"Help I'm Alive", Metric.

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La nonna mi diceva sempre: "Non è dei morti che  devi aver timore, ma dei vivi!"

Era una giornata piovosa, la classica giornata di novembre in cui l'umidità sembra avere il potere di appesantire non solo i capelli, ma anche l'umore delle persone.

Zia Susi guidava tenendo gli occhi incollati al parabrezza, ipnotizzata dalla fitta nebbia che cingeva i fianchi della montagna, risucchiando ogni cosa, compresa la strada, in un biancore lattiginoso. Ogni volta che cominciava a scalare le marce, intimidita dalla visibilità limitata, la vecchia Ford KA color verde bottiglia rispondeva ai suoi comandi sobbalzando a singhiozzi sui tornanti stretti e sinuosi.

Avevano abbandonato l'autostrada da poco e subito si erano ritrovate a viaggiare in un paesaggio dall'aspetto lunare, dove l'oscurità della fitta boscaglia faceva da contrappunto all'accecante chiarore che le circondava. L'unica cosa visibile erano i filari di alberi grigi dai tronchi affusolati, i cui rami ritorti trasudavano minuscole gocce che, stazionando a mezz'aria, creavano l'illusione di un vapore fatto di lacrime.

Mia fece scorrere un dito sul vetro appannato del finestrino, disegnando un cerchio all'altezza dei propri occhi. Senza distogliere lo sguardo dal percorso, zia Susi sollevò con cautela una mano dal volante ad indicare un punto sopra le loro teste, quasi sulla vetta, dove un grosso masso roccioso sporgeva funambolico dalla pendice, tanto da sembrare un'imponente loggia naturale sospesa nel vuoto. "Là, devi guardare là". Mia schiacciò la fronte sul vetro e, piena di aspettativa, tentò di cogliere qualche dettaglio nel paesaggio nascosto. Ma non vide null'altro che rami. Rami nodosi aggrappati al cielo grigio d'autunno. 

Delusa, tornò allora a rannicchiarsi contro il sedile. "L'unica cosa eclatante di questo posto è il freddo polare". Rimuginò stropicciandosi le mani intorpidite. "Fa davvero un freddo insopportabile".

"Riprova tra un po'". Commentò asciutta la zia, senza aggiungere altro.     

Viaggiavano da circa tre ore ed erano rimaste in silenzio per buona parte del tempo. La zia non le aveva fatto domande sull'ultimo mese trascorso, non le aveva chiesto della scuola, dei brutti voti, o delle note sul diario e, tanto meno, aveva corso il rischio di menzionare suo padre. Eppure, nonostante il palese silenzio, quella donna sembrava vedere e sapere tutto con estrema chiarezza.

Mia si sfregò la punta del naso. Era sicura di non sbagliarsi: la zia comprendeva la sua situazione meglio di tanti altri, per questo non aveva alcun bisogno di spendere inutili parole. Il naturale feeling tra loro non c'entrava niente con il fatto che fosse una psicologa. Semplicemente, era dovuto alla sua straordinaria sensibilità tenuta ben nascosta dai modi forse un po' troppo bruschi. Con totale indifferenza, aveva evitato di dire cose superflue e banali, le cose che tutti continuano a ripetere nei momenti difficili. Quella mattina, senza aprire bocca, aveva caricato il suo borsone nero nel baule dell'auto, mentre lei se ne stava lì, ferma sul vialetto di casa, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans scoloriti ed il cappuccio del piumino calato sopra la fronte, utilissimo riparo da occhi indiscreti, durante gli attacchi di malinconia improvvisa. Papà non aveva nemmeno aspettato di vederle partire. Si era limitato a sollevare una mano in segno di saluto, poi, sbattendosi la porta dietro le spalle, si era precipitato a rinchiudersi in casa. Probabilmente non aveva nemmeno sentito le parole che Mia gli aveva sussurrato con soggezione, a fior di labbra. "Allora, ciao, io vado." 

Davvero non aveva sentito? O magari aveva ritenuto più semplice evitare un commiato?

Qualche giorno prima, Mia lo aveva sentito parlare con la zia al telefono, proprio mentre le stava chiedendo di dargli una mano. "Potresti portarla con te da qualche parte, mentre io cerco di rimettere ordine nella mia vita". Credeva che nessuno stesse ascoltando o, più semplicemente, non si preoccupava di poter esser sentito, mentre spiegava alla cognata che gli serviva del tempo. Le cose per lui erano già troppo dure da affrontare e da accettare. Non se la sentiva proprio, in un momento così delicato, di dover badare ad una ragazzina fin troppo difficile. Mentre origliava rannicchiata per terra e ben nascosta dietro alla porta della cucina, Mia aveva stretto nei pugni il tessuto sdrucito dei pantaloni di felpa per mantenere la calma. Non aveva mai pensato che i suoi genitori potessero ritenerla una ragazzina difficile, ma doveva esserlo davvero, se suo padre desiderava mandarla via adesso che non gli rimaneva nessun altro a cui voler bene. 

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