"It will all make sense in the morning" Halou

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Quando l'ascensore si aprì al primo piano, Mia scoprì che il castello non era affatto, come sosteneva Lisa, un noioso ritrovo esclusivo per anime solitarie. Anzi, si ritrovò a constatare che, sebbene fosse ancora piuttosto presto, la hall dell'albergo era già in pieno fermento, nel suo concitato andirivieni di camerieri che, uscendo in tutta fretta dalle cucine, sfrecciavano impettiti verso la sala ristorante, sorreggendo sopra la testa enormi vassoi carichi di cibarie e brocche di succo colme fino all'orlo. Con la loro andatura costante, sembravano droni programmati per procedere all'infinito. Solo di tanto in tanto rallentavano la loro marcia frenetica, cedendo il passo ad un ospite, o alle colleghe che incrociavano la loro traiettoria, mentre, spingendo un carrello di fiori freschi, si spostavano da un tavolino all'altro per sostituire le gardenie appassite del giorno precedente. Guardandosi attorno, Mia sollevò il mento e inalò il delizioso aroma di caffè appena passato che aleggiava nell'aria. Una tazza di caffè era proprio quello di cui aveva bisogno per iniziare la giornata con il piede giusto, pensò lasciando cadere lo sguardo su alcuni clienti già infagottati come eschimesi nei loro giacconi imbottiti, tutti in fila davanti al bancone della reception, in attesa del proprio turno per restituire la chiave della stanza.

Poco distante, la signora Duse stava mostrando la dislocazione degli ambienti comuni a una coppia sui settant'anni che, a giudicare dai bagagli abbandonati per terra, doveva essere appena arrivata al castello.

Incapace di resistere alla curiosità, Mia rallentò il passo e si fermò ad osservare la contessa.

Indossava un impalpabile abito di cachemire color crema, abbastanza attillato da mettere in risalto le sue curve modeste ma ben proporzionate e sfoggiava una quantità strabiliante di vistosi gioielli che, tintinnando ad ogni suo movimento, illuminavano lo spazio circostante riflettendo la luce proiettata dalle applique ancora accese appese alle pareti.

Sembrava proprio di buon umore, quella mattina. Continuava ad elargire ampi sorrisi teatrali a tutti quelli che le passavano accanto e aveva davvero un'espressione raggiante, mentre, per la gioia dei nuovi clienti, snocciolava succulente informazioni sulla storia del castello. Nonostante l'ingannevole apparenza, Mia non poté fare a meno di notare la presenza di un bel paio di occhiaie scure sotto al suo trucco pesante. Nulla di nuovo rispetto a quanto aveva visto il pomeriggio precedente, quindi. Ancora una volta, sembrava che la contessa avesse appena smesso di piangere.

Probabilmente per il marito defunto.

A quel pensiero, Mia si sentì venire la pelle d'oca lungo le braccia.

Meglio andarsene. Disse a se stessa distogliendo lo sguardo, le mani infossate nelle tasche della felpa.

La curiosità uccise il gatto, del resto.

Si allontanò in tutta fretta, ma dopo aver compiuto appena una decina di passi, una sensazione allarmante, sgradevole e vaga al tempo stesso, la costrinse a fermarsi e a voltarsi per l'ultima volta.

Le bastò un rapido colpo d'occhio per notare il repentino cambiamento nel comportamento di Ada, la quale, tutto d'un tratto, pareva essersi trasformata in un fascio di nervi. Non la smetteva di stropicciarsi le mani, né di controllare con la coda dell'occhio l'ora sul quadrante del suo grosso orologio da polso. Il tutto, senza dedicare più di tanta attenzione al signore attempato che ancora stava parlando a ruota a libera, regalandole, ogni volta che apriva bocca, una sgradevole panoramica sulla sua costosa schiera di denti finti.

Ada doveva aver esaurito da un pezzo la sua scorta di gentilezza in pillole. Era evidente. E quasi subito ne diede prova rispondendo gelida come il ghiaccio all'ennesima domanda. Senza troppi preamboli, si congedò accampando la solita scusa di dover sbrigare alcune faccende inderogabili. Ascoltandola gracchiare le sue smancerie fasulle, Mia si sentì raggelare il sangue dentro le vene. Aveva conservato un pessimo ricordo del suo tono lamentoso, lo stesso tono con cui, il giorno prima, l'aveva stordita di parole prive di significato, dopo averle agguantato le mani, spinta da un raptus d'inspiegabile follia.

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