Capitolo 2.

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Ero leggera. Ero leggera e libera.
Il vento gelido accarezzava il mio corpo. Lo cullava con dolcezza. Lo faceva rabbrividire di continuo. Era una sensazione piacevole. Ero come una farfalla, leggera e fragile allo stesso tempo.
Volavo nel cielo notturno sfiorando con le mie dita gli astri, la luna e tutto ciò che mi capitava sotto tiro.
Osservavo le città illuminate dall'alto. Era uno spettacolo di luci maestoso e armonioso. Qualcosa di indescrivibile. Un panorama che valeva la pena di essere visto, anche se in verità solo pochi avevano il privilegio di ammirarlo. Forse solo gli uccelli e le creature in grado di volare tanto in alto quanto lo ero io.
Era uno spettacolo troppo bello per essere vero, ma ciò non voleva dire che io non potessi godermelo al meglio. Sapevo che era solo un sogno. Sapevo che ben presto mi sarei risvegliata tra le mie candide lenzuola, ma quello che avevo davanti era così magico. Magico e affascinante. Volevo godermelo al meglio prima che svanisse definitivamente dalla mia vista. Volevo memorizzare quanti più possibili dettagli di quel momento, nel quale mi sentivo leggera come le nuvole e delicata, esattamente come un farfalla.
Volare era facile come nuotare, ed io sapevo fare bene entrambe le cose. Per spostarmi avevo mischiato lo stile libero con il rana: battevo le gambe e facevo con le braccia movimenti circolari spostando l'aria davanti a me.
Mi muovevo silenziosamente nel cielo notturno, beandomi di quella sensazione di assoluta libertà che mi regalava il volo, finchè non sentii di nuovo quel fastidioso fischio all'orecchio sinistro.
Mi fermai di scatto rimanendo sospesa nell'aria circostante. Mi guardai attorno con gli occhi sgranati. Il mio cuore batteva all'impazzata. Dopo la brutta esperienza dell'ultima volta, temevo quel fischio. Ne ero spaventata.
Rimasi ad ascoltarlo per qualche minuto, poi realizzai che c'era qualcosa di diverso dalla volta precedente. Non era lo stesso fischio doloroso e fastidioso che mi aveva fatta piegare in due per il dolore l'ultima volta. Era più leggero. Quasi impercettibile. Avrei potuto ignorarlo tranquillamente se solo lo avessi voluto, ma qualcosa dentro di me mi diceva che quello non era un semplice fastidio a cui era sottoposto il mio corpo. Era come se qualcuno mi chiamasse. Era come se qualcuno cercasse di dirmi qualcosa. Qualcosa che purtroppo non capivo e che non avrei capito nonostante i miei sforzi.
"Combatti! Devi essere forte!" disse qualcuno con un filo di voce.
Una voce dolce e bassa. Qualcuno che cercava di incoraggiarmi con disperazione e dolcezza al tempo stesso. Un ragazzo. Una ragazzo la cui voce mi era familiare e sconosciuta al tempo stesso, così come tutte le voci che sentivo.
Era una cosa possibile? Era una cosa razionale? O forse stavo semplicemente impazzendo?
I perché sorsero spontanei nella mia mente, mentre il buio di quella notte stellata svaniva lentamente sotto i miei occhi, risucchiato da una specie di buco nero per lasciare spazio ad un ambiente totalmente bianco e spoglio. Un ambiente vuoto e privo di felicità. Del tutto diverso da quella notte magica in cui mi trovavo. Se qualche attimo prima mi sentivo libera e felice in quel momento ero spaesata e confusa.
Iniziai ad ansimare progressivamente più forte, mentre cercavo con gli occhi la via per fuggire da quel luogo. Il mio respiro si fece pesante. Ansimavo. Mi mancava l'aria ed ogni respiro divenne una lenta tortura. I miei polmoni reclamavano continuamente l'ossigeno.
Spalancai gli occhi di scatto e boccheggiai cercando di fare entrare l'ossigeno nei miei polmoni. Sospirai rassicurata dalla visione della stanza in cui mi ero addormentata precedentemente.
Socchiusi gli occhi nuovamente cercando di fare riposare le miei palpebre ancora stanche. Avevo dormito probabilmente per ore, eppure, mi sentivo ancora terribilmente stanca.
