Stand-by

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Le gocce picchiettavano sull'antico porticato, ricadevano una ad una rilasciando il proprio peso, la propria forma. Erano trasparenti, inanimate. eppure la loro essenza traspariva tutta intera, nonostante non fossero nulla. Il maestoso e moderato edificio sembrava bearsi di quei formicolii, al tal punto da rilassarsi e apparire ancora più bello ed espressivo di come si era mostrato. Non era vanità, ma solo una presa di coscienza dell'ammirazione con la quale soggiogava ogni cosa viva e animata, incantava ogni occhio per poi ingannarlo poiché ciò che c'era all'interno non era tangibile come quella magnificenza. L'espressività, proveniva dall'interno mentre l'inganno era qualcosa di più profondo. Ogni persona che lo abitava, delineava e interpretava un personaggio, una storia, un'evento, era la prassi. Se le protagoniste della pioggia erano trasparenti e inanimate , questi erano insinceri e mascherati. Illudere era il loro mestiere e avveniva attraverso il dolore, l'unica verità pura espressa attraverso la denuncia. Erano abili maestri del cuore, della mente. Persuadevano con le loro parole e venivano acclamati per i propri gesti, per quell'eleganza che li caratterizzava. Una volta li avevo sognati, avevano una risa isterica e correvano, filavano per salvarsi da una nube scura che in se raccoglieva vento e ogni sintomo di catatonia. Infondo ogni artista conosce un po di follia, ognuno di loro ha questa scheggia di pazzia all'interno del proprio corpo, che punge e pressa sul cuore. Eppure una volta compresa e accettata pompa insieme ad esso e ti riscopri come un qualcosa che non può essere classificato, perché unico. Hanno una visione diversa delle cose e la regalano solo a chi è disposto a capirli fino in fondo. Qualche tempo fa,mi soffermai sull'essere pazzi. Su cosa significasse. Infondo i matti non fanno altro che mostrarci una realtà che noi già conosciamo ma che non viviamo, parlano prima, poiché guardano con attenzione. Una volta lessi in un libro che:"Le persone incapaci di concentrarsi tengono gli occhi aperti,ma non vedono nulla." E se noi davvero non vedessimo nulla? Chi sarebbe il pazzo? Colui che non vuole vedere e che nega una realtà bambina? O colui che continua a sperare e guardare oltre il normale, privandosi di ogni ipocrisia? Avevo un vuoto dentro che era grande quanto quel palcoscenico, ero in confusione come prima di uno spettacolo. La mia mente staccata, il mio corpo in balia di un movimento di massa. Ho come avuto l'impressione di rilasciarmi ad un'altra realtà, io che non volevo essere lì, io che alla vita non avevo prestato nessuna forma di attenzione. Il tempo scorreva come acqua che le mie mani raccoglievano, ma non afferravano. Voltai su un'altra strada, in quel momento anche il teatro era troppo per me. Mi aveva ammaliato tante di quelle volte, che la voglia di essere parte del suo interno,della sua bellezza mi gioiva ancora dentro. Ma ad oggi non ne ero ancora capace, accesi la sigaretta e la nicotina venne spazzata via del leggero vento che faceva da padrone sul silenzio che ricopriva le strade tappezzate di passanti. L'odore del cibo guidava il mio olfatto, ma le mie gambe vuoi per fortuna, vuoi per sfortuna non lo assecondarono, infondo avevo già di che mangiare. L'ennesima sigaretta accesa, il fumo annientato da un vento più gelido e pressante che governava su una distesa marina, quieta e cristallina. Percorsi il bianco, e pietroso cavalcavia, quando giunsi verso la fine mi ci sedetti, feci scorrere la mia playlist ma non trovai nulla di adatto, niente che potesse essere così leggero da non disturbare quella sintonia che vi era tra acqua e vento, fra suono e silenzio. I gabbiani, non erano lì per fargli compagnia. Le onde erano agitate, seguivano il recesso che caratterizzava il mio pomeriggio. Il mare è forse il tempo che non si è mai arreso, la morte mai vissuta, il dolore mai sentito. È un enorme distesa d'acqua piena di segreti, ma povera di vita e ricca di morte. Credo che sia per questo che si perdono le parole nel volerlo raccontare, siccome non c'è ne sono. Sono immobile ad osservarlo, proprio come lui è fermo lì da tempo se potesse parlare, se solo potesse ascolterei le sue storie. I suoi lamenti , perché non deve essere bello essere lì fermi per sempre, poiché il mare è per sempre. Solo lui. Io non voglio viverlo, desidero solo ascoltarlo, è così sbagliato? È così anormale voler origliare e guardare più tosto che buttarsi, e provare a vivere?! Forse, si. Magari sto solo delirando. Le tre ore di danza mi avranno fatto questo effetto. Mi sento un fantasma dall'anima prosciugata, tutti ne hanno paura,nessuno si avvicina. Solo che io non faccio paura, sono più gli altri a farmi paura. Vago da un mondo ad un'altro, chiudo gli occhi e mi immagino libera. Leggera. Vado incontro ai girotondi delle foglie, ballo con il loro principe dal volto invisibile. Giro con loro, volteggio con lui. Il suo soffio flebile, accarezza il mio viso e rincorre i capelli che leggeri e sereni ricadono sulle spalle. Una folata più forte ma per nulla cattiva, fa si che si uniscano alla sua danza, al suo canto. Lo lascio fare, permettendogli così di accarezzarmi. Richiudo gli occhi e per un'istante, uno solo , ho l'impressione che quella leggerezza innata, inesistente, mi venga trasmessa attraverso una mano. Ora gioca con le mie ciocche ribelli, le pettina e con quel gesto cortese , le rende parte di un qualcosa a cui non credevano di appartenere. Non era scontata, quella carezza era inaspettata. D'altronde è dalle piccole cose che nascono quelle grandi, da un dettaglio bruciato, dimenticato si arriva allo sbaraglio di un sentimento. Sono i piccoli gesti a farmi sentire "grande", amata ma per ora non conosco queste sensazioni, ne il candore che anima due mani intrecciate, che Si rincorrono, si vogliono , e ritrovano costantemente. Mi guardo intorno e non vedo nessuno, cerco tra la folla un volto amato pronto a tendermi la mano ma, non trovo niente se non urla e pianti poco concreti. Vivo di diffidenza e non soffro di solitudine, ma di mancanza d'amore. Mi sentii leggermente stupida quando lo squillo del telefono mi face lasciare per un po' lo stand-by in cui mi ritrovavo. Risposi , e capii che dall'altro lato c'era Martina con la sua parlantina lesta e spedita. Risi con lei ad i suoi scleri e mi incamminai verso il treno con cui sarei ritornata a casa. Quando mi accomodai all'interno il calore si sostituì all'inverno che avevo conosciuto, non quello dell'aria, ma il mio personale. Il mio corpo ora era rovente, ma non bruciava il messaggio che il freddo aveva instaurato in me. Questo era imperterrito, nel momento stesso in cui il mezzo solcò i binari le parole mi si presentarono davanti, erano chiare , non dovevo cercarle come si faceva con una mappa o un tesoro. Lasciai quel posto con una sicurezza maggiore, la stessa che uncino aveva avvertito nel suo amore per il mare, e il suo odio per peter pan. La mia testa urlava queste parole: "Regalati al vento, e respira con esso. Capirai quanto sia bello abbandonarsi a delle braccia mai viste, perché aperte, e in esse coglierai l'essenza di un' anima sola, viva ma libera." In quella sicurezza, uncino perse una mano e con essa la sua felicità; io nel aver compreso la mia essenza cosa avrei perso?

Without Time.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora