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L'INGRESSO

Era tutto vero. Insomma, mi trovavo seriamente davanti a quello che era il mio sogno. Certo, non pensavo che l'entrata fosse una porta esteticamente arrugginita dietro ai cassonetti della spazzatura.

Ma, per capire meglio tutto ciò, bisogna partire dall'inizio. Mio padre è sempre stata quella persone che se riceveva una chiamata, rispondeva e scompariva. Pensavo che fosse l'aiutante di Superman, perchè diciamocelo, Superman è figo. Il cellulare doveva essere per forza quel senso cattivo, che ti faceva correre per salvare la gente. - Papà, la prossima volta comprami il costume da fata, così volo insieme a te - dissi un giorno, per farvi capire la mia determinatezza in ciò che credevo. La verità arrivò quando imparai a leggere, notando qualcosa che era sempre sfuggito ai miei occhi: un semplice cartellino blu, attaccato alla tasca sul petto della solita giacca, con su scritto 'Nasty'.

Che cos'era? Era una donna? Era il suo nome da supereroe? Niente di tutto questo. Nasty era semplicemente dove lavorava. Così, quando mi chiedevano il mestiere del mio babbo, rispondevo che lavorava per conto di Superman.

La verità l'appresi a dodici anni, quando ero matura per la vera responsabilità delle azioni mie e altrui: papà era una spia. Inizialmente scoppiai a piangere, perchè con molta delicatezza mio padre mi disse - Superman è solo un personaggio inventato - e poi perchè non ci volevo credere. Insomma, pensavo alle spie che erano sempre in forma, attraenti, con una pistola come animale da passeggio. Non vedevo mio padre come una spia: la barba sempre incolta, i capelli spettinati e la sua noncuranza del vestiario. Non era possibile.

Col tempo accettai l'idea del suo mestiere, e volevo sempre più farne parte. Fino ad ora, il mio primo giorno di lavoro al Nasty. Mica male.

- Sicuro che si entri da qui? - chiesi a mio padre, guardandolo diffidente. Lui fece un mezzo sorrisetto, aggiustandosi gli occhiali. - Ci lavoro da trent'anni, penso proprio che si entri da qui - scherzò, gracchiando un verso simile a una gazza che sta soffocando. Ahi, ahi, la mezz'età!

Passò il suo cartellino nella fessura della porta, e come per il bancomat, risucchiò la carta per poi farla uscire subito. La serratura scattò. - Che ti avevo detto? - disse lui con fare altezzoso. - Abbi pietà per un'anima ingenua - risposi.

Entrando, la vista ai miei occhi mi lasciò di stucco: tutto era un grigio pallido e un bianco gesso, con un via vai di molta gente. Guardai il mio outfit, rendendomi conto che alla fine non era un travestimento che usava mio padre per venire qui: quello era proprio il suo stile trasandato. I jeans comuni, abbinati ad una semplice maglia viola con giacca nera non erano un granchè.

- Benvenuta al Nasty, figlia mia - disse il mio vecchio, porgendomi il mio cartellino, identico al suo, ma con il mio nome inciso sopra. - Andiamo dal direttore.

Annuii, sentendo gli sguardi di tutti fissi su di me. - E' la figlia di Josh Kenner! - Quanto è cresciuta! - Non mi piacciono i suoi capelli biondi - Sembra tutta il papà! - Sicure che non combinerà qualche disastro?

Queste erano le principali cose che sentivo durante il mio calvario verso quella stanza, che sembrava irraggiungibile per l'infinità di corridoi e porte. - Signor Kenner, quale piacere! - disse un biondo, fermando la nostra camminata. Era un mio coetaneo, con un cappellino arancione e bianco sul capo ed una maglia con su scritto 'Foodfaster, pizze più veloci di Flash'. Quella scritta poteva risparmiarsela. - Oh, ciao Niall - disse papà, stringendogli la mano con fare frettoloso. - Ti presento mia figlia Jennifer.

Il biondo mi guardò con uno sguardo che mi inquietò timore, perchè doveva essere uno sguardo sexy nella sua mente. - Ciao Jennifer, io sono il fattorino del pranzo se non lo avessi capito.

