Le luci di Firenze.

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«Scrivere, è annerire una pagina bianca; fare teatro, è illuminare una scatola nera.»

Joël Jouanneau

Francesco ed io ci incontrammo quasi ogni giorno durante gli intervalli delle lezioni; ed all'uscita da scuola mi accompagna sempre per un piccolo pezzo di strada, per poi lasciarmi a me stessa.

È un ragazzo molto altruista e gentile, mette l'amicizia in primo piano, come se fosse il suo scopo nella vita tenersi strette le persone care.

Laddove ero in difficoltà - soprattutto con la pronuncia - lui c'era e mi aiutava più di chiunque altro.

Solitamente non sono capace di socializzare e di tenermi strette quelle poche persone che mi considerano, ma con Francesco cercavo con tutto il cuore di non rovinare la nostra amicizia e chiunque mi presentasse lo accoglievo volentieri solo perché lui lo conosceva.

Un anno è passato molto velocemente. Nonostante le difficoltà riscontrate con la lingua, il mio rendimento scolastico è nella media. Mia madre, nel frattempo, ha trovato un lavoro come giornalista, viene spesso mandata all'estero per informarsi sul campo degli avvenimenti, ed in quel piccolo lasso di tempo - dopo che li conobbe - andavo a stare dalla famiglia di Francesco. Mi offrivano il letto del fratello maggiore, visto che era andato ad abitare da solo. In quelle poche settimane assaggiavo la "vera" cucina italiana.

Rivedevo mio cugino Edouard nella figura di Francesco; come mi disse la prima volta che ci siamo incontrati, sono arrivata ad adorare pure lui.

Quasi sedicenne ed appena uscita dalla seconda superiore.

Questa estate Francesco mi promise di portarmi a visitare, innanzitutto, Firenze, che nonostante ci abitassi non ho mai avuto modo e tempo di esplorarla del tutto; poi raggiungeremo altre città con il treno o con la sua futura macchina: deve solo fare l'esame pratico, e l'ormai diciottenne sarà più che indipendente.

Anche oggi, l'ultimo giorno di scuola, mia madre non è a casa e quindi mi incamminai con Francesco verso casa sua:

«Sei una persona tranquilla, vero?» Mi chiese.

«Lo sai.»

«Quindi non ti interessano i gavettoni di fine scuola?»

Lo fulminai con lo sguardo, sapeva molto bene che non mi piacevano i luoghi troppo affollati con degli schiamazzi di sottofondo. Non dissi niente, ma capì i miei pensieri.

«Ovviamente stavo scherzando, lo so che sei una ragazza pacata.» Disse ridendo.

Amavo il suo modo di parlare, con una voce dal timbro non troppo basso e con il suo linguaggio ben fornito.

«Se lo sai allora non dovevi neanche proporlo.» Dissi ironicamente.

«Chiedo venia.»

Tra una parola e una risata arrivammo a casa sua. Oramai lì mi trattavano tutti come se facessi parte della famiglia, non che mi dispiacesse. Appresi molto della cultura, lingua e tradizioni italiane proprio grazie a loro, ed ogni volta che mia madre tornava a casa le raccontavo tutto, che le interessasse o meno e non curante che dopo un lungo viaggio fosse stanca, ma anche lei mi raccontava ogni volta ciò che le capitava, portandomi sempre un dono diverso: una penna, un segnalibro, una statuina o un libro. In particolar modo adoravo quest'ultimo. Nonostante non avesse tempo materiale per girare le varie città per cercare un libro, ci metteva cuore ed anima per trovarne, e quando non ci riusciva e di conseguenza mi portava qualcos'altro, nei suoi occhi c'era sempre un velo di tristezza per non aver compiuto la sua missione, ma comunque adoravo tutto quello che mi portava.

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