I fatti di novembre 2015

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Questa notte ho fatto un sogno.
Non era un sogno normale, era di quelli che ti lasciano qualcosa, che non se ne vanno il giorno dopo. Nel sogno, cercavamo l'onda perfetta. Eravamo arrivati in questo posto di mare, io e Gas, guardavamo eserciti di surfisti su cavalloni alti come colline. Seppellivano il pontile quando passavano, e i surfisti che saltano e si divertono. Uno spettacolo. Devo aver sognato questa cosa perché prima di addormentarmi ho visto un video. C'erano surfisti molto bravi e temerari in quel video, si divertivano un mondo.
Nel sogno, a Gas faccio, Guarda quell'onda, Gas. Com'è alta. L'onda era davvero altissima, e scura. Un'onda immensa, di quelle oceaniche. Gas rimane in silenzio. So che anche lui vorrebbe cavalcarla, proprio come me. Però mica facciamo niente, io e lui, non siamo mica veri surfisti. Ce ne stiamo lì a fissare le onde, con l'aria del mare che ci gratta la faccia.
A quel punto, lo giuro, mi volto perché ho sentito qualcosa. Dietro di me c'è una distesa grande, e verde, e tantissimi alberi. Una vasca di alberi e cielo tra i bordi delle montagne. Dicevo, ho sentito qualcosa, e infatti c'è del fumo che sale, sembrerebbe un'esplosione. Sarà almeno a dieci chilometri, magari laggiù c'è un incendio, mi dico. Forse c'era una fabbrica, laggiù.
A Gas dico, Ehi Gas, guarda là. Ma ho un brutto presentimento, e comunque Gas non c'è più. O, se c'è, in questo momento se ne sta in silenzio. Io invece continuo a guardare il fumo, inorridito. Vicino a me ci sono altri miei amici, prima però non c'erano. Non so perché sono qui, forse avevo bisogno di loro. Non li vedo, okay, ma sento che ci sono, che sono con me. Poi a un certo punto, da un megaschermo sulla spiaggia, tuona una voce. In realtà non vedo alcun megaschermo, però quella voce arriva da delle casse e ciò che sta dicendo può essere solo proiettato su un megaschermo. Intendiamoci, sta parlando di immagini. È la voce di un qualche telegiornale, o almeno così sembra.
Detto tra noi, lì era pieno di cose che c'erano ma che non si vedevano.
Comunque, la voce dice: «Parma, distrutta. Anche Milano, ehi, ehi, anche Milano. Milano rasa al suolo. Mio Dio, è terribile» dice la voce. Soltanto quello. La cosa sconvolgente è come mando giù queste informazioni. Succede tutto adesso, sta succedendo in un attimo. Parma è la mia città, lì vive tutta la mia famiglia. A Milano ho tanti amici, okay, ma Parma è la mia casa e mi dispiace per i milanesi, ma il mio dolore va tutto alla mia città.
Però a quel punto ho appena capito dove mi trovo, sono nel mare della mia infanzia, tra la Toscana e la Liguria, e quelle montagne sono le Alpi Apuane, e a sinistra si vede anche Monte Marcello. Poi sotto il fumo appare un'onda. Un'onda ciclopica, un'onda da Apocalisse. Nera, silenziosa, avanza veloce come una mandria d'inferno. Sarà qui tra un secondo e io non potrò farci niente. Non potrà far nulla nemmeno tutta questa gente, nemmeno i surfisti, neanche loro, già. Che cosa pazzesca e annientante: dovrei pensare a quello che si pensa in questi casi, tipo mettere l'anima in pace. E invece non penso a niente. Proprio a niente di utile. Non ci riesco. Così, mi dico, è la fine, allora la fine è questa. Sono dispiaciuto per la mia famiglia, per tutta questa vita che, in fondo, non è servita a molto. Non ne ho fatto tanto, della mia vita, e adesso finirà tutto. Non posso davvero farci niente, Amen. Questo è quello che penso.
L'onda copre il sole e io mi sveglio.
È notte, è buio. Una chitarra elettrica suona una canzone nella mia testa, tipo sigla. Sono nel mio letto, la mia donna dorme di fianco a me. Non si è accorta di nulla, lei, anche perché io non ho mica gridato, non grido mai nel sonno. La prima cosa che penso è, Allora non c'è niente, dopo, perché la testa ce l'ho ancora a metà nel sogno, devo ancora capire bene dove mi trovo. E la chitarra che suona l'inizio di quella canzone così famosa e orecchiabile, un successo di tanti anni fa. Chissà perché proprio quella canzone. All'improvviso voglio scrivere ai miei amici, sulla nostra chat, non importa l'ora. Voglio dirgli del sogno, perché mi sono appena ricordato che canzone è. È buffo, quella canzone è forse l'unica cosa che ha un senso, in tutto questo. E badate bene, non sto mica parlando di un pezzo serio come Imagine.
Il ritornello dice: Voglio qualcosa di diverso. Ovviamente ho tradotto. L'ho detto, era solo una canzoncina, magari avete capito anche voi che canzone è.
Una volta, un mio amico si era pure vantato di aver parlato tutta sera col cantante di quel gruppo. A New York, fuori da un locale, perché lui vive lì adesso. Un tipo simpatico, un tipo molto socievole, ha detto. Forse è anche per questo che mi piacerebbe raccontare agli altri del sogno, per questa strana coincidenza. Però sono ancora angosciato, e non ho nemmeno voglia di andare a prendere il cellulare. Non so nemmeno che ore sono. Sotto le coperte si sta al caldo, di là fa freddo.
Voglio qualcosa di diverso, proprio quando mi chiedevo se quella era la fine, se la fine era davvero così.
È buffo, e un po' è anche macabro.
Poi devo essermi riaddormentato, alla fine non ho mica scritto a nessuno.


Mattia, 23 novembre 2015



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