Capitolo 4

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"Ci vuole un per una persona speciale, un'ora per apprezzarla, un giorno per volerle bene, tutta una vita per dimenticarla." Charlie Chaplin.

Mi svegliò il rumore della chiave che grattava nella porta e le conversazioni scherzose che arrivavano dal piano di sotto. Controllai l'ora ed era passata da poco l'una. Il sole filtrava attraverso la tenda, illuminando la stanza deserta. Ai piedi del letto, c'era la valigia aperta e la borsa, che avevo fatto cadere, spargendone il contenuto sul pavimento. La valigetta con il portatile, invece, era su una sedia che non avevo notato. Non ricordavo di averla lasciata lì. La testa mi faceva un male cane e mi sentivo la bocca impastata. Sul comodino, lontano dal cellulare, c'era un bicchiere d'acqua ed una pillola, probabilmente un'aspirina. La inghiottì, tracannando l'acqua avidamente. Mi grattai la testa, stringendo gli occhi, perché il movimento mi aveva scatenato una fitta in mezzo agli occhi e mi alzai. Ero abituata a svegliarmi con il mal di testa, ma di solito ero in dolce compagnia e bastava a distrarmi dal mio dopo sbronza. Ma non in Italia. Tutte le volte che tornavo a casa ero una persona diversa. Era come se tornasse prepotentemente l'adolescente timida e spaventata che ero un tempo, quella che aveva paura a mostrarsi per quello che era, che rinnegava il suo orientamento sessuale e che stava in silenzio in un angolino. Sapevo già che le notti brave che avevo a New York, qui si sarebbero annullate, che non ci avrei provato con nessuna ragazza, che anzi avrei iniziato a covare quell'antico risentimento, che solo con fatica avevo abbandonato. Era solo un mese, un mese per essere un'altra persona.

Raccattai il contenuto della borsa e la buttai sul letto. Corsi in bagno, mentre le voci dei miei amici, più quella di una sconosciuta mi accompagnavano. Ricordavo vagamente la notte scorsa. Sapevo di essermi alzata e di aver bevuto... avevo poche immagini frammentate. Io che salivo, non so come e due occhi verde smeraldo che mi guardavano assonnati. Oh cazzo, avevo svegliato la sorella di Paolo, che mi aveva aiutata a rimettermi a letto. Non certo il miglior biglietto da visita del mondo. Che figura di merda. Mi rimproverai, prendendomi la testa con i palmi. Ecco perché c'era dell'aspirina vicino al letto, me l'aveva lasciata lei. Sbuffai e mi vestì in fretta. Scelsi una t-shirt con una scritta stupida sul davanti e dei pantaloncini in jeans neri. I capelli erano tutti scompigliati, iniziai a pettinarli, ma questi non erano dello stesso avviso. Ho i capelli mossi, e se decidevano di non collaborare, non c'era santo che tenesse. Li raccolsi in una coda e scesi.

Claudia e Samira, mi davano le spalle, concentrate sui fornelli. Paolo e Riccardo, invece, giravano intorno alla cucina, pizzicando qua e là, quello che riuscivano a rubare dalle pentole. La porta a vetri, che dava sul gazebo, era aperta e la sorella di Paolo era china sul tavolo per apparecchiarlo. Il sole giocava con i suoi capelli, che le cadevano sul viso. La osservai, mentre se li spostava dietro le orecchie distrattamente. Gli occhi verdi, erano ancora più luminosi, di quanto fossero stati quella notte. Indossava un prendisole bianco, che lasciava intravedere il costume nero. Anche gli altri erano ancora in costume a piedi scalzi. I ragazzi erano a petto nudo, con i costumi sgargianti. Erano lì da poco, ma erano già abbronzati. Claudia, era in costume, con un pareo rosso stretto in vita, mentre Samira aveva un prendisole azzurro. Samira aveva origini Indiane e la carnagione caramello, risaltava con i colori chiari. Claudia invece, era già di un delicato color caffè latte. Quando andavamo al mare, facevamo a gara a chi delle due si abbronzasse di più. Avevamo preso la carnagione da nostra madre e ci bastava poco per abbronzarci. Nostro padre, invece, che era Veneto, era bianco latte e tutte le volte che andavamo al mare si scottava.

-Buon giorno- dissi, facendoli sobbalzare dallo spavento. Si girarono tutti a guardarmi, tranne Samantha, che sembrava molto concentrata in quello che stava facendo. Samira, mi lanciò il suo solito sguardo d'odio e tornò a mescolare il sugo che bolliva nella pentola.

Come ho conosciuto mia figliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora