Capitolo 1.

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Un passo. Ansimai aggiustandomi i capelli. Sentivo le gambe lentamente cedere sotto il peso del mio corpo. Ero debole e fragile. Ero stanca. Non avrei resistito a lungo.
Un altro passo. Ed ecco aumentare la mia consapevolezza che non ce l'avrei fatta. Che prima o poi avrei ceduto e che mi sarei rannicchiata per terra, nel gelido e sporco pavimento, sopraffatta dalla stanchezza e dalla paura.
Un altro passo ancora. Da quanto camminavo? Minuti? Ore? Forse giorni. Non potevo saperlo. Avevo totalmente perso la cognizione del tempo durante la camminata in quel luogo triste e macabro.
Perchè camminavo? Stavo cercando qualcosa? E se così fosse che cosa stavo cercando esattamente? Ecco cosa mi faceva paura in quel momento, non sapere nulla! Niente di niente!
Dovevo proseguire. Era l'unica cosa che potevo fare. Era l'unica scelta che avevo a disposizione. Proseguire per poter trovare le risposte alle mie domande, ammesso che queste presunte risposte esistessero.
Mi guardai attorno un'altra stupida volta, ma era inutile. Ero sola. Sola e spaesata. Non sapevo cosa avrei dato per vedere una luce accendersi infondo a quel corridoio buio, triste e desolato che stavo percorrendo. Non sapevo cosa avrei dato per vedere qualcuno avvicinarsi a me con gentilezza per aiutarmi. Per dare risposta a quelle fastidiose domande che svolazzavano libere per la mia testa. Per porre fine a quella camminata stancante.
Non sapevo cosa avrei dato per svegliarmi tra le candide lenzuola del mio letto. Avrei riso allegramente archiviando tutto quello che avevo visto come uno stupido incubo. Un brutto, stupido e triste incubo.
Tuttavia quello che desideravo intensamente non accadde e continuavo a vagare disperata. Forse non era un incubo. Forse dovevo rassegnarmi al fatto che non era semplicemente frutto della mia mente contorta, ma la realtà. Una realtà triste e scura... terrificante, ma pur sempre la realtà.
Ed ecco che i miei dubbi e le mie domande crebbero, si moltiplicarono fino ad affollare totalmente la mia mente oscurando ogni altro pensiero.
Avevo voglia di piangere. Volevo piangere per sfogare la rabbia che custodivo dentro dal momento in cui avevo iniziato a camminare in quel buio. Rabbia che dopo ogni passo sentivo crescere con prepotenza dentro di me. Volevo piangere per sfogare l'angoscia di essere sola.
Sentivo dolore, tuttavia non si trattava di qualcosa di fisico, ma di psicologico. La solitudine. La solitudine che non avevo mai sopportato. La peggiore tortura a cui qualcuno potesse essere sottoposto. Chiunque potrebbe dire che non è vero, che la solitudine non fa male come potrebbe farti male un pugno nello stomaco, ma dopo ore e ore di isolamento chiunque sentirebbe l'esigenza di un abbraccio, di un contatto fisico o semplicemente di sentire il suono della voce di qualcun altro. Ed era quello che mi stava accadendo.
Ricominciai a camminare quando mi resi conto che indugiare o temporeggiare non sarebbe servito a niente. E un passo dopo l'altro mi ritrovai nuovamente a vagare nell'oscurità senza avere una meta precisa. Senza sapere dove stessi andando.
Improvvisamente sentii in lontananza il suono di un fischio. Era debole, quasi impercettibile, ma c'era! Non era frutto della mia immaginazione!
Sentii il suono aumentare progressivamente di più finchè non diventò un rumore a dir poco insopportabile. E a quel punto mi resi conto che non proveniva dall'ambiente circostante, era il mio orecchio sinistro a fischiare per chissà quale ragione. La testa iniziò a pulsarmi e il mio corpo venne attraversato da convulsioni.
Gridai. Gridai il più forte che potevo per il dolore. Gridai sperando che qualcuno riuscisse a sentirmi. Sperando che qualcuno venisse ad aiutarmi. Sperando invano poiché la mia voce echeggiò nel vuoto fino a scomparire.
Le mie gambe cedettero a quel dolore lancinante e caddi in ginocchio. Nell'impatto con il terreno freddo udii un rumore, come se qualcosa si fosse rotto. Sentii un dolore a dir poco insopportabile alle ginocchia. Fu in quel momento che mi accorsi che non stavo percorrendo una strada fatta di terra, c'era del vetro.
Come potevo essere stata così stupida da non accorgermi che per terra c'era del vetro?! Avrei dovuto sentire qualcosa di strano mentre camminavo!! Invece non era successo!!
Sentii le piccole schegge conficcarsi nella mia carne provocandomi un dolore veramente insopportabile. Credetti di svenire mentre qualcosa di appiccicoso e viscido scivolava tra le mie dita. Sangue. C'era sangue ovunque. C'era il mio sangue ovunque.
Il mio corpo venne attraversato da brividi.
Avevo paura. Avevo paura degli spasmi dolorosi e inspiegabili sotto i quali il mio corpo si contorceva. Avevo paura di sentire il mio sangue scorrere sul mio corpo. Non avevo mai sopportato la vista del sangue e l'idea di perderne mi mandava in tilt il cervello.
"Cosa ci fai qui?!" sentii sussurrare a qualcuno con odio e disprezzo.
Una ragazza. Era una voce che avevo già sentito da qualche parte, ma non sapevo a chi appartenesse. Era una voce apparentemente dolce, graffiata dal tono minaccioso con il quale aveva detto quella frase. Una speranza si accese nei miei occhi. Non ero sola.
"Aiutami!! Per favore!!" gridai più forte che potevo, ma la mia voce echeggiò nell'aria circostante per poi sparire facendo scendere il silenzio, come qualche attimo prima. Ormai non riuscivo più a trattenere i singhiozzi e le lacrime si fecero strada sulle mie guance con prepotenza. La ragazza non rispose alle mie suppliche. Eppure sapevo che la sua voce non era stata solo frutto della mia immaginazione!
"Sai perché sono qui...!" ringhiò qualcun altro.
Un'altra voce. Totalmente diversa dalla prima. Era più roca, più bassa, ma aveva sempre quel tono di odio e disprezzo. Un ragazzo.
Le certezze aumentarono, era ovvio che non fossi sola.
Degli altri singhiozzi risuonarono nell'aria mischiandosi ai miei. Quella ragazza. Quella ragazza stava.... piangendo? Perché?
"E' tutta colpa tua!! E' colpa tua se ha sofferto in passato ed è colpa tua se sta lentamente morendo! Che cos'altro vuoi?!" gridò la ragazza tra i singhiozzi, mentre io ansimavo spaesata guardandomi attorno.
Sentivo le loro voci, ma dov'erano? Perché non riuscivo a vederli? Erano così vicini eppure così lontani da me.
"Io la amo! Hai ragione, è colpa mia, ma voglio starle vicino!" gridò il ragazzo a sua volta.
"Le starò vicino io!! Tu devi solo sparire dalla sua esistenza!!" ribatté lei alzando ulteriormente la voce in preda alla collera.
"Non puoi chiedermelo. Ti prego chiedimi qualsiasi cosa, ma non di starle lontano. Ti prego..." sussurrò lui con voce dolce e rotta.
Lei sospirò, poi ci fu un attimo di silenzio.
"La ami...?" sussurrò lei con un filo di voce tirando su con il naso.
"Con tutto me stesso!" replicò lui con convinzione.
"Allora lasciala stare... " sussurrò lei.
Altro momento di silenzio.
"Avrai cura di lei...?" sussurrò lui con un filo di voce tremante.
Capii immediatamente che stava piangendo anche se non riuscivo a vederlo.
"Sì. Adesso va via e non farti più vedere...!" disse lei con lo stesso tono che aveva assunto inizialmente.
Non era un sussurro. La voce non le tremava. Era semplicemente piena di odio e rancore.
"Questo è un addio..?" chiese lui.
"Sì, è un addio." riuscii a sentire prima che quel fischio insopportabile tornasse con prepotenza ad invadere la mia testa facendomi piegare in due per il dolore. Sentivo il vetro affondarsi nella mia carne e il sangue scivolare sulla mia pelle, ma non avevo nemmeno la forza di alzarmi.
"Aiutatemi!! Vi prego!!" gridai un ultima volta, prima che il dolore mi impedisse anche di sussurrare.
Avevo perso la mia occasione di salvarmi da quell'agonia. Quanto potevo essere stupida?! L'unica cosa che potevo fare era rimanere lì, rannicchiata in un bagno di sangue, gemendo per il dolore. Sapevo che nessuno mi avrebbe sentita. Sapevo che nessuno mi avrebbe aiutata. Me lo diceva il mio sesto senso. Se qualche attimo prima avevo paura in quel momento ero totalmente terrorizzata.
Voci. Risuonarono altre voci. Voci diverse da quelle che sentivo attimi prima ma allo stesso tempo estremamente familiari. Lontane e allo stesso tempo vicine. Erano tante. Quattro o cinque. Non riuscivo a distinguerle tra loro e spesso erano quasi impercettibili, ma c'erano. Mi chiamavano. Stavano cercando di dirmi qualcosa. Di farmi capire qualcosa, ma non facevano altro che confondermi le idee.
La testa mi scoppiava. Le mie domande, i miei pensieri, le mie paure, il mio dolore, non esisteva più niente di tutto questo. Tutto ciò che provavo era diventato un'unica cosa, un mix omogeneo. La confusione più totale.
Sarei morta. Sarei morta per il dolore agonizzante. Dovevo stringere i denti. Ormai era questione di poco e avrei lasciato questo mondo. Nessuno lo avrebbe mai saputo. Nessuno ne avrebbe sofferto.
Sospirai un ultima volta. Tremavo. Avevo paura, ma dovevo essere forte. Chiusi gli occhi, lasciandomi andare.
E proprio quando avevo ormai perso tutte le speranze sentii un rumore sordo. Una macchina. Una macchina che frenava facendo strisciare le gomme sull'asfalto. Schiusi gli occhi di scatto e l'oscurità, che mi avvolgeva un attimo prima che lasciassi riposare le mie palpebre stanche, era sparita. Al suo posto c'erano immagini. Immagini confuse e disordinate.
Le vedevo passare davanti ai miei occhi velocemente mentre il mio cervello cercava disperatamente di memorizzarle. Occhi. C'erano un paio di occhi di cui non riuscii a memorizzare bene il colore. Sapevo solo che mi guardavano. Erano dannatamente familiari!
Le mie dita intrecciate a quelle di qualcun altro.
Un sorriso. Forse il sorriso più bello che io avessi mai visto.
Una moto. Una moto nera yamaha.
Una luce accecante. L'ultima cosa che vidi fu quella luce accecante, poi di nuovo il buio. Quel triste buio che mi metteva tanta angoscia.
"Amore mio devi essere forte..." sussurrò qualcuno al mio orecchio. Una voce maschile. Una voce dolce, stravolta da dei singhiozzi di disperazione. Era familiare e allo stesso tempo sconosciuta.
Tremai sentendola così vicina a me, ma mi resi conto che accanto a me non c'era proprio nessuno. Sospirai delusa dopo essermi illusa per un attimo che qualcuno si fosse accorto di me.
Chiusi di nuovo gli occhi. E questa volta non avevo intenzione di aprirli. Questa volta li avevo chiusi per l'ultima volta. Li avevo chiusi per sempre.
E in un attimo il mio corpo si fece leggero. Leggero come una piuma. Leggero come se fosse inconsistente. Ero una nuvola. Il dolore lentamente si ridusse, diventando leggero e sopportabile. Il freddo e duro pavimento pieno di vetro e sangue dove ero stesa divenne morbido e comodo. Non era più un pavimento, era un altro tipo di superficie. Le mie mani un attimo prima bagnate dal sangue e dalle lacrime amare che avevo versato erano.... erano... non sapevo nemmeno io come definire le sensazioni che provavo. Era come essere in un altro corpo.
Uccelli. Sentii degli uccelli cinguettare.
Un odore di fiori freschi mi inebriò, mentre un raggio di luce raggiunse i miei occhi filtrato dalla gabbia protettiva che costituivano le mie ciglia.
Sentii i miei occhi fremere dalla voglia di assaporare nuovamente la luce del sole e senza pensarci troppo su decisi di accontentarli. Lentamente sollevai le palpebre e un raggio di sole raggiunse velocemente le mie pupille. Sentii gli occhi bruciarmi fastidiosamente nel contatto con la luce solare. Li richiusi immediatamente. Evidentemente avevo bisogno di altro tempo per abituarmi nuovamente alla luce del sole.
Aspettai un paio di minuti poi decisi di fare un altro tentativo. Con lentezza e cautela aprii nuovamente gli occhi e nonostante l'iniziale bruciore decisi di non cedere a quel fastidio. Battei un paio di volte le palpebre. I colori erano sbiaditi. Le immagini distorte.
La mia testa era in uno stato di confusione totale, mentre cercavo di mettere a fuoco la stanza. Vagavo nei miei pensieri e nelle mie domande. Com'era possibile che tutto quello che mi circondava fosse sparito in un attimo? Un secondo prima ero nell'oscurità più totale, ferita, angosciata e terrorizzata. E un secondo dopo... e un secondo dopo ero... non sapevo nemmeno io dov'ero!
Di una cosa ero totalmente certa, ero finalmente al sicuro.
Quando i miei occhi si abituarono definitivamente alla luce del sole riuscii ad osservare meglio la stanza in cui mi trovavo. Le pareti erano color panna e venivano messe in risalto dalla luce del sole che filtrava dalla finestra semiaperta alla mia destra.
Alla mia sinistra c'era una porta bianca chiusa.
L'arredamento era piuttosto semplice. Sotto la finestra c'era una grande cassettiera in legno chiaro, probabilmente di betulla, e sopra di essa una grande quantità di vasi con fiori dai colori molto accesi e vivaci. Gerani, orchidee, rose, gelsomini, tulipani... e altri che non riuscivo a riconoscere. L'aria era piena del loro profumo, fresca e frizzante.
Di fronte al letto in cui ero stesa c'erano un paio di quadri astratti con colori altrettanto vivaci e cornici nello stesso legno della cassettiera. Erano così grandi che riuscivano ad occupare gran parte della parete.
Alla destra della porta c'era un divano in pelle bianco, dove c'erano poggiati un paio di cuscini rossi che davano un bellissimo contrasto con il colore chiaro del divano.
Nel lato destro del mio letto c'era un piccolo comodino di legno, capace di accogliere soltanto una piccola bajour rossa come i cuscini che c'erano sul divano.
Fu proprio mentre osservavo la bajour sul comodino che mi accorsi di un sacchettino di plastica, contenente un liquido trasparente, che stava sospeso su un asta di metallo. Da lì si snodavano un tubicino di plastica che diventava progressivamente più piccolo mano a mano che si allungava. Era una flebo!
Quando vidi l'ago della flebo conficcato nella mia carne spalancai gli occhi, mentre sentivo un senso di nausea sopraffarmi. A rendere tutto più disgustoso c'era il mio braccio pieno di lividi e tagli.
Mi voltai lentamente verso sinistra per distogliere il mio sguardo da quell'immagine e mi ritrovai davanti una grande macchina di metallo dalla quale venivano fuori altrettanti fili, tutti verso il mio letto. A quel punto mi accorsi che sul mio viso c'era una mascherina di plastica a cui erano collegati i fili della macchina. Un respiratore artificiale. Non ne avevo mai visto uno da così vicino e sinceramente mi spaventava.
Le domande mi assalirono. Entrai nel panico.
Dov'ero?! Perché ero lì?! Chi mi ci aveva portata?! Perché avevo bisogno di un respiratore e di una flebo?! Ero confusa! Confusa e disorientata!
Sentii crescere in me una voglia matta di alzarmi, staccare quelle macchine da me e correre via. E per una volta decisi ascoltare quello che mi diceva il mio istinto di sopravvivenza.
Tuttavia entrai nel panico nel momento in cui mi accorsi che i miei muscoli non rispondevano ai miei comandi. Le mie gambe non si muovevano così come le mie braccia. Le uniche parti del corpo che riuscivo a muovere parzialmente erano le dita delle mani e la testa. Com'era possibile?! Perché?!
Iniziai ad avere nuovamente paura. Forse tanta quanta ne avevo prima di risvegliarmi in quel letto comodo e caldo, che mi sembrava sinonimo di sicurezza. Evidentemente non lo era.
Avevo bisogno di aiuto. Avevo bisogno che qualcuno mi spiegasse la situazione perché nella mia testa c'era soltanto un mix confuso di pensieri, sensazioni e paure. Una serie di giganteschi punti interrogativi.
Schiusi le labbra con l'intenzione di gridare affinché mi sentisse qualcuno in grado di aiutarmi, ma tutto ciò che uscì dalle mie labbra fu un gemito quasi impercettibile.
La mia voce. Non avevo la mia voce. Non avevo la forza di parlare. Non avevo nemmeno la forza di fare uscire due fottutissime sillabe dalla mia bocca!!
Non potevo nemmeno chiedere aiuto! Ero di nuovo sola. E sarei rimasta in quel letto per chissà quanto tempo.
Iniziai ad ansimare progressivamente più forte, confusa e irrequieta al tempo stesso.
Passai un infinità di tempo in quelle condizioni, guardandomi attorno terrorizzata finché la porta della stanza non si aprì lentamente. Spalancai gli occhi e la figura di un ragazza mora e minuta mi apparve davanti. Era vestita con una paio di larghi pantaloni bianchi e una specie di camice dello stesso colore. La ragazza si posizionò proprio vicino al mio letto. Il suo sguardo era puntato su una cartellina che teneva in mano e non si accorse minimamente di me finché non emisi un altro di quei gemiti strozzati.
Alzò la testa di scatto e spalancò gli occhi quando mi vide mentre mi agitavo nel letto.
"Dottore!! Dottore, è sveglia!!" iniziò a gridare precipitandosi fuori dalla stanza e lasciandomi nuovamente sola in preda ai miei attacchi di nervosismo.
Sentii un brusio fastidioso. Voci provenire dal corridoio, proprio dalla direzione da dove era sparita la mora qualche attimo prima.
Sopraggiunsero nella stanza cinque persone, per la precisione due donne e tre uomini in camicie e mascherina. Dottori, ipotizzai vedendoli.
Non riuscii bene a identificarne i tratti somatici. La mia mente era entrata ormai in uno stato di confusione totale e mi veniva difficile persino pensare!
Si posizionarono attorno al letto in cui ero stesa ed iniziarono a fissarmi, a toccarmi, a parlottare tra loro.
Mi sfilarono la mascherina che avevo sul viso e iniziarono a farmi domande, una dietro l'altra. Domande che si fusero tra di loro diventando soltanto un fastidioso brusio.
Li guardai spaventata in un primo momento poi iniziai a dimenarmi e ad emettere nuovamente suoni quasi impercettibili.
Uno dei tre dottori, quello più alto e robusto, iniziò a toccarmi il collo facendo pressione con le dita in determinati punti e dandomi un fastidio enorme. Abbassai di poco il viso e gli morsi la mano, che ritirò un secondo dopo.
"Qualcuno mi passi un fottutissimo calmante!" tuonò lo stesso afferrando un attimo dopo dalle mani di una delle dottoresse una siringa.
Spalancai gli occhi vedendo l'ago che si avvicinava alla pelle del mio braccio sinistro ed iniziai ad agitarmi più di prima mugugnando qualcosa di incomprensibile. La mia voce era quasi impercettibile e probabilmente loro non riuscivano nemmeno a sentire le mie proteste, ma ero evidentemente agitata. Chiunque avrebbe capito che non avevo la minima intenzione di avvicinarmi a quella siringa!
L'uomo mi bloccò il bracciò sinistro stringendolo con forza e con una mossa veloce ed esperta mi conficcò l'ago nella carne e mi iniettò il liquido che c'era nella siringa.
Sentii le forze abbandonarmi lentamente, mentre l'uomo ghignò compiaciuto per quello che aveva fatto.
Rinunciai a quella lotta assurda che stavo sostenendo e mi abbandonai alla stanchezza. La vista si appannò lentamente e le palpebre si chiusero. Di nuovo il buio.

Angolo mio ^.^

Volevo cominciare col dire che la storia non è mia, ma è stata inventata da Elizabeth writer su un'altro sito (Pagina Facebook: Elizabeth Writer) che mi ha gentilmente permesso di scriverla qui su wattpad. Spero vi piaccia tanto quanto è piaciuta e piace tutt'ora a me. Farebbe tanto piacere sia a me che alla scrittrice vera e propria sapere cosa ne pensate. Un bacio 😘

Remember me, la memoria del cuore.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora