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Solo quando varcai la soglia della porta di casa mia, realizzai tutto come un fulmine a ciel sereno.
Ero fottuta.
Fottuta fino al midollo. Capii di aver esagerato, vidi e rividi quella proiezione mentale in cui mi sfogavo con un docente dei miei problemi psicotici, dando rovinosamente spettacolo a tutta la classe. Avrei tanto voluto dire che ormai era un capitolo chiuso.
Ma sapevo perfettamente che Han si sarebbe vendicato.
Chi non lo farebbe, dopo un'umiliazione simile? Me l'avrebbe fatta pagare cara con mia madre, oltre agli esercizi extra. Frequentavo quella scuola da un paio di mesi, e già mi permettevo di sbraitare senza alcun riguardo, in un ambiente in cui non ero ancora completamente integrata, facendo ogni giorno dei passi indietro. E questo fu il colmo. Non solo ero diventata l'attrazione principale della classe. Le voci si sarebbero sicuramente sparse, un'aula dopo l'altra, fino ad arrivare all'apice. Ma, d'altra parte, me lo meritavo.
- Mamma, sono a casa!
Sentire il familiare profumo che emanava la cucina ogni volta che tornavo da scuola mi dava un certo sollievo. Lanciai lo zaino a terra e mi avvicinai ai fornelli. - Daisy, tesoro, sei tornata. Com'è andata oggi?
Di merda, uno strazio, uno schifo, un fallimento totale.
- Abbastanza bene - mi limitai a dire, accennandole un sorriso. Sembrava di buon umore, non volevo di certo infierire e rovinarglielo. Quando sorride, è così bella. - Aaallora... che prepari oggi? - le chiesi ficcanasando pentole e padelle sul gas. - Amatriciana? Mamma, non dirmi che ti manca l'Italia! -
- Come potrebbe non mancarmi il mio paese d'origine?! - risi. L'Irlanda è totalmente diversa, ma se questo poteva influire negativamente su di lei, cosa l'ha spinta a traslocare senza darmi una motivazione valida? - Però siamo qui!
Spense il fuoco e poggiò una mano sul tavolo. Sembrava cercare le parole. - Daisy, questa casa ... io ... io ho trovato un bel lavoro qui, ne vale il nostro futuro. - mi diede una carezza. Mi sforzai di credere che non ci fosse altro. - Beh? Hai intenzione di continuare a fissarmi o apparecchi la tavola?
Quel piatto aveva il sapore del mio passato, un passato che per quante volte avrei assaggiato, non avrei mai potuto rivivere per davvero. Era ormai impossibile vivere un presente senza visioni e sensazioni strane, e molto presto sarebbe diventato impossibile anche nascondere il presente attuale.
I miei erano solo''problemi adolescenziali''. Questo era ciò che cercavo di mettermi in testa. Eppure mentivo a me stessa. Chi mi avrebbe mai creduto anche se avessi provato a spiegare che mi accadono cose inspiegabili? Avrebbero tutti riso di me. Sarei andata a finire in un ospizio con la camicia di forza.
Rabbrividii al solo pensiero.
- Ti fa davvero così schifo? Vedi se manca il sale!
- Ma no, ero in sovrappensiero.
In quel preciso momento, il telefono di mia madre squillò.
Deglutii, e il mio ultimo boccone ritornò su per la gola. Poteva essere Han che mi avrebbe fissato un appuntamento con la morte.
- Aspetta. Mamma, non finisci di mangiare? Richiamerai più tardi! - ma aveva già risposto.
- Pronto? ... si, chi parla? - ecco, è la fine. - Non ne sapevo nulla, davvero. A che ora? Quattro e mezza? Certamente, ci sarò. Grazie. - Ora è troppo tranquilla. Che stia aspettando il momento giusto per strangolarmi?
Riattaccò il telefono. - Non ci posso credere. Ho un colloquio straordinario con il mio datore di lavoro! - iniziò a saltellare come i bambini. La abbracciai tirando un sospiro di sollievo per lei, ma anche per me. - Vado immediatamente a prepararmi.
- Ma ... sono le due ...
- E con questo? Il tempo vola cara mia - replicò fiondandosi in bagno.

[...]

