e così frequenti i bar.

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Erano le due del pomeriggio, Bill e Jasmine stavano sorseggiando un caffè in un bar a Los Angeles.
Non si concedevano spesso quel lusso quindi ogni volta era un vero e proprio avvenimento.
Avevano chiesto alla cassiera se potevano accomodarsi fuori, lei con un sorriso disse che potevano e che ciò che avevano ordinato sarebbe arrivato al più presto, così si sedettero e ora, Jasmine guardava la gente che faceva shopping e chiacchierava.
Erano tutti incuranti della sua presenza, il che era positivo.
Nessuno che la guardava, nessuno che ci provava con lei, nessuno che voleva fare la sua conoscenza, nessuno che la mangiava con gli occhi, nessuno che sbraitava o applaudiva i suoi movimenti... Stava apposto insomma.

Improvvisamente mentre stavano parlando un ragazzo interruppe il loro discorso chiedendo cortesemente se poteva appropriarsi della sedia libera accanto a Bill perchè nel suo tavolo ce n' era solo una e si dava il caso che non fosse solo.
-certo.
Rispose Bill mostrando un timido sorriso al ragazzo.
-grazie.
Disse afferrando lo schienale dell' oggetto guardando quasi per sbaglio la ragazza che lo guardava a sua volta.
-noi ci siamo già visti.
Disse lasciando la sedia.
-sì, ci siamo visti due notti fa alla fermata del bus, ricordi?
-oh, certo, ora ricordo. È vero!
Esclamò alzando le sopracciglia.
-e così frequenti i bar. Mi fa piacere che tu preferisca questo posti a quelli in cui sei stato catapultato da i tuoi amici.
Disse incrociando le gambe, posò il caffè e portò le braccia sui braccioli metallici della sedia.
-a me fa piacere averti incontrata di nuovo. _fece una breve pausa, poi continuò con un piccolo sorriso innocente dicendo:
-stai bene vestita, anzi stai meglio con i vestiti che con l' intimo addosso.
Osservò lui guardando sott' occhio il ragazzo di fronte a Jasmine che lo guardava con uno sguardo a metà tra lo sconcertato e l' incuriosito.
Solo in quel momento si rese conto di ciò che aveva appena detto.
Era un cretino.
Si sentì in imbarazzo.
Lui non sbagliava mai.
Non faceva mai un passo falso che si trattasse di parole o di scelte, lui non commetteva errori mai ma proprio mai, eppure in quel momento avrebbe voluto scomparire dalla faccia della terra, anzi gli sarebbe bastato scomparire lontano da lì.
Cioè, le aveva detto che la preferita vestita davanti al suo ragazzo!
Se avesse avuto un pennarello si sarebbe scritto in bella vista sulla fronte "sono scemo". Lo avrebbe fatto senza dubbio.
Non c' erano ombre... Lei e quel ragazzo stavano insieme e lui aveva appena detto una stronzata epica... Cioè, non aveva detto una stronzata ma le circostanze lo portarono a quella conclusione.
-ora io... Ora... Io... Prendo la sedia e... Vado... Io... Io... Vado... Ciao.
Balbettò in difficoltà senza riuscire a guardare negli occhi i due presenti.
-aspetta!
Esclamò Jasmine come se si fosse allontanato; in realtà non aveva ancora compiuto un passo ma gli bloccò il polso con un movimento veloce, scattante e fu quasi come se avesse sentito una scossa percorrerle il braccio mentre compiva quel gesto.
-qual'è il tuo nome? Tu sai come mi chiamo ma io non posso dire lo stesso.
Disse aspettando la risposta impaziente, sembrava una bambina quando chiedeva alla madre se poteva aggiungere nel carrello la sua merendina preferita.
-io mi chiamo Tom... Tom, ecco... Tom, mi chiamo Tom.
Rispose con il fiato corto.
Non aveva corso eppure respirava a fatica.
Doveva smettere di non praticare sport, quelli erano i risultati concluse quindi ma era chiaro come l' acqua che non si trattasse di essere fuori allenamento però al momento quella sembrò la sola giustificazione, quella più plausibile.
-okay... Tom.
Ripete lasciandogli il braccio, così lui si allontanò e loro poco dopo si alzarono.

Le aveva fatto piacere vederlo.
Non che avesse atteso di incontrarlo ma averlo incrociato nuovamente e averci parlato seppur per poco tempo, le fece spuntate un timido sorriso.
-quindi si chiama Tom.
Disse per non rimanere in silenzio.
-già, così pare.
-non ti è sembrato strano?
-perché a te lo è sembrato?
Domandò lei in modo quasi sgarbato.
Bill in cuor suo sapeva che non voleva essere sgarbata e che quasi non se ne rendeva conto quando lo era, ma farglielo notare non la avrebbe cambiata.
Lei era così e quel suo modo di fare non lo disturbava affatto; era un tratto caratteriale come un' altro.
-bhe, si. Inizialmente era sicuro di sé e gioioso di vederti ma dopo avere detto che stai meglio vestita invece che semi nuda ha iniziato ad agitarsi; la calma e la sicurezza lo hanno abbandonato completamente andando chissà dove, rendendolo balbettante e insicuro persino dei suoi stessi respiri.
Osservò.
-non hai tutti i torti. Era evidente che fosse poco tranquillo dopo avere pronunciato quelle parole. Probabilmente ha pensato di avermi offesa.
Ipotizzò pensando a come poco prima il ragazzo si fosse agitato senza apparente motivo.
Nessuno dei due sapeva cosa pensare cosi entrambi chiusero le labbra e pensarono.
-secondo te lo rivedrò?
Chiese dopo un po'.
Bill non lo sapeva, non era un veggente ma se le avesse fatto piacere rivederlo, perché negarle uno straccio di felicità?
Le augurava di rivederlo.
Perché non sarebbe dovuto accadere?
Magari il destino le riservava un altro incontro con lui, chi lo poteva sapere?
Il destino è ignoto ma non per questo non ci si deve creare aspettative al riguardo.
Lui stesso se le era create, il fatto che il destino lo avesse assecondato nella realizzazione di esse era un altro discorso a cui non voleva pensare.
Prese un gran respiro e disse:
-probabilmente sì. Perché non dovresti?
Disse accennando un sorriso che la contagiò.
-hai ragione, perchè non dovrei vederlo nuovamente?
-già, perchè non dovresti?
-Bill? Sai, sono proprio contenta che tu sia finalmente uscito. La tua assenza mi faceva schifo, era davvero una situazione scomoda. C' erano notti in cui se mi svegliavo, mi recavo nella tua stanza, prendevo una tua maglia, la indossavo e mi stendevo sul tuo letto perché rendeva la tua assenza meno distruttiva.
-anche tu mi sei mancata. Tanto. In prigione non fai altro che pensare. Anche quando non vuoi, pensi. Ho pensato a te diverse volte; farlo mi faceva sia bene che male perché da un lato se ti pensavo significava che non stavi svanendo, dall' altro lato era una piccola prigione nella prigione perche non ti avevo con me, non potevo quindi parlarti, ridere con te, aspettarti la sera quando tornarvi tardi e fuori faceva buio. Avevo solo i ricordi delle esperienze passate insieme.
Concluse lui guardando i capelli corvini lunghi e lisci di lei, poi le guardò le labbra impreziosite da un gloss leggermente roseo.
Aspettava che quelle labbra si separassero per pronunciare parole o semplicemente per sorridere ma non accadde.
Era semplicemente senza parole, non riusciva a parlare, non trovava le parole.

Nella città del Sole.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora