PROLOGO

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Clarisse scese assonnata le scale, svoltó l'angolo alla fine del corridoio e si sedette a tavola.
La cucina era una tipica cucina americana, di quelle da film, i mobili vari stipati tra due pareti formando un angolo, il bancone al centro e un grosso tavolo posizionato davanti al forno per cucinare.

-Meeh...
Mugugnó con la voce impastata dal sonno.
-Su un pó di vita!
Disse suo padre porgendole un piatto di toast.
Quanto amava i toast.
Subito ne afferró uno e lo mise sotto ai denti facendo colare tutto il formaggio fuso.
-Sbrigati a prepararti dobbiamo essere lì alle 8:00!!
Clarisse fece una smorfia.
Sarebbe dovuta andare da Doll, l'ex di suo padre. Quanto odiava Doll.
Era una donna frivola e superficiale, una donna che era così infantile e vanitosa da essere insopportabile, per non parlare della sua voce, che dopo cinque minuti ti aveva già fatto venire una emicrania quasi forte come quella dopo una forte ubriacatura.

-Papà non ci voglio andare...
-Figlia mia ha deciso così il giudice.
Non era così che voleva passare le vacanze estive, avrebbe preferito andare al mare con suo papà, giocare con i suoi cugini a casa di suo zio Jeremy o semplicemente fare quello che le pareva, anche perché aveva tre mesi per farsi tutti i suoi programmi. Invece era costretta a farsi portare in giro per negozi da quella fuori di testa di Doll.
Che poi che nome era Doll?
"Che mi significa bambola?" Disse fra sè e sè, e si disse che era per quello che quella donna era così narcisista, con il nome che le avevano dato si sarà creduta una bambola per tutta la vita.
"Ma poi che tristezza essere una bambola... Dico, le bambole non anno vita, sono pezzi di plastica, che ti guardano con occhi di plastica... Che dici guardano, al massimo sei tu che guardi loro, ma comunque non hanno un anima, non sono vive, sono giocattoli.".
Continuò a spaziare fra un pensiero e l'altro salendo di nuovo le scale.
Aprii l'armadio e diede un'occhiata veloce.
La prima cosa per cui optó furono i leggins viola, a cui decise di abbinare una T-shirt nera. Sapeva che la maglietta nera era un suicidio d'estate, ma si disse che non era un problema, sperava solo che un capogiro di primo pomeriggio in un negozio di scarpe non l'avrebbe smentita.

"Perfetto."
Si disse, prese tutto quel che mancava e andó a prepararsi.
In solo mezzora, era di sotto.
-Eccomi papà.
-Dai mettiti la giacca.
Nella sua città la mattina il tempo era abbastanza fresco, anche d'estate, ma poi schiariva e di pomeriggio c'era una temperatura perfetta.
Clarisse guardó lo specchio in cui loro due venivano riflessi.
Lui occhi azzurri, lei grigi.
Lui capelli castani, lei di un nero che più scuro non sarebbe stato possibile.
I lineamenti erano totalmente diversi: lui aveva una mascella scolpita, zigomi alti, occhi azzurri incavati è una fronte tozza e bassa; lei invece aveva il viso lungo e dai lineamenti delicati, le guance rotonde che smussavano gli zigomi e gli occhi grandi e grigi.

Clarisse si lasció sfuggire una domanda che forse non avrebbe dovuto fare.
-Ma perché siamo diversi anche se sono tua figlia? Insomma, così diversi.
Disse indicando prima il suo viso e poi quello del padre.
-Ehm... Non tutti i figli somigliano ai genitori...
-E allora perchè tu firmi "Mike Schmidt" mentre il mio cognome è "McPurple"?
Disse Clarisse rigirando il coltello nella piaga.
-Senti sono in ritardo a lavoro, prima ti porto da Doll, meglio è.
Disse l'uomo passandole davanti evidentemente frustrato e uscendo di casa.

Qualcosa non andava, aveva colto nel segno. Cosa c'era che non le era stato detto?
Lei doveva scoprirlo.
A qualsiasi costo.

PURPLE - Cursed DaughterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora