~Prologo~

248 26 8
                                    

In una radiosa e tranquilla giornata solare, negli angoli piú fitti del bosco Kajitsu, gli uccelli cinguettavano troppo freneticamente. Il vento aveva fatto una sosta lasciando che la quiete avvolgesse l'intera boscaglia e tutti gli esseri che ne facevano parte. Ma, tutta quell'innaturale pace era dovuta alla noia improvvisa di un essere essenziale per lo sconvolgimento di quel luogo.
Era lì, seduto su un masso. Le orecchie feline-che, haimé, li erano state donate dalla sua natura-si mossero per individuare anche il più piccolo segno di un qualsiasi suono. Poggiava la guancia sopra la sua mano, a sua volta, il gomito era poggiato sulla gamba. Senza curarsi degli aloni che si sarebbero formati. Aveva l'aria annoiata, e, per passare il tempo, soffiava un ciuffo biondo e ribelle che pendeva sulla fronte.
Ma non riusciva a distrarsi.
<<Che noia...>> sbuffó.
Si guardò un po' attorno nel tentativo di scorgere qualcosa che lo avrebbe intrattenuto. Ma nulla. Quella giornata sembrava non finire mai. Cosa mai poteva fare? Rilassarsi?
"Rillasarsi" era un termine che non si trovava nel suo dizionario. Non si trovava nella sua natura. Né, tanto meno, nella sua quotidianità. Arthur era un essere costretto a tenere sempre gli occhi aperti, a controllare ogni singolo movimento degli umani nei dintorni del suo bosco e a stare sempre in allerta. Non li era permesso il riposo. Da niente e da nessuno. Per questo era sempre tanto nervoso.
<<Uh?>> sussultó quando all' improvviso si sentirono in lontananza delle risatine infantili. Precisamente maschili.
L'orecchio destro si girò verso il proprio lato per tentare di udire meglio.
Lo sguardo smeraldo del ragazzo andò ad aguzzarsi, e tutto il resto del corpo s'irrigidí.
Le risatine erano sempre più vicine.
<<Sembrano delle risate di un cucciolo d'umano...>> constató.
Di scatto si alzò per andare a controllare. Spiccó dei balzi agili e lunghi, ma, soprattutto, silenziosi. Appena arrivò dove la vocina era più alta, si accostó dietro un albero, e, pian piano, scrutó la piccola creaturina.
Come si aspettava, era proprio un cucciolo d'umano. Era seduto atterra, manteneva la magra gamba piegata, e, sul suo volto, non era presente più un'espressione felice, bensì una dolorante . Dai suoi grandi occhietti azzurri sgorgavano grosse lacrime che tentava di trattenere. Aveva il ginocchio sbucciato, ecco.
A quella scena, Arthur rimase immune e osservante. Avrebbe voluto aiutare il piccolo, ma gli umani erano pur sempre umani. Inoltre, aveva scoperto che, i piccoli, erano abbastanza pettegoli. Se per un cucciolo di umano fosse stato scoperto sarebbe stato da stupidi.
Mentre mosse il piede per andarsene spezzò un rametto tra l'erba. Strinse i denti e si paralizzó, sperando di non essere stato scoperto.
Il piccolo alzò gli occhi verso l'albero in cui era nascosto Arthur.
<<Chi è?>> domandò sporgendosi per vedere meglio.
Arthur non sapeva come reagire. Vagavano varie idee disordinate dall' agitazione nella sua mente. Non riusciva a selezionare quella giusta.
<<Tranquillo, non ti farò nulla...>> assicurò il bimbo, credendo fosse un animaletto, nel tentativo di alzarsi, <<Fermo!>> urlò Arthur avvertendo l'odore della ferita che sanguinava. Immediatamente, il biondino fece come ordinato, attendendo un'altra reazione.
<<S-se ti muovi...f-farà infezione>> spiegò.
<<Ok...quindi, cosa devo fare?>> domandò guardandosi la ferita.
<<Tanto per cominciare, mai pulirsi con gli indumenti sporchi...>> disse comparendo nell' ombra, attirando l'attenzione del bambino.
<<...secondo, strappare un pezzo di tessuto...>> continuò venendo alla luce mentre si strappava una fascia dalla manica bianca. Il bambino, appena lo vide ne rimase meravigliato.
<<...e, terzo...>> si chinó iniziando a legarli la fascia attorno al ginocchio, sotto sua osservazione,stringendogliela, in modo che fermasse il sangue. <<...stringere per bene attorno alla ferita.>> concluse incontrando, poi, lo sguardo meravigliato del bambino.
Regnò per un attimo il silenzio più totale, in cui, sia il bimbo, che il ragazzo, si osservarono l'uno all'altro.
Il bambino, però, salì con gli occhi fino a sgranarli alla vista di quelle due orecchie da gatto sulla testa del ragazzo. Senza attendere un istante, si alzò e allungò le braccia verso quest'ultime. Arthur, però, iniziò a indietreggiare impaurito dalla troppa ravvicinanza del bambino, ma non riuscì a "sfuggirli". Le piccole dita, nel frattempo, strofinavano le sue orecchie che emettevano dei tic istintivi.
<<Non ti hanno insegnato a dire "grazie"?!>> disse innervosito e stranito Arthur.
<<Perché hai delle orecchie da gatto?>> domandò il bambino ignorando ciò che li chiedeva l'altro.
Le sue braccia vennero bloccate, e, guardando giù, notò anche da parte di chi.
<<Non sono affari tuoi...>> sibiló Arthur.
<<Hai anche una coda?>> continuò il bambino correndo dietro il ragazzo. Alzò la veste e trovò una coda lunga e snella dello stesso biondo-marrone delle orecchie.
<<Perché sei così impiccione?!>> domandò stridulo Arthur prendendo la coda tra le mani come per nasconderla al bambino.
Il piccolo ritornò davanti al biondo osservandolo intento ad accarezzarsi la coda.

Questo tipo, è veramente strano...mi piace!

Pensò il bambino.

Questo cucciolo è troppo invadente...non mi piace.

Pensò, invece, Arthur.

<<Come ti chiami?>> chiese improvvisamente il bambino. A quelle parole, Arthur si raggeló.
<<I-io...>>
<<Io mi chiamo Alfred, ma puoi chiamarmi Al>>

Questa non ci voleva.

Ora che il bambino aveva detto esplicitamente il proprio nome, Arthur si sentiva abbastanza in dovere di risponderli. Quel bambino ispirava fiducia nei suoi confronti. Se avesse chiesto di non dirlo a nessuno, sarebbe stato come se non si fidasse di lui. Tutto quel riflettere lo stava mettendo in confusione, insomma, doveva o non doveva dirglielo!?
<<Hey...>> lo risvegliò il bambino dai suoi pensieri. Arthur lo guardò stordito.
<<...tutto ok?>> domandò.
<<S-si, io...Io sono sempre ok>> si ricompose Arthur mettendo le braccia conserte con atteggiamento ovvio.
<<Allora?>>domandò.
<<Allora cosa?>>
<<Come ti chiami?>> chiese il bambino sfoggiando un meraviglioso sorriso, uno di quelli che riesce a far sciogliere una persona.
Arthur chiuse gli occhi, prese un profondo respiro, e, con tutto il suo coraggio, rispose <<Arthur. Arthur Kirkland.>>
<<Che bel nome Arthur, siamo amici ora?>> chiese il piccolo. Arthur aveva riposto tutta la sua fiducia in quel bambino nel dirli il suo nome, era curioso, dopotutto. Avrebbe fatto bene a fidarsi di quel bambino di nome Alfred?
Chi lo sa. Era per metà un animale, o meglio, uno yokai. L'istinto li consigliava di si.
<<Certo piccolo Alfred, a cosa ti piacerebbe giocare?>> domandò
<<Io sono l'eroe, e tu sei un criminale!>> disse portando le mani ai fianchi in una posa eroica.
<<Ok...>>acconsentì.
Il piccolo lo afferrò per mano, e Arthur sentí un calore interno molto piacevole, si faceva trasportare dal bambino come voleva. Eppure, provava solo piacere. Possibile che provasse già un incondizionato affetto per quel bambino che aveva appena conosciuto?
Questo non riuscì mai a spiegarselo, ma non ebbe mai neanche l'esigenza, ciò con cui si sentiva bene era Alfred, il quale veniva a trovarlo quasi ogni giorno per circa cinque mesi. 
Ma, un giorno, Alfred non tornò più. E in Arthur, accrebbe un vuoto che era stato Alfred, il solo ad averlo colmarto.
Da quel giorno, il bosco Kajitsu, venne conosciuto come il bosco più temibile di tutto il Giappone.
Poiché, una leggenda narrava di uno yokai(uno spirito per metà con sembianze animali e metà sembianze umane), che feriva chiunque vi si fosse addentrato.

Americano x YokaiWhere stories live. Discover now