-

A dopo, buona fortuna!
Sentii sbattere la porta principale, e mi pervase un attacco di ansia. Quando ero sola, la mia mente malata ne approfittava materializzando ombre, figure e forme rendendole consistenti, odorose, vive. Oggetti che si spostavano, quadri fuori posto, elettrodomestici impazziti. Colori che cambiavano. Decisi di non pensarci e studiare matematica. Tanto per trasformare il due in un cinque. Dovevo concentrarmi esclusivamente sullo studio e accantonare qualsiasi altra cosa, non potevo permettere che simili scemenze potessero distrarmi. Ad ogni modo, passò una buona mezz'ora, e finalmente cominciavo a mettere insieme i pezzi. Lavoravo nel silenzio più assoluto, quasi insolito. Stavo guarendo?
Quel momento eccezionale fu interrotto da una seccante telefonata.
- Parlo con Daisy? Daisy Scott?
- Sì. Chi parla?
- Finalmente!
Ma che diavolo ...
- Scusami, ho cercato il tuo numero in tutti i modi. L'ho chiesto alla classe intera, ma evidentemente nessuno di loro mi ha dato le cifre giuste. Sono Thomas.
Thomas Flynn? Il ragazzo più silenzioso di questa terra? Non credevo neanche che sapesse parlare. Mah, comunque non mi fidavo neanche di lui. Li guardavo tutti allo stesso, identico, palloso modo.
- Ah, ciao Thomas. A cosa devo questa chiamata? Vuoi ridere di me anche al telefono?
- Parli di oggi? Beh sì, ridevo anch'io di quell'episodio. Ma non ridevo certo di te.
Certo, come no.
- Ridevo dell'impotenza del professore davanti alle tue parole. L'hai sotterrato, e secondo me sei stata fantastica, e se mi credi come loro ti sbagli di grosso. Comunque, ti avevo chiamata per chiederti se ti va di accompagnarmi in libreria oggi. Che ne dici?
Non mi aspettavo una risposta del genere. Forse aveva ragione. Che il suo silenzio in classe sia dovuto proprio al fatto che, come me, non li sopporta e preferisce stare in disparte? Uscire un po' non mi avrebbe di certo fatto male.
Lo sguardo cadde sul quaderno, con gli esercizi di matematica. Non potevo perdere tempo. - Mi dispiace, ma devo recuperare matematica, come sicuramente ben sai. Alla prossima.
- Me la cavo in matematica. Quando e se vuoi potrei aiutarti. A domani.
Thomas Flynn poteva anche aspettare.
Tornai ai miei esercizi, ma un tonfo proveniente dal piano di sotto mi fece saltare dalla sedia. Fanculo matematica.
- Thomas, sono io, Daisy. L'offerta è ancora valida?

[...]

I marciapiedi erano insolitamente deserti, erano poche le macchine che circolavano per le strade. L'aria gelida pungeva la pelle, e un vento forte scuoteva gli alberi.
Magnifico, è proprio la giornata ideale.
Per fortuna la libreria era abbastanza vicina e raggiungibile a piedi. Mi affrettai fino a girare l'ultimo angolo della strada che mi avrebbe finalmente portato all'entrata.
- Tu!
Mi voltai di scatto.
Alle mie spalle, intravidi una donna che sembrava indicarmi. Mi avvicinai con cautela. Ero sicura di non aver visto nessuno nei paraggi, neanche un'anima. Possibile che si sia materializzata all'improvviso?
Lungo il collo le pendeva una specie di talismano blu elettrico a spirale. Portava un enorme mantello di lana nera che le copriva anche il capo, dal quale invece sbucavano i capelli lunghi e scoloriti dal tempo. Aveva il volto consumato e pieno di cicatrici, motivo per cui sembrava anziana, ma i suoi occhi color nocciola avevano un non so che di giovane, erano accesi, chiari, come se brillassero di luce ed energia propria in procinto di esplodere e divulgarsi all'esterno.
Il vento disumano non mi permetteva di stare in equilibrio mentre lei sembrava inspiegabilmente inerme, era quasi immobile, l'aria le spostava i capelli e il mantello in maniera del tutto irregolare e innaturale.
Era spaventosa e affascinante nello stesso momento.
Ma che cosa voleva da me?

OBSESSION (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora