata mentre era incosciente non le piaceva neanche un po'.

La donna rimase perplessa, probabilmente senza capire e Abigail cercò di farsi intendere a modo suo, gesticolando con la mano sinistra.

«Voi.. avete.. curato... spalla..?» chiese ancora fissando la donna negli occhi e indicandole l'articolazione in questione.

Quella parve riscuotersi solo allora e dopo aver annuito rapidamente, si alzò e andò alla porta chiamando qualcuno. Poco dopo sulla soglia spuntò un timido ragazzo sui sedici anni dai capelli biondi come la madre e lo sguardo limpido come il cielo invernale. Parlottarono brevemente tra di loro, poi il ragazzo si fece avanti.

«Ehm.. tu parli inglese?»

«Sì. Sono americana.»

Il ragazzo si voltò verso la madre e le riferì quello che aveva detto. La cosa le diede uno spiacevole senso di dejà vu.

«Come ti chiami?» le chiese ancora.

«Abigail. Abigail Forrest.»

Lui riferì ancora. «Come mai eri da sola? Ti sei persa?» le chiese, probabilmente sotto richiesta della madre.

Ocean's Smile - Il Sorriso del MareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora