1~Black Hole

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Apro la porta d'ingresso e prima di attraversarla mi volto verso l'interno della piccola casa costruita tanti anni fa da mio nonno.
《Sto andando fuori! Torno per la merenda!》dico. Sento qualcuno rispondere, probabilmente mia nonna, ma non capisco. Il rumore di pentolame che copre la sua voce può voler dire solo una cosa: preparerà una torta.

Sorrido ed esco. Chiudo con forza la porta dalle cinghie arrugginite e vengo immediatamente raggiunta dai bollenti raggi del sole di un tipico mezzogiorno di inizio luglio.
Sono "confinata" in collina da mia nonna per tutto il mese per "prepararmi agli esami d'ammissione dell'università immersa nella natura e nella pace", stando a mia madre. In pratica un mese di nulla assoluto, niente Internet (quindi niente Facebook, Tumblr o Whatsapp) e ovviamente niente campo: sono completamente tagliata fuori dalla Civiltà. L'unico mezzo di comunicazione è il telefono fisso da mia nonna, un pezzo unico a mio parere risalente al primo dopoguerra, che mi è stato - ovviamente - gentilmente proibito di usare se non per chiamare l'ambulanza o i pompieri.

Tenendomi il cappello di paglia che mia nonna mi ha regalato, e che stranamente apprezzo, percorro lentamente la discesa che porta ad un posticino niente male su un versante della collina franato chissà quanto tempo fa.
Il fiocco rosa pastello sul cappello ondeggia ad ogni passo, unica fonte di movimento in questa giornata torrida.

Ogni passo è reso difficile sia dal terreno scosceso e brullo che dal sole cocente su di me. Nonostante l'ombra del cappello, sento il sole dritto sui miei capelli rosso rame, anch'essi "regalo" di mia nonna.
Goccioline di sudore bagnano la mia fronte e i capelli, cadendo sui miei vestiti.
Indosso una maglia bianca semitrasparente leggerissima con la scollatura a barca, una gonna anch'essa bianca di volant lunga fin sotto le ginocchia per non peggiorare la scottatura dei giorni scorsi e dei sandali neri.

Arrivata ad un bivio, prendo la strada a destra che porta ad una salita.
Davanti a me c'è solo verde e ogni volta che alzo lo sguardo vengo avvolta dall'azzurro accecante del cielo senza nuvole.
Stringo con il braccio destro il cestino da picnic contenente libri preparatori per gli esami, penne e il mio I-pod, mentre percorro la salita della collina. Man mano che salgo sento un leggero venticello alzarsi, e delle pale eoliche che si ergono come giganti girandole bianche all' orizzonte.

Cammino avvolta dai prati e pascoli verdi per circa 20 minuti, e superato un vecchio granaio abbandonato da anni, lo vedo.
Un albero meraviglioso si erge davanti ai miei occhi.
Il suo tronco, bitorzoluto e contorto su se stesso, sorregge una moltitudine di rami robusti e coperti completamente da foglie di un verde brillante che proiettano sul terreno un'ombra talmente grande da poterci stendere una tovaglia e farci un picnic.
Poco più in là, il "dirupo". Il mio posto segreto.

Anni fa, credo molti anni prima che io nascessi, lunghe piogge fecero franare questo versante in seguito al disboscamento di molti alberi. L'unico sopravvissuto è Lui, magnifico e possente, come se fosse il Re della collina.
Poso il cappello e la borsa tra due radici alte e spesse e mi avvicino al dirupo.

La vista mi toglie il fiato.
Prati verdi e lussureggianti costellati da fiori di mille colori, come fuochi d'artificio nel cielo invernale, si aprono davanti ai miei occhi riempiendoli di meraviglia. Inalo l'aria frizzante e profumata gonfiando i polmoni quasi fino a scoppiare e mi lascio invadere dalla pace. Attorno a me il silenzio è interrotto solo dal cinguettio di uccellini tra i rami del mio albero, che zampettano indaffarati e mi guardano incuriositi. La brezza fa svolazzare la mia gonna che mi accarezza le gambe delicatamente, provocandomi un leggero brivido di dolore e fastidio insieme. I capelli, liberi al venticello mi solleticano le gote, ingarbugliandosi e spettinandosi un po'.

Mi volto verso l'albero e decido sia meglio iniziare a studiare.
Mi siedo nel solito punto: una leggera infossatura tra una radice ed un'altra, grande abbastanza da ricordarmi una poltrona con i braccioli di legno.
Prendo dal cestino un libro di esercizi ed una matita, lo apro e inizio a leggere dopo essermi tolta i sandali e averli poggiati accanto alla borsa, lasciando i miei piedi nudi.

Una cicala inizia il suo concerto, mentre farfalle gialle e rosse svolazzano e si posano sui fiori bianchi che circondano l'albero e il restante versante della collina, in una scena talmente meravigliosa che sarebbe degna di essere dipinta e ammirata come capolavoro per sempre. La luce calda riempie l'aria facendola vibrare.

Mi infilo le cuffie e accendo l'I-pod mentre continuo a studiare.
L'orologio al mio polso segna le 14:21.

Parole, numeri, segni, sillogismi ed insiemi riempiono la mia testa. Inizio ad avere sete.
Chiudo un attimo gli occhi e mi lascio andare.
Il sonno inizia a prendere il controllo sulla mia mente, e il mio corpo reagisce di conseguenza spostandosi in una posizione più comoda per dormire. Le forze mi abbandonano e lascio la presa del libro che tenevo con la mano sinistra, il quale scivola piano tra le mie gambe.
Sono poggiata ad una radice alla mia destra, con le gambe leggermente piegate e la gonna che mi scopre quasi completamente le cosce.
Così, mi addormento.

Sogno. Sogno fiori che danzano e nuvole di panna. Numeri che si sommano e una persona mai vista. Un ragazzo corre.

Stomp!

Apro di scatto gli occhi. Qualcosa è inciampato tra le mie gambe.
Con la vista annebbiata cerco di capire cosa. O chi.
È un bambino.

Il bimbo mi guarda e mi accorgo che del sangue gli sta uscendo dal naso.
《Oddio! Stai bene?》Chiedo allarmata alla vista del sangue.
Il bimbo mi guarda fisso negli occhi. È il bambino più bello che abbia mai visto: ha i capelli color rame talmente lisci da sembrare davvero fili di rame, che incorniciano il viso paffuto coperto di lentiggini. Gli occhi sono grandi e blu. È un blu profondo, quasi innaturale, che mi ricorda le profondità marine che si vedono nei documentari. Le labbra sono rosa, perfettamente a forma di cuore e sporche del suo sangue. Il nasino è piccolo e un po' a patata, arrossato per la caduta probabilmente.

《Sto bene.》mi risponde candidamente.
《Sicuro? Avvicinati un pochino, dobbiamo fermare il sangue.
《Sangue?》mi chiede.
Estraggo dalla tasca della gonna un fazzoletto di carta stropicciato e mi avvicino a lui.
Premo delicatamente sul nasino e sulle labbra per tamponare. Continua a fissarmi. Accartoccio un angolo del fazzoletto e gliela infilo appena in una narice. Sento il suo respiro leggero sulla mano.
《Sei buona.》dice. Lo guardo e sorrido.
《Grazie. Tieni il fazzoletto così per un po'. E non correre qui attorno, vedi lì?》indico il dirupo con l'indice 《è pericoloso! Puoi cadere e farti molto male!》
Mi accorgo dei suoi vestiti. Sono un po' antiquati, oserei dire. Ricordano quelli di un piccolo Conte nelle storie dell'epoca Vittoriana; ha una camicia a balze con una giacca a maniche le lunghe blu con delle linee verticali e raso e pizzo ovunque. Stessa cosa i pantaloncini, che finiscono a sbuffo in calze bianche e scarpette nere.

Si alza ed estrae un orologio da taschino, guarda l'ora. Ha un'espressione confusa.
《Che ora è?》
Prendo l'I-pod e guardo l'orario.
《Sono le 15:33》rispondo.
Gli occhi gli si spalancano.
《È tardi! È tardi! Andrà su tutte le furie!》
Resto a bocca aperta. Mi ricorda il bianconiglio de Alice nel Paese Delle Meraviglie e trattengo una risata. Mi prende la mano.
《Tu sei perfetta. Voglio te. Sbrigati e vieni con me. Corri!》
Stupita e confusa, mi infilo i sandali e lo seguo correndo.

Scendiamo il lato destro della collina costeggiando il dirupo e passando da rovi che mi graffiano la pelle e strappano il vestito. Lui continua a tenermi per mano e a trascinarmi con una forza che non gli si addice fino ad arrivare ad una piccola grotta tra i rovi e dei cespugli di more, grande poco più di un metro. Solo adesso lascia la mia mano e s' infila nella fessura.
《Entra! È tardi! Sbrigati!》grida dalla grotta.

Sono a dir poco allibita ma poi penso: 《Cosa mi stupisco a fare? Sto sognando. Non c'è dubbio. È l'unica spiegazione.
Convinta di questo, mi abbasso e gattonando entro nella piccola grotta.
Mi muovo per qualche metro sul terreno duro e ruvido fino a quando non sento di star venendo risucchiata da qualcosa. Mi attira a sé con forza, e non riesco ad opponermici. Avvolta dal buio totale, inizio a sentire un dolore fortissimo alle dita. Sento le ossa spezzarsi ed andare in frantumi, la pelle tirare ed allungarsi fino a diventare filo sottile come il nylon. Prima le dita, poi le braccia e poi tutto il mio corpo. È un dolore atroce, mai provato prima. Non ho voce, non ho forma. Sono un filo.
Perdo i sensi arrivata al braccio.
Mi risucchia.

Sto venendo risucchiata da un buco nero.

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