°capitolo 14- Soul

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Un temporale furibondo si abbatteva sulle finestre e sulle tegole dell'Asylum.

Mi rigirai nel letto fino a quando non decisi di alzarmi.

Dormire mi era diventato impossibile, come se avessi paura che il letto potesse ingoiarmi, come se il buio sotto di esso, potesse paralizzarmi.

Imboccai il corridoio gelido.
Era avvolto da una cappa grigia.
L'unica luce, era quella pallida a intermittenza dei lampi.

La mia ombra si prolungava agitata sulle piastrelle del pavimento, tremolante, scattante.
Era come se volesse staccarsi dai miei piedi, per poi correre via terrorizzata.

Tutto il quel corridoio ansimava, ma di che cosa esattamente, aveva paura?
Chi c'era lì di così terrificante?
Ero forse io?

Un tuono squarciò tutto il tremolio in un istante, come una folata di vento che smuove tutta una montagnetta di foglie, quel tuono scosse la mia anima, la cacciò fuori dal mio corpo per poi farmela ingoiare di nuovo.

Dalla mia bocca usciva vapore, la temperatura si era abbassata di colpo.

Mi guardai le mani, tremavano, erano degli scheletri di rami spogli in un freddo febbraio.

La terra sotto i miei piedi iniziò a bruciare, cominciai a camminare in avanti.

Il pavimento alle mie spalle iniziò a sgretolarsi.
Iniziai a correre, mentre vedevo tutto quanto cadermi addosso.

Sembravano essere la mia vita quelle mura, quel posto.
Nulla era rimasto, solo macerie.

E mentre correvo, vedevo sorrisi colare a picco, sguardi perdersi negli intonaci delle pareti, risate sbiadirsi e lacrime annacquarsi con la pioggia.

Precipitai in un vuoto nero, freddo, rimasto senza speranze, per poi ritrovarmi in un prato.

La notte mi punzecchiava le spalle, come a chiedermi il permesso per terrorizzarmi.

Mi alzai in piedi, mi guardai intorno spaesato.

Il respiro mi mancava, iniziai a correre.
Ed inciampai, e mi rialzai, e caddi di nuovo.

Cambiavo direzione di continuo, niente c'era ad inseguirmi, ma correvo senza sosta lo stesso.
Era come se stessi cercando proprio io il pericolo.

Come quando hai la presunzione che la paura stia per bussare alla tua porta, ma tu non la chiudi a chiave lo stesso.

E la terra profumava di terrore, e l'eraba era umida, pure la terra piangeva, un po' come me.

Mi perdevo tra gli alberi, tra le ombre, tra i versi degli uccelli e quelli che  non sapevo di chi fossero, ma che comunque c'erano.

Il fiato era quasi impercettibile, ma come un masochista continuai a correre.

Finì in mezzo ad una radura, al centro di questa, c'era una porta.

C'era solo una fottuta porta, e niente altro.

Le girai intorno, c'era solo lei.

Era scheggiata, il legno era putrido.

Impugnati la maniglia, l'aprì.

E non potei non odiarmi di più, perché ero veramente uno stupido.
Non sapevo cosa era, cosa ci facessi lì, ma soprattutto cosa cazzo stava succedendo.

Il buio dentro di essa era denso, lo si poteva toccare.
La richiusi, mi diedi un pizzico.
Ero sveglio, cosciente ed in mezzo alla merda.

Ero un pazzo col brevetto ormai, quella era la mia mente, e non sarei riuscito a scapparne.
Un urlo agghiacciante mi tolse il conto dei battiti.

Mi girai di scatto per ritrovarmi alle spalle una schiera di specchi.
Erano in fila, di fronte a me.
Ognuno conteneva l'immagine di una persona.
Dafne, Liam, Perry, Harry, Amalia, e c'era pure Zhora.

Mi avvicinai a quello di Perry, era con le mani appoggiate al vetro e con la testa bassa.
Provai a chiamarla ma non mi sentiva.

Era sempre bella, come l'ultima volta che l'avevo uccisa.
Era ancora più bella, indossava il suo vestito preferito, aveva sul dito l'anello che le avevo regalato.

Ad un tratto alzò gli occhi, fecero la stessa cosa anche tutti gli altri.
Erano neri, come le lacrime che uscivano da essi, anche le labbra erano corvine, avevano la bocca leggermente spalancata che liberava del fumo nero dai loro polmoni.

Feci qualche passo indietro, scoppiai in lacrime. Urlai, per la paura, per la disperazione.
Dietro di loro comparve un'ombra incappucciata.

Li prese dal collo, aveva un coltello pressato sulla loro giugulare.
Gli urlai di andare via, battei le mani contro il vetro per cacciarlo, per far capire loro che ce l'avevano dietro.
Nessuno si mosse, presi a calci la terra, gli stessi specchi.

Li uccise tutti davanti a me.
L'urlo di tutti loro fu straziante.
Non potevo neanche rendermene conto.

Li uccise con tanta di quella crudeltà, in quei occhi marroni nascosti a tratti. Il luccichio della vendetta impresso nelle pupille.

Gli specchi si frantumarono, ricoprirono l'erba di pezzi di vetro.
Caddi in ginocchio, mi tirai i capelli, piansi, mi dimenai, urlai, me li aveva appena portati via.

Urlai fino a quando non sentii che il mio petto minacciava di squarciarsi.

I pezzi di vetro, pian piano, iniziarono a muoversi tutti insieme per poi unirsi tutti quanti.

Sembravo finito in uno di quei film horror che tanto amavo.
Ma in quel momento, avrei preferito la morte.

Davanti ai miei occhi, si formò l'ombra che li aveva uccisi.
Era immobile, con la testa leggermente piegata da un lato.

Si era creata dai pezzi di vetro, si era creata dal dolore dei miei amici.

Teneva una maschera sulla faccia, era la stessa maschera che usavo ad Halloween quando ero piccolo.

Era un bambino, l'ombra, non era altro che un bambino, piccolo, vestito da mostro.

Cominciò a venirmi incontro, indietreggiai.

Solo quando toccati con la schiena qualcosa mi fermai, ma lei no, venne verso di me.

Si mise inginocchio, proprio di fronte a me.
Ero paralizzato, con gli occhi sbarrati ed il respiro lasciato in sospeso tempo prima.

Poggio le mani ai lati della maschera e iniziò a tirarla via dal viso.

Iniziai ad urlare come un matto.

Ero io, sotto la maschera c'ero io, io da bambino, con un sorriso sornione stampato in faccia, con lo sguardo perso, la pazzia a farmi compagnia.

Quel bambino ero io, ma nei suoi occhi non c'era vita, non c'era amore, c'era solo follia.

Io li avevo uccisi, io volevo uccidermi.

Vidi solo in coltello avvicinarsi al mio stomaco, poi più niente.



||•Toglimi 'sta maschera, fallo con le tue mani,

poi guardami dentro agli occhi e dimmi se te lo aspettavi,

che ero io, ero io.||•









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