- Piacere mio - dissi sbrigativa, ansiosa di sapere quale fosse la mia collocazione. - Ci vediamo all'ora di pranzo Jen! - rispose il biondo salutandoci. Spero proprio di non vederlo mai più. Ah, giusto, lui sarà qui ogni giorno.

Arrivati all'ufficio, mi aspettavo di vedere un capo austero e determinato, invece chi vidi mi lasciò di stucco: quello era zio Unicorno! Erm, vi spiego brevemente: al mio sesto compleanno la fata Turchina diede buca, così arrivò un signore vestito da rinoceronte col corno, piuttosto che unicorno rosa.

- Jennifer, quanto sei cresciuta! - esclamò zio Unicorno, abbracciandomi e soffocandomi per la puzza delle sue ascelle. - Salve - risposi, di certo non potevo chiamarlo come feci a sei anni. - Avete gli stessi occhi azzurri - commentò deliziosamente, facendomi sospirare incredula. Tutto quello che immaginavo non era come me l'aspettavo.

- Beh, sì, è fantastico - rispose mio padre, abituato alla stessa frase che diceva chiunque ci incontrasse. - Passiamo agli impegni - bisbigliò come un consiglio al capo.

- Oh, sì, certo - borbottò quello, sedendosi sulla scrivania. - Negli ultimi tre anni sono arrivati soggetti giovani come te, e con un modo di pensare diverso da quello della nostra generazione. Siamo divisi in settori, in base a chi dobbiamo controllare: mafia, gang, assassini... Voi ancora non siete pronti all'azione, perciò ti inserirò in questo gruppo di giovani reclute.

- Va bene - dissi semplicemente, dopotutto non ero ancora pronta a fare movimento. Odio la ginnastica, però sarò una spia. Stupendo.

Il capo ci congedò, e mio padre mi spiegò dove si trovava il settore G. G per giovani, oh andiamo!

Fu facile perdersi. Arrivai in un punto dove non c'era nessuna insegna e nessuna anima viva. - Ti sei persa? - chiese qualcuno, grazie al cielo. Era un ragazzo moro, con una barbetta assente ed una sciarpa gialla e nera. - Sì, non ho capito bene dov'è il settore G.

- Io ne faccio parte, seguimi - disse timidamente, e lo seguii facendo finta di non odiare quella sciarpa fatta a mano. - Sei nuova, vero? - chiese, ed io annuii. - Sono la figlia del signor Kenner.

- Il signor Kenner! - esclamò lui, ridendo come una ragazzina. - E' un onore conoscerti!

- Anche per me - dissi cercando di continuare a camminare. - Com'è essere figlia di una spia? - domandò ancora in vena di fangirlare.

- Chiedilo in futuro ai tuoi figli - risposi secca, lasciando impressa una faccia confusa e perplessa sul suo volto. Probabilmente non ha capito che voleva dire. - E' stupendo. - Continuai rassegnata, ed il suo gridolino crebbe nuovamente.

Arrivammo finalmente in una stanza immensa, con su scritto a caratteri cubitali ' SETTORE G '. Ma grazie, mettetela qualche insegna. - Noi controlliamo principalmente i soggetti meno pericolosi, come ladruncoli, gang dispettose, ex criminali... - spiegò. Era un'enorme distesa di computer di ultimo modello, schierati in quattro gruppi differenti. - IL G-1 si occupa delle gang, il G-2 dei neoladri inesperti, il G-3 dei possibili pericoli e il G-4 degli ex- criminali, il più noioso.

- Fammi indovinare, saremo del G-4.

- Esatto - sospirò affranto, facendomi strada. - E' quello in cui urge più gente. Di solito qua ci sono quelli che prendono lo stipendio senza fare granchè. Non succede mai nulla.

Sicuri che questo non fosse quello dei ladruncoli?

- Puoi sederti lì - disse, indicandomi un posto vicino a una ragazza con dei capelli mogano. - Io sono nella fila dietro, sta' tranquilla.

- Grazie - risposi, andandomi a sedere alla sinistra di quella ragazza. Quella sembrò spaventarsi alla mia vista. Iniziamo decisamente bene.

Nasty - Il pericolo incombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora