Capitolo 2

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Gli avventori si accalcavano davanti alla cassa, per poter ordinare velocemente la loro colazione. Erano un ammasso di corpi, che si spintonavano come se bastasse per far prendere alla ragazza la loro ordinazione più velocemente. Dopo la conversazione con Elliot, avevo provato a distrarmi, a smettere per un momento di pensare all'incubo che ancora mi perseguitava. Avevo sopportato la trafila per i controlli, avevo chiamato Martin, sperando che insultandolo sarei riuscita a superarlo, prima di potermi stordire con l'alcool, ma senza successo. Però avevo provato un piacere perverso a sentirlo urlare dall'altra parte: che lo stavo mettendo in difficoltà e come mi permettevo di sparire così da un giorno all'altro. L'avevo lasciato sfogare e poi avevo attaccato ad urlare io. Sapeva da settimane della mia partenza. Dopo averlo rassicurato, abbassando i toni, visto che i presenti avevano iniziato a guardarmi, gli promisi di essere reperibile se avesse avuto dei problemi. Mi insultò ancora qualche minuto ed io ricambiai per finire la conversazione, parlando della moglie e della gravidanza. Sì, il nostro rapporto era particolare, ma nell'ultimo anno e mezzo avevamo imparato a sopportarci a vicenda. Quando ero arrivata al Post, la prima cosa che mi disse fu:

-Che cazzo ci fa una del Times qui da me? Per far cosa poi? Una rubrica sulla vita quotidiana?! Ragazza, conosco la tua dannata carriera, che ci fai qui?- ricordo che la vena che si ingrossava tutte le volte che si emozionava, pulsava sul collo taurino. Aveva i capelli rasati corti di un nero innaturale, che mi diceva che se li tingeva, gli occhi grigi erano gentili ed indagatori. Anche se aveva dei modi bruschi, era arrivato in quella posizione grazie alla sua faccia tosta oltre alla bravura nel suo lavoro. Aveva ragione a chiedermelo, perché una ex giornalista di cronaca del New York Times, con diverse pubblicazioni su riviste prestigiose, era finita a chiedere di scrivere una rubrica? Era semplice, avevo bisogno di un cambiamento. Ricordo che alzai le spalle e gli puntai i miei occhioni rabbiosi addosso.

-Tutti, hanno bisogno di consigli, chi meglio di me glieli può dare? Una che ha bisogno di staccarsi dalla vita, che ha bisogno di essere qualcun altro, di vivere attraverso gli altri, non è perfetta?- si mise a ridere per la mia risposta e dopo avermi dato una manata sulla spalla, mi assunse. Da allora, abbiamo vissuto sull'orlo di un burrone, tra l'ucciderci a vicenda e l'amarci la mattina dopo. Avevo conosciuto la sua famiglia e lui aveva imparato a conoscere me. Quel lavoro mi piaceva, dovevo limitarmi a leggere qualche lettera, scrivere dei consigli spassionati e raccontare nel mio editoriale, il tema della settimana. Era perfetto e mi dava anche la possibilità, di continuare a scrivere sceneggiature, per delle serie televisive. Per quel dannato viaggio, avevo dovuto consegnare le ultime venti pagine in anticipo, ma la fatica era valsa. Ero stata così impegnata a scrivere contro il tempo ogni notte, da non avere neanche il tempo di mangiare, figurarsi per affrontare i miei demoni.

Ordinai uno scotch liscio e mi accomodai al bancone. La ragazza, aveva storto il naso, ma aveva fatto quello che le chiedevo. Non sono un alcolizzata, almeno non mi definisco tale. Mi piace rimanere nel limbo della sbronza, senza mai caderci completamente. Il segreto era smettere, poco prima di collassare, ed io avevo imparato fin troppo bene quale fossero i miei limiti. Iniziai a giocare con il bicchiere, facendo girare il liquido ambrato in circolo, mi piaceva, come il liquido si muovesse nel bicchiere, lasciando aloni chiari, ogni volta che completava un giro. Stavo con la testa china e le spalle abbassate in segno di sconfitta, sul bancone, continuando quel gesto, fino ad ipnotizzarmi. Appena il primo sorso di liquidò mi bruciò la gola, iniziai a sentirmi meglio. Accarezzai il tatuaggio del giglio bianco, con la punta delle dita, indugiando sulla scritta. Percorsi il suo nome, sfiorandolo delicatamente, come se sfiorassi il suo viso, cercando di ricordarla. Di ricordare la sensazione delle sue mani su di me, del suo sorriso, del suo profumo e del suono della sua voce. Ma i ricordi iniziavano a sbiadire, e per quanto mi sforzassi, iniziavo a perdere il contorno del suo viso, il suono della sua risata, i suoi occhi quando mi guardavano con amore. Mandai giù il resto del bicchiere in fretta, lasciando che mi bruciasse la gola oltre alla mente e tornai nella giungla delle ordinazioni. Se ero ubriaca o quanto meno brilla, dimenticarmi di lei era più facile, potevo incolpare l'alcool e non la mia mente. Guadagnai un'altra occhiataccia da parte della cassiera e mi riaccomodai sullo sgabello che avevo lasciato libero.

Come ho conosciuto mia figliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora