(Capitolo 5)
In prima elementare, ho fatto le mie piccole amicizie, in particolare con una bimba, di nome Susanna. Dal corpetto alto rispetto agli altri e un sorriso solare con la sua codetta ordinata ai capelli. Eravamo compagne di classe, ma non di banco. Io ero sola. Non ho avuto nessun compagno di banco, per un bel po', perché eravamo dispari. Io sono stata nella prima fila, vicino ad un calorifero. Ho avuto quella strana abitudine di sedermi con una gamba piegata e l'altra normale, e di dondolarmi spesso sulla sedia, nonostante le maestre mi rimproveravano ogni volta.
Un giorno c'era una verifica di matematica, se ricordo bene. Io non avevo grandissime capacità rispetto alle mie coetanee, per colpa di quelle crisi. Disturbavano la mia attenzione nell'ascoltare, nel concentrarmi e quando avevo le crisi capitava anche di perdere l'equilibrio. Mentre leggevo quei pochi numeri su una fotocopia, ho iniziato a barcollare sulla sedia. Ho dato due o tre spinte alla sedia, per la noia, ero anche seduta scomposta, come mio solito. Sono caduta sopra al calorifero, su uno spigolo, ferendomi la testa. Ho perso abbastanza sangue, sufficiente da farmi perdere i sensi. La maestra mi ha preso in braccio, guardavo a terra per la testa lasciata andare sul braccio della maestra, che mi aveva portato in'infermeria, gocciolante col sangue che fuoriusciva dalla ferita. Da quel giorno i miei compagni, dopo quella crisi, mi vedevano in modo diverso, e la cosa non mi piaceva. Ero la stramba della classe. Vedevo sfuocato, poco, ma vedevo. Vedevo quegli sguardi da persone che vogliono escluderti, emarginarti. Ho avuto paura, di essere, rifiutata, ancora prima di avere la paura di non svegliarmi più da quella botta.