VII. Horton Lodge

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Il 31 gennaio fu una giornata aspra, tempestosa, con un forte vento di tramontana e una continua tormenta di neve che si accumulava a terra e turbinava nell'aria. I miei avrebbero voluto che rimandassi la partenza; ma io, temendo di impressionare sfavorevolmente i miei datori di lavoro con una mancanza di puntualità proprio all'inizio, non volli venir meno all'impegno.

Non annoierò i miei lettori descrivendo la mia partenza da casa in quella buia mattina d'inverno: i teneri saluti, il lungo, lungo viaggio fino a O..., le solitarie attese di una diligenza o di un treno nelle locande - poiché vi erano allora alcune linee ferroviarie - e infine l'incontro a O... con il servitore del signor Murray, che era stato mandato con il phaeton per accompagnarmi a Horton Lodge.

Dirò soltanto che la neve aveva creato tanti ostacoli ai cavalli come alle macchine a vapore, che non giunsi alla fine del viaggio prima che fosse buio già da qualche ora, e che all'ultimo si scatenò una tempesta tanto accecante da rendere i pochi chilometri tra O... e Horton Lodge un viaggio lungo e difficile. Io sedevo rassegnata, con la neve fredda e pungente che mi entrava sotto la veletta e mi cadeva in grembo, senza vedere nulla e chiedendomi come gli sventurati cavallo e cocchiere riuscissero, sia pure in qualche modo, a farsi strada; si trattava, è vero, di un avanzare faticoso, strisciante, a voler essere generosi.

Infine ci fermammo; e, al richiamo del cocchiere, qualcuno aprì sui cardini cigolanti quelli che mi parvero i cancelli del parco. Allora avanzammo su una strada più agevole, e a tratti scorgevo una informe massa bianca, senza dubbio un albero coperto di neve, che penetrava le tenebre.

Dopo parecchio tempo ci fermammo di nuovo, davanti al maestoso portico di una vasta dimora le cui finestre arrivavano fino a terra.

Mi alzai a fatica per la neve che mi copriva, e scesi dalla carrozza pensando che un'accoglienza cortese e ospitale mi avrebbe ricompensato delle fatiche e della durezza del viaggio. Un uomo vestito di nero d'aspetto signorile mi aprì la porta e mi fece entrare in una vasta anticamera illuminata da una lampada color ambra appesa al soffitto; mi condusse poi in un corridoio e, aprendo la porta di una stanza sul retro, mi disse che era la sala da studio.

Entrando, vidi due ragazze e due ragazzetti, i miei futuri allievi, pensai. Dopo un saluto formale, la ragazza più grande, che si gingillava con un canovaccio e un cestino pieno di matassine di lana da ricamo, mi chiese se desideravo salire.

Naturalmente risposi di sì.

«Matilda» disse allora «prendi una candela e mostrale la sua stanza.»

Matilda, una ragazza robusta sui quattordici anni, ancora con le gonne corte e i mutandoni, scrollò le spalle e fece una smorfia, ma prese una candela e mi precedette su per le scale (due piani alti e ripidi), e lungo uno stretto corridoio, fino a una stanza piccola ma non priva di comodità. Poi mi chiese se volevo del tè o del caffè; stavo per rispondere di no; ma, ricordando che non avevo preso nulla dalle sette del mattino, e poiché mi sentivo di conseguenza venir meno, dissi che avrei preso volentieri una tazza di tè. Con la breve affermazione che lo avrebbe detto «alla Brown», la signorina se ne andò; e quando mi ero già tolta il pesante mantello bagnato, lo scialle, il cappello, eccetera, entrò una leziosa donzella per dirmi che le signorine volevano sapere se desideravo prendere il tè in camera o nella sala da studio. Con il pretesto della stanchezza, preferii prenderlo in camera. Lei si allontanò, e tornò poco dopo con un vassoietto, appoggiandolo sul cassettone che fungeva da toletta.

La ringraziai e le chiesi per che ora mi avrebbero atteso la mattina dopo.

«Le signorine e i signorini fanno colazione alle otto e mezzo, signora» rispose. «Si alzano presto; ma non fanno mai lezione prima di colazione: credo che dovrebbe andare bene se vi alzaste subito dopo le sette.»

Agnes Grey (Anne Brönte)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora