Il Piano

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Alle 10 di mattina Clarisse era già seduta sulla panchina designata del parco aspettando i suoi cugini.
Erano due tipi bizzarri è piuttosto insicuri. Se c'era una sfida si tiravano indietro e vivevano nella loro piccola confort zone.
Chiunque lo avesse visti avrebbe subito notato i loro capelli biondi corti e un po' riccioli e i loro occhi verdi, che tentavano sempre di non incrociarne altri.

Guardó l'ora più e più volte e controllava in torno per vedere se quei due stessero arrivando, ma come al loro solito, arrivarono quasi dieci minuti in ritardo.
- S-scusaci Clar... Papà n-non voleva farci uscire...
Disse James riprendendo fiato mentre Jamie era praticamente sdraiato sulla panchina.
-Si si, sempre scuse... comunque, allora, ieri sono entrata in quel posto strano uscendo dalla città... Quella specie di cosa abbandonata dove va al lavoro papà, e voi mi ci dovete riaccompagnare. Piano semplice semplice.
I due gemelli si guardarono impallidendo.
-Il Fazbear Fright!
Dissero allunisono guardando Clarisse spaventati a morte, a volte era impressionante quanto fossero coordinati.
Clarisse inarcò il sopracciglio e si fece spiegare cosa diavolo fosse questo Fazbear Fright.
Il posto era una esperienza horror, come le case infestate alle fiere, basata su una leggenda metropolitana molto popolare di una pizzeria maledetta.
L'idea le sembrò stupida e senza un minimo senso e penso che con questo concetto di base, era normale che non ne avesse mai sentito parlare.

-Ma C-Clar... Quel posto è orrendo...
Gemette Jamie che sembrava stesse per avere un'infarto.
-Suvvia non è poi così male, io sono convinta che...-
A dire il vero nemmeno Clarisse era sicura di cosa era convinta, ma sapeva che ci sarebbe dovuta tornare. Il suo intuito non sbagliava mai, e non avrebbe certo iniziato adesso a farlo.
-Forza sbrighiamoci mezze cartucce!
Disse avviandosi per la strada verso il Fazbear Fright.

-Dai entriamo!
Disse tranquilla (ma non troppo) Clarisse, visto e considerato cosa le era successo l'ultima volta, ma rassicurata dal fatto che lì ci lavorasse il padre, si sentiva meno colpevole di usare i due ragazzi come cavie per i possibili orrori nascosti in quella topaia.
Spinse la porta, entró e si guardó intorno: via libera. Fece cenno ai cugini di entrare e loro anche se titubanti, la raggiunsero.
-Questo posto puzza...
Si lamentó Jamie tremolante, tenendosi al braccio del gemello che non era per nulla sereno.
-Clarisse io...
Disse James ingoiando il nodo che gli si era formato in gola.
-Bhe?
-Ecco io ho paura...
-Ma non dite cavolate!
Rispose la ragazza trascinando i minori per le braccia, anche se in cuor suo sapeva che quel posto aveva il fattore sorpresa dalla sua parte e poteva accadere qualsiasi cosa.

Camminarono per un pó di tempo, qualcosa come mezzoretta in cerca di non sapevano che cosa.
Capitarono in una stanza che sembrava un'ufficio, ma non lo stesso ufficio che aveva visto Clarisse, un'altro ufficio, più buio e con alcuni scatoloni.
Si misero a frugarci dentro, qualsiasi indizio sarebbe stato perfetto.
Anche una gomma masticata.
Non trovarono molto, qualche pupazzo, giornali, un ventilatore rotto e cartacce varie, ingiallite dal tempo
Anzi adesso che ci pensava, cosa non era stato ingiallito dal tempo?
Era difficile dirlo con la luce verdastra di cui disponeva il locale ma poteva scommettere oro che tutto era corroso è rovinato dall'azione del tempo e si chiedeva come facesse

Jamie ad un certo punto drizzó la testa e James spalancó gli occhi, Clarisse si accorse della loro tensione e capì tutto.
Anche lei aveva sentito la porta, le voci e i passi.
Prese i primi documenti che le capitarono a tiro e li infiló nella sua borsa, non le importava di stropicciarli, l'importante era averceli.
Si appoggió alla porta della stanza.
Nessun rumore.
"Andiamo." Sillabó ai ragazzi.
Aprì la porta senza fare rumore e silenziosamente raggiunse l'uscita, aprì il portone evitando di farlo scricchiolare, e in un attimo furono fuori.
Quegli anni da ladra di pancarrè erano serviti.

Da lì al parco se la fecero tutta d'un fiato.
Clarisse si gettó a peso morto sulla panchina mentre Jamie e James crollarono ai piedi di un'albero, lamentandosi entrambi dei possibili guai che avevano corso per colpa di Clarisse.
Correre quel giorno per lei era stato straziante, specialmente con la testa in confusione.
-Avete sentito anche voi?
Disse ansimando la ragazza. I due biondi si guardarono e scossero la testa.
-Ho sentito la voce dello Zio Fritz...
Dichiaró Clarisse.
- Tu... - ansimó James -Tu ti droghi...
Clarisse scosse la testa, meglio tenerselo per sè, lei ne era sicura. Quello era senza ombra di dubbio Fritz Smith.
Fu distolta dai suoi pensieri da una chiamata.
Suo padre.
Era ora di pranzo.
Salutò i due e si diresse a casa, trattenendosi dal guardare le scartoffie che aveva rubato (anche se preferiva pensare di averle prese per documentarsi e che quindi non c'era nulla di male), pensando che se le sarebbe lette con calma a casa, davanti ad una cioccolata fumante.

Una volta in camera sua, Clarisse si precipitó sulla borsa, ne rovesció il contenuto sul suo letto e si sedette a gambe incrociate davanti a quei fogli.
Sentiva che era qualcosa di grosso, lo percepiva chiaramente, il suo istinto raramente la tradiva.
Prese in mano prima una fotografia.
Riconobbe suo padre, c'era anche suo zio Scott, un'altro con l'uniforme da guardia e altri cinque individui in tenuta da camerieri.
-Cosa ci fa papà lì?
Disse girando la foto e controllando la data. "7-12-1993"
-Quindi facendo due calcoli... Papà aveva circa... Vent'anni.
Sentenzió lei mettendo da parte la foto.
Dato che Mike lavorava lì, era possibile che fosse fatta apposta per rendere l'esperienza più vera possibile, ma il volto nella foto era davvero troppo giovane per essere fatta da poco quindi pensò che fosse autentica, anche se continuava a tormentarla il dubbio che potesse essere fatta con Photoshop.
Passò ad un altro documento lo stiró per bene e inizió a leggerlo.
Non ne perse nemmeno una riga.

-Bla bla bla... Non responsabili per bla bla bla... Firma dell'assunto... Firma del datore di lavo-
Leggendo quel nome, il cuore di Clarisse perse un battito.
Lasció andare il foglio, scattó in piedi e indietreggió. Sussurró parole senza alcun senso logico e inizió a tremare.
La sua eccitazione era diventata un cappio alla bocca dello stomaco.
Ansia. Ansia e stupore. Ecco ció che provava.

Prese i fogli, aprì un cassetto e ci infiló i documenti, prese il telefono, gli auricolari e accese la musica al massimo, scese di sotto e preparó un toast.
Ma quel nome era sempre lì, che si ripeteva come un'eco infinito nella sua testa.

"Vincent McPurple"

PURPLE - Cursed DaughterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora