Un fasmide a teatro.

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«Fluttuante e attraversato da lievi movimenti il fasmide che altro non è se non la scenografia nella quale è immerso.»

Georges Didi -Huberman
Recensione de "La conoscenza accidentale."

Partimmo quello stesso giorno prendendo l'aereo. Non è la prima volta che lo prendo, ma il vuoto sotto i miei piedi mi provoca sempre l'ansia e un senso di smarrimento.

Dopo lunghe estenuanti ore di volo, seduta su di un sedile accanto al finestrino con mia madre dall'altro lato, arrivammo in Italia, all'aeroporto di Firenze-Peretola.

Mi è sempre piaciuta questa città ricca di storia e d'arte, tutto sommato i cambiamenti non per forza devono essere negativi, possono essere una nuova opportunità per conoscere ed apprendere.

Da una casa a Bordeaux, in Francia ci siamo trasferiti in un appartamento a Firenze, in Italia.

Non ce l'ho con mia madre per questa decisione, prima ero un po' triste perché stavo abbandonando il mio unico ed adorato cugino, ma ora sono aperta alle novità.

L'appartamento in cui ci siamo trasferite è molto suggestivo, in stile vintage: la cucina e il salotto sono nella stessa stanza, c'è un bagno e una camera da letto con un solo letto matrimoniale, che condividerò con mia madre, ma sto anche valutando di andar a dormire sul divano, altrettanto comodo, per poter avere più spazio. Di tre finestre tutte danno sulla strada, i tetti di Firenze che vedo da esse sono tutti meravigliosi e il cielo è di un luminescente azzurro.

Iniziai subito a cercare una scuola che mi potesse interessare, e la trovai. Un liceo artistico, lo stesso tipo di scuola che frequentavo in Francia.

Una volta lì mi accolsero tutti a braccia aperte, mi fece molto piacere. Mi presentai ai miei nuovi compagni di classe, dopo di che un insegnante mi fece fare il giro della scuola informandomi anche sulle attività extracurricolari, alle quali ho sempre partecipato volentieri anche in Francia, perché spesso mi danno modo di sfogarmi con gare e competizioni tra persone che apprezzano, come me, queste opportunità di spezzare la monotonia della loro vita. Ma anche per poter condividere ed assimilare passioni, informazioni e modi di pensare diversi.

Ho evitato spesso l'attività di recitazione a teatro, non perché mi vergognassi o chissà che cosa, e di certo non ho paura del palcoscenico - anche se lo si può pensare visto che ho abbandonato anche il palco della danza - semplicemente non credo di essere capace ad esprimere emozioni quando non le provo veramente. Quale assurdo errore ho fatto nel non frequentare quelle poche lezioni che la mia vecchia scuola ci offriva! Quel luogo, quella disciplina, quella forma d'arte pullula di persone intriganti. Posso affermare questo anche solo stando seduta nella platea e guardandomi attorno senza interagire.

Come primo incontro non eravamo obbligati a salire sul palco, si accettavano volontari. Salirono per primi quelli più esuberanti, coraggiosi e sicuri di sé, non posso che ammirare tanta tenacia.

Ai miei occhi inesperti sembravano tutti dei talentuosi esperti, più si esibivano e più dubitavo della mia scelta di partecipare.

La mia sicurezza se ne uscì dalla porta d'ingresso lasciandomi da sola, quando sul palco si presentò un ragazzo alto in modo innaturale, molto magro, quasi anoressico, ma non si muoveva come una persona fragile, al contrario sembrava pieno di vita. Dubito che la sua particolare bellezza fosse apprezzata da tutti. In quell'istante mi chiesi se fosse mai stato additato, umiliato o preso in giro per la sua innaturale altezza. Provavo pena per una persona che non conoscevo, di cui non conoscevo la storia. Ammaliata dai suoi movimenti decisi e delicati; dal suo dialogare con il vuoto, capace di portare l'attenzione su di sé, credevo di essere l'unica incantata da tanto sublime acume, ma mi accorsi che non stava succedendo solo a me, guardandomi attorno, notai che tutti erano in religioso silenzio.

Mi rapì cuore ed anima recitando un piccolo pezzo di Amleto:

«Dammelo. (Prende il teschio.) Povero Yorick. Io lo conobbi, Orazio; un uomo di un'arguzia infinita, di una fantasia senza pari. Mille volte mi portò a cavalcioni sulle spalle, e ora come lo aborre la mia immaginazione! Lo stomaco mi si rovescia. Qui pendevano le labbra che baciai non so quante volte. Dove sono ora le tue canzoni, le facezie, le burle, gli scoppi di allegria a cui faceva eco l'intera tavolata? Nessuno più da far ridere, con questa smorfia? È umiliante. [...]»

Non poteva essere così perfetto, pur essendo così diverso.

Dovevo riuscire a parlargli almeno una volta, per poter capire come riusciva ad immedesimarsi così alla perfezione.

Finirono le due ore di lezione e l'insegnante di teatro ci fece i complimenti - che non meritavo poiché non mi ero sottoposta alla luce dei riflettori - e ci ringraziò.

Ci avviammo tutti all'uscita e, nel mentre, tentai a tutti i costi di avvicinarmi a quell'essere perfettamente diverso:

«Ciao!» Esclamai.

Si girò ed i suoi occhi color nocciola mi folgorarono, e mi rispose:

«Ciao a te, non ti ho vista sul palcoscenico, come mai?»

Non mi aspettavo tanta confidenza da un estraneo:

«...Beh, non era obbligatorio. No?»

«Vero. Ma hai fatto male.»

«Come scusa?» Dissi sorpresa e con un lieve sorriso.

«No, niente. Stavo scherzando, ognuno è libero di fare ciò che vuole.» Disse lui sorridendo.

«Va bene...» Dissi un po' in imbarazzo.

«Comunque io sono Francesco.» Mi disse porgendomi la mano.

«Piacere, Adéle.» Risposi stringendogliela.

«Sei nuova, giusto?»

«Sì, vengo dalla Francia.»

«Bel posto, io ci vado sempre in vacanza. Come mai ti sei trasferita?»

«Motivi personali.» Dissi schiettamente, non avevo intenzione di dire i motivi del trasferimento ad un perfetto sconosciuto.

Dopo un po' di silenzio, nell'attesa che ci facessero uscire, ironicamente mi chiese: «Sei tu tanto bassa o io troppo alto?»

Il suo sorriso era qualcosa di indescrivibile. Gli risposi ridendo:

«Credo entrambe le cose!» e gli chiesi: «Scusa, ma quanti anni hai?»

«Diciassette, te?»

«Quindici. Hai la stessa età di mio cugino.»

«Adori o odi tuo cugino?»

«Lo adoro come se fosse mio fratello invece che un semplice cugino.»

«Beh, chissà se anche con me arriverai ad adorarmi.» Disse porgendosi in avanti, quasi come un inchino, con le mani dietro alla schiena e ridendo.

Per fortuna dovemmo lasciarci, molto probabilmente mi si colorarono le guance per l'imbarazzo, ma promettemmo entrambi che ci saremo rivisti, e così fu.

Mrs. InsectDove le storie prendono vita. Scoprilo ora