Volevo rifugiarmi ancora una volta nei miei sogni magici e affascinanti. Volevo fuggire dalla realtà confusa che mi si presentava davanti. Volevo ritrovarmi di nuovo a volare nel cielo notturno perché stare stesa su quel letto senza nemmeno potermi alzare, o addirittura parlare, era tremendamente angosciante.
Schiusi lentamente gli occhi, lasciando che la luce del sole colpisse le mie pupille con tutta la sua prepotenza.
Mi ritrovai davanti un uomo alto e robusto. Poteva avere circa quarant'anni. Era brizzolato e aveva gli occhi azzurri. Ipotizzai che fosse un dottore quando vidi il lungo camice bianco. Teneva tra le mani dei fogli mentre mi squadrava per bene. Mi rivolse un sorriso timido ma sincero.
"Ciao..." sussurrò debolmente sotto il mio sguardo attento e diffidente.
In un attimo l'immagine di quello stronzo mentre mi iniettava un calmante, riaffiorò con prepotenza nella mia mente. Avrei voluto insultarlo per ciò che aveva fatto, ma tutto quello che riuscii a fare uscire dalle mie labbra, quando si schiusero, fu un gemito strozzato. Era un po' più forte rispetto ai suoni che avevo emesso la prima volta, ma era comunque qualcosa di incomprensibile!
Perché non riuscivo a parlare?! Perché non riuscivo a muovermi?!
Avrei potuto aggiungere altri perché a quelli che già ronzavano nella mia testa, ma era inutile porsi altre domande se non riuscivo a trovare le risposte nemmeno a quelle. Avrei solo accresciuto la mia confusione mentale.
"Sai è davvero un miracolo vederti sveglia dopo così tanto tempo. Ormai avevamo abbandonato le speranze che tu aprissi gli occhi, Elizabeth..." sussurrò ancora una volta l'uomo, conquistando la mia completa attenzione.
Elizabeth... Elizabeth... Quel nome risuonava nella mia testa come se fosse eco in un enorme grotta.
Quello era il mio nome! Elizabeth era il mio nome! O almeno qualcosa dentro di me mi diceva che fosse il mio nome.
Spalancai gli occhi nel momento in cui mi resi conto di avere dubbi persino su come mi chiamassi! Come poteva essere possibile?! Che cosa significava che era un miracolo se mi fossi svegliata?!
E una domanda dopo l'altra mi ritrovai di nuovo in quello stato confusionale.
"E' normale che tu non riesca ancora a parlare o a muoverti. Per un po' di tempo sarà difficile, ma tutto si sistemerà presto, tranquilla." sussurrò l'uomo con estrema dolcezza, regalandomi un altro sorriso debole ma sincero.
Era come se in un certo senso gli facessi pena. Come se vedermi in quelle condizioni lo portasse ad avere pietà di me. Ma io non avevo bisogno della sua pietà! Né della sua né di quella di nessun altro! Sarei stata più forte di lui! Gli avrei dimostrato che ero una persona che non si dava per vinta mai! Gli avrei fatto vedere di che pasta ero fatta! Gli avrei mostrato quanta forza di volontà avevo!
Sospirai profondamente. Salivai il palato per bene e iniziai a fissare un punto ben preciso, per la precisione la mia mano destra. Mi leccai il labbro inferiore e sospirai ancora una volta. Iniziai a balbettare qualcosa di incomprensibile a bassissima voce. Perché era così difficile? Perché era così complicato persino riuscire a parlare in modo corretto?
Sollevai il viso e continuai a tentare. Volevo che mi guardasse bene mentre gli mostravo la mia forza di volontà. E non avrei smesso di provare fino a quando non ci sarei riuscita!
L'espressione dell'uomo cambiò improvvisamente: il sorriso di pietà si trasformò in uno di incoraggiamento. Gli occhi gli brillavano vedendo la mia determinazione.
Era esattamente ciò che volevo!
"Stronzo...!" dissi quasi in un gemito e lui scoppiò a ridere di gusto per poi tornare la persona seria e composta che era inizialmente.
Gli feci un sorrisetto compiaciuto a mia volta.
Non doveva affatto sottovalutarmi. Non mi intimidiva nulla. Niente di niente!
"Sei determinata e ti ammiro per questo, ma non sprecare energie inutili!" mi riprese con un tono molto paterno.
Non lo ascoltai minimamente.
"Ok.." biascicai, sorridendo appena.
Sospirò. La sua espressione era nuovamente seria e autoritaria mentre si sedeva in una sedia proprio accanto al mio letto. Mi squadrò per bene poi mi sfiorò la fronte con un dito.
"Dimmi Elizabeth, qual è il tuo ultimo ricordo...?" mi sussurrò con dolcezza.
Le sue parole rimbombarono nella mia testa per secondi che parvero interminabili.
Spalancai gli occhi nel momento in cui mi resi conto di ciò che mi aveva appena chiesto.
Era un eccellente domanda. Qual'era il mio ultimo ricordo? Ricordavo di aver vagato nel buio per un infinità di tempo senza avere una meta precisa. Ricordavo quel dolore lancinante che mi aveva travolta senza nessuna ragione precisa. Ricordavo quelle voci. Ricordavo di essermi svegliata in quella stanza. Ricordavo di essermi ritrovata con cinque dottori addosso. Ricordavo di essermi addormentata nuovamente sotto l'effetto di un calmante e di essermi risvegliata dopo aver sognato di volare nel cielo notturno. E poi? E poi non ricordavo nient'altro.
Ero come un libro con le pagine bianche. Ero vuota.
Com'era possibile che nella mia mente non ci fosse nient'altro? Doveva esserci qualcos'altro!
Il cuore iniziò a battermi all'impazzata, mentre l'ansia mi travolgeva come un onda anomala al mare.
Forse era come per parlare. Forse bastava sforzarsi un po' per far tornare tutti i ricordi a galla.
Chiusi gli occhi e strinsi i pugni. Mi sforzai il più che potevo per far ritornare i ricordi a galla, ma erano tentativi del tutto inutili.
Schiusi gli occhi lentamente trovandomi davanti di nuovo l'immagine di quell'uomo che non sapevo se definire dolce e comprensivo o freddo e distaccato. Iniziai ad ansimare impaurita. Sentivo le lacrime pizzicarmi gli occhi e in un attimo la mia vista si appannò. Un secondo più tardi una lacrime scivolò giù per la mia guancia destra. Non la fermò come speravo che facesse. Anzi, la lasciò scorrere fino a quando non arrivò al mio collo, bagnandolo.
Tirai su con il naso e mi morsi debolmente il labbro inferiore abbassando lentamente il mio sguardo verso un punto non definito.
"Non... non..." biascicai non riuscendo più a trattenere le lacrime. Avevo perso perfino la mia forza di volontà.
A quel punto volevo delle risposte alle mie domande! Pretendevo delle risposte alle mie domande! Volevo sapere perché ero stesa su un lettino! Volevo sapere perché i miei arti non rispondevano ai miei comandi! Volevo sapere perché anche parlare mi era così difficile! Volevo sapere chi era quell'uomo e perché mi definiva 'un miracolo'! Volevo sapere perché nella mia mente c'era così tanta confusione! Volevo delle risposte eppure sentivo crescere in me una fottutissima paura di sapere come stavano le cose realmente!
L'uomo brizzolato sospirò. Si alzò in piedi e iniziò a passeggiare avanti e indietro per la stanza farfugliando tra sé e sé qualcosa che non mi interessava per niente.
Si fermò di scatto e mi sentii il suo sguardo addosso. Alzai il viso lentamente, ancora abbattuta.
"Dovevo aspettarmi una cosa del genere. Insomma, dopo tutto questo tempo è difficile che tu abbia ancora tutti i tuoi ricordi..." sussurrò abbassando lo sguardo. Detto questo si avvicinò nuovamente a me. Si sedette e ricominciò a fissarmi.
"Ad ogni modo non spetta a me chiarire tutti i tuoi dubbi o raccontarti come sei entrata in coma..." proseguì con il suo discorso.
Spalancai gli occhi dopo aver sentito la sua ultima parola. Coma? Io ero in coma? Come era possibile?! Perché?
Riflettei per bene sulla frase che aveva appena detto e sollevai un sopracciglio. Perché non poteva darmi spiegazioni?!
Avrei voluto alzarmi in piedi, prenderlo a sberle e obbligarlo a dirmi tutto, ma semplicemente non potevo. Mi limitai a fulminarlo con lo sguardo.
I discorsi sibillini non mi erano mai piaciuti!
"...Sta tranquilla, tra poco arriverà qualcuno che sarà in grado di aiutarti. Devi solo aspettare!" concluse con un sorriso sghembo.
Annuii debolmente e l'uomo si alzò di scatto. Mi squadrò un ultima volta prima di uscire definitivamente dalla stanza, lasciandomi sola ad affogare nei miei pensieri.
Forse le parole del dottore erano una delle tante spiegazioni ai miei dubbi. Avevo continuamente chiesto a me stessa perché stessi camminando nel buio. Perché fossi sola in quel lungo cammino. Perché cose così irreali erano sotto il mio naso. E in quel momento ricevetti le risposte: era stato soltanto frutto della mia immaginazione. Una serie di immagini create dal mio cervello che si stava resettando. Niente di reale.
Avrei dovuto calmarmi al pensiero che ben presto qualcuno sarebbe arrivato e mi avrebbe spiegato tutto con tranquillità e chiarezza, invece avevo paura. Avevo ancora più paura. Paura di conoscere la verità su quello che mi era successo realmente prima di quel triste risveglio.
Ad ogni modo non potevo tirarmi indietro. Dovevo affrontare quello che mi riservava il futuro senza temerlo!
Cercai di essere ottimista.
Un sorriso mi si disegnò sulle labbra. Forse era la prima volta che facevo un sorriso sincero come quello da quando mi ero svegliata. E con quella goccia di ottimismo in più indirizzai il mio sguardo verso la finestra.
Il cielo era azzurro e limpido. A dir poco bellissimo.
Non riuscivo a vedere chiaramente il panorama che si poteva godere da quella finestra, ma ero più che sicura che fosse bellissimo.
E la voglia di sapere in che città fossi mi travolse. La voglio di sapere in che stato fossi mi travolse. Magari ero in Italia. O in America. O forse in Australia.
Il mio sguardo scivolò velocemente verso il mio braccio. Mossi lentamente i polpastrelli, ma ancora non riuscivo a muovere correttamente gli arti. Era una cosa piuttosto angosciante, ma il mio ottimismo non si spense ugualmente. Sapevo che presto avrei ripreso il pieno controllo delle mie funzioni motorie.
Osservai per qualche istante la pelle lattea del mio braccio, sfigurata in alcuni punti da delle cicatrici. E mi domandai come fosse il mio viso. Di che colore fossero i miei occhi. Come fossero le mie labbra.
Sentii un tuffo al cuore. Come potevo non sapere come fosse il mio viso? Come potevo non sapere chi ero? Come potevo non sapere nulla su me stessa? L'unica cosa di cui ero a conoscenza era il mio nome, Elizabeth, ma solo perché quell'uomo alto e brizzolato me l'aveva detto.
E in un attimo anche quella goccia di positività che avevo acquisito sparì.
Sentii gli occhi pizzicarmi. Avevo voglia di versare un paio di lacrime, ma mi trattenni dal farlo, mantenendo in viso un sorriso tirato e falsissimo.
Cercai di non pensarci troppo. Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dai rumori che c'erano attorno a me: un brusio piacevole proveniente dal corridoio e le risate di persone che non conoscevo.
Sentii improvvisamente il cigolio della porta che si apriva e spalancai di scatto gli occhi.
Mi apparve davanti agli occhi la figura di una ragazza che non avevo mai visto fino a quel momento. Aveva i capelli lunghi e lisci di un castano chiaro, che diventava sempre più chiaro nelle punte. Gli occhi, di un castano scurissimo, erano rossi e le guancie erano piuttosto umide, probabilmente aveva pianto.
Non era eccessivamente magra, ma nemmeno troppo alta. Era bellissima.
Indossava un paio di jeans chiari, una camicia azzurra con i bottoni aperti, che mostrava una semplice canottiera bianca, e un paio di Converse bianche.
Al suo seguito c'era l'infermiera mora che mi aveva vista sveglia per prima. Quest'ultima chiuse la porta sotto il mio sguardo inquisitore, poi si voltò a fissarmi sorridente.
Evasi da quel contatto visivo con l'infermiera per poi spostare il mio sguardo sulla ragazza castana di cui non conoscevo il nome.
I miei occhi si persero nei suoi non appena i nostri sguardi si incrociarono. Aveva qualcosa di familiare.
Accennai istintivamente un sorriso e gli occhi della castana si appannarono per le lacrime. Un secondo più tardi sul suo viso si dipinse uno splendido sorriso che metteva in mostra i suoi denti perfetti.
"Elizabeth!" gridò dopo essere scoppiata in lacrime.
Si precipitò vicino al mio letto e mi strinse debolmente tra le sue braccia affondando il viso nell'incavo del mio collo. Le sue lacrime iniziarono a scorrere sulla mia pelle facendomi il solletico.
In un certo senso mi stava stringendo troppo forte, ma non mi importava. Era la prima manifestazione di affetto sincero che ricevevo e volevo godermela in pieno. Sorrisi debolmente e socchiusi gli occhi, abbandonata tra le sue braccia e inebriata dal suo dolce profumo di lavanda.
Mi sembrava chiaro come la luce del sole: quella ragazza mi voleva bene.
E anche se non riuscivo a ricordarmi chi fosse sentivo di volergliene anche io.
Avrei tanto voluto ricambiare il suo abbraccio, stringendola a me. Avrei voluto farle capire quanto contasse quel suo gesto per me. Ma purtroppo non potevo.
"Signorina Billington, capisco la sua felicità nel vedere sua sorella finalmente sveglia, ma stia attenta a come si muove, è ancora debole!" sussurrò cortesemente l'infermiera, poggiata con le spalle alla porta.
La ragazza castana si scostò dalle mie braccia facendo un timido sorriso. Mi mormorò uno "scusa" ed io le sorrisi.
Ripensai velocemente alle parole dell'infermiera: 'Signorina Billington, capisco la sua felicità nel vedere sua sorella sveglia...'. E a quel punto gli occhi iniziarono a brillarmi: quella splendida ragazza castana era mia sorella!
Non ero sola! Non lo ero mai stata! Mi avrebbe aiutata lei a ricordare tutto!
La positività si diffuse velocemente nell'aria circostante e nel mio viso si dipinse un sorriso.
L'infermiera tirò debolmente il braccio destro di mia sorella, conquistando la sua attenzione. Le due si misero in disparte e iniziarono a parlottare tra di loro in modo che io non potessi sentire la loro conversazione. Dopo un paio di mormorii e di cenni deboli con la testa, l'infermiera uscì dalla stanza lasciandoci sole.
La ragazza si sedette nella sedia accanto al mio letto e mi regalò l'ennesimo sorriso, mentre io la guardavo felice. Poggiò la sua mano sopra la mia e la strinse debolmente stabilendo un contatto che mi diede i brividi e mi rese ancora più felice allo stesso tempo.
"Sinceramente è ridicolo dovermi presentare dato che ti conosco da quando sei nata, ma so che non ricordi nulla quindi devo farlo. Sono Robyn, Robyn Annabel Billington, tua sorella..." sussurrò sorridendomi.
Sentii il mio cuore fermarsi per un attimo e ricominciare a battere all'impazzata dopo quelle parole. I miei occhi si persero nel vuoto. Il mio corpo venne attraversato da delle piccole scosse elettriche. Mi venne la pelle d'oca. La mia vista si annebbiò di colpo facendo totalmente sparire l'immagine sorridente di Robyn. Al suo posto apparve qualcos'altro.
Il mio polso stretto dalla mano di qualcun altro con forza e poca delicatezza. Come se volesse farmi male. Alzai lo sguardo di scatto e mi ritrovai davanti la sorridente castana di qualche attimo prima, con uno sguardo di rabbia e odio. Avevo il viso rigato dalle lacrime. Era arrabbiata. Era molto arrabbiata. E i suoi occhi mi stavano uccidendo lentamente. Non aveva bisogno di dirmi qualcosa per spaventarmi, le bastava guardarmi in quel modo rude.
"Se vai via con lui dimenticati di avere una sorella!" mi gridò in faccia ed io spalancai gli occhi.
A cosa si riferiva? Con chi sarei dovuta andare via? Perché?
Non ebbi il tempo di rispondere a quelle domande fastidiose che la visione scomparve lasciando milioni di dubbi per la mia testa.
Mi ritrovai di nuovo nella camera dov'ero qualche attimo prima. La mia mano stretta a quella di Robyn, la quale aveva ancora le labbra incurvate in un sorriso.
Ansimai per qualche istante, sperando che lei non notasse quanto ero sconvolta per ciò che avevo visto. Lei, senza dubbio, non mi avrebbe capita. Nessuno mi avrebbe capita se solo avessi provato a raccontare.
Era stato come un flash-back. Come se qualcosa dentro di me cercava di farmi ricordare che cosa fosse successo in passato. Come se i ricordi legati a Robyn cercassero di richiamarmi. Era senza dubbio una cosa che faceva paura. Qualcosa che faceva tremendamente paura.
Ce ne sarebbero stati senza dubbio degli altri, avrei dovuto solo imparare ad affrontarli.